LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 29352/2018 proposto da:
S.M., quale titolare della impresa individuale Farmacia all’Ospedale di S.M., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Armenia n. 4, presso lo studio dell’Avvocato Nicola Baioni, rappresentato e difeso dall’Avvocato Franco Codogno, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Fallimento di S.M., quale titolare della impresa individuale Farmacia all’Ospedale di S.M., in persona del curatore fallimentare Avv. P.R., domiciliato in Roma, Via degli Scipioni n. 265, presso lo studio dell’Avvocato Alberto Saraceno, rappresentato e difeso dall’Avvocato Sandra Costantini, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2550/2018 della Corte d’appello di Venezia, pubblicata l’11/9/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/4/2021 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi;
lette le conclusioni scritte, D.L. n. 137 del 2020, ex art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di Conversione n. 176 del 2020, del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Giovanni Battista Nardecchia, che chiede rigettarsi il ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Belluno, dopo aver ricevuto una segnalazione dal Commissario giudiziale in merito al compimento di atti distrattivi ante procedura (consistiti nell’esecuzione di prelevamenti da parte del titolare per Euro 984.561,79 nonostante l’azienda non avesse conseguito utili di esercizio), revocava il decreto di ammissione al concordato preventivo di S.M., titolare dell’impresa individuale “Farmacia all’Ospedale di S.M.”, ritenendo che la condotta serbata dall’imprenditore costituisse un atto in frode ai sensi della L. Fall., art. 173, comma 1 e, con sentenza del 4 giugno 2018, dichiarava il suo fallimento su richiesta del Pubblico Ministero.
2. La Corte d’appello di Venezia, a seguito del reclamo presentato da S.M., reputava che l’omessa comunicazione ai creditori dei prelevamenti effettuati e l’incongrua rilevazione contabile di elementi essenziali al fine di ricostruire le cause del dissesto, la responsabilità dell’imprenditore in ordine alle stesse e la reale consistenza patrimoniale dell’impresa si fossero tradotte in un’errata e falsata rappresentazione della sua situazione economica, patrimoniale e finanziaria, potenzialmente idonea a influire sul consenso informato dei creditori in merito alla fattibilità del piano e alla convenienza della proposta.
3. Per la cassazione della sentenza di rigetto del reclamo, pubblicata in data 11 settembre 2018, ha proposto ricorso S.M. prospettando un unico motivo di doglianza, al quale ha resistito con controricorso il fallimento di S.M..
Gli intimati Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Belluno e Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Venezia non hanno svolto difese.
La sesta sezione di questa Corte, inizialmente investita della decisione della controversia, ha rimesso la causa a questa sezione per la trattazione in pubblica udienza.
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, ex art. 380 bis.1 c.p.c., sollecitando il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Il motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 173: la Corte d’appello avrebbe qualificato come atto in frode l’omessa rappresentazione, al momento della presentazione della domanda di concordato, dell’avvenuta contabilizzazione di un credito soltanto apparente di Euro 984.561,79, pur avendo dato atto che questa voce non risultava tenuta in alcuna considerazione all’interno del piano presentato ai creditori.
La qualificazione compiuta dalla corte territoriale deve reputarsi erronea, a dire del ricorrente, perché l’esposizione in contabilità di crediti apparenti di cui poi non si era tenuto conto nel piano non aveva alcuna importanza ai fini della revoca dell’apertura del concordato, a ciò valendo solo le operazioni suscettibili di assumere rilievo per il soddisfacimento dei creditori.
5. Il motivo non è fondato.
5.1 La Corte di merito, all’interno della decisione impugnata, ha accertato una serie di circostanze, peraltro pacifiche tra le parti, che ha posto poi a base del rilievo dell’esistenza di atti in frode idonei a giustificare la revoca dell’apertura della procedura concordataria.
Più precisamente secondo i giudici distrettuali: i) nei bilanci dimessi nell’ambito della procedura concordataria comparivano le voci “crediti immobilizzati verso altri oltre 12 mesi” e “titolare conto prelevamenti” per l’importo di Euro 984.561,79; ii) la proposta concordataria non teneva conto di tale credito né vi faceva alcun cenno; iii) la proposta nulla spiegava in merito alle modalità con cui questa voce era venuta a esistenza e alle ragioni per le quali non era stata presa in considerazione; iv) simili circostanze erano state scoperte dal commissario giudiziale; v) solo a seguito delle conseguenti richieste del Tribunale l’imprenditore aveva offerto “una spiegazione delle modalità con cui si è venuto a creare un tale cospicuo apparente credito verso il titolare, in realtà del tutto insussistente, secondo quanto pure allegato dall’imprenditore” (pag. 6).
5.2 I primi giudici, in termini condivisi dal collegio del reclamo e riportati espressamente all’interno del provvedimento impugnato, hanno ritenuto che il silenzio serbato dal debitore a questo proposito assumesse valenza fraudolenta, perché aveva impedito di assicurare “una corretta e non decettiva informazione al ceto creditorio, dovendo quest’ultimo essere messo nelle condizioni di poter avere piena cognizione di tutti gli elementi inerenti alle cause della crisi ed alla convenienza” del piano concordatario.
La Corte di merito, ponendosi nel solco di quanto già indicato dal Tribunale, ha valorizzato non solo l’incongrua rappresentazione contabile, ma anche l’omessa rappresentazione ai creditori da parte del debitore “di elementi essenziali al fine di ricostruire sia le cause del dissesto, sia la di lui responsabilità in ordine ad esse, che la reale consistenza patrimoniale dell’impresa”.
L’atto in frode era quindi consistito – secondo quanto indicato all’interno della sentenza impugnata (a pag. 7) – nell’aver fornito informazioni incomplete relativamente alle poste in discorso, le quali avevano un’entità tale da escludere, da un lato, che il debitore non avesse piena consapevolezza del silenzio serbato e da incidere sicuramente, dall’altro, sull’assetto complessivo della crisi, con conseguente necessità della loro comunicazione al ceto creditorio.
La condotta valorizzata dai giudici di merito in funzione dell’individuazione di un atto di frode non è quindi – come propone il mezzo in esame – il mero silenzio tenuto su un credito solo apparente risultante dalle scritture contabili ma non riversato all’interno del concordato, bensì l’omessa comunicazione ai creditori di circostanze che, oltre a essere state incongruamente rilevate in contabilità prima dell’avvio della procedura, avevano inciso nella causazione del dissesto ed assumevano rilievo per ricondurre all’imprenditore la responsabilità dello stesso e ricostruire la sua reale consistenza patrimoniale.
5.3 Una simile valutazione non integra la violazione di legge prospettata dall’odierna ricorrente.
La L. Fall., art. 161, comma 2, richiede al debitore di produrre una relazione aggiornata che rappresenti la sua situazione patrimoniale, economica e finanziaria, ma non prevede espressamente di indicare le cause dello stato di crisi che ha indotto il medesimo a presentare ai creditori una proposta di concordato preventivo.
Il che tuttavia non significa che le cause della crisi e la condotta dell’imprenditore non assumano alcun rilievo ai fini dell’espressione del consenso informato dei creditori, tanto che la L. Fall., art. 172, impone al commissario giudiziario di individuarle e descriverle all’interno della propria relazione, perché entrino nel patrimonio informativo del ceto creditorio e concorrano alla formazione del suo consenso.
Dalla correlazione fra le due norme si ricava che la rappresentazione della situazione patrimoniale, economico e finanziaria in tanto può essere ritenuta completa e adeguata in quanto fornisca tutte le spiegazioni che siano necessarie per illustrare, in termini completi e chiari, le condizioni dell’impresa e la convenienza della proposta.
E nel novero di questa disclosure rientrano anche tutti gli elementi che, attenendo alle cause della crisi e alla condotta dell’imprenditore, incidano sull’apprezzamento della sua figura in termini di credibilità e affidabilità e la cui puntuale descrizione sia determinante perché i creditori possano valutare la convenienza della proposta presentata ed esprimere un consenso consapevole.
5.4 La L. Fall., art. 173, intende approntare una tutela all’iter di formazione del consenso dei creditori, riconoscendo rilevanza ai fini dell’interruzione della procedura alle condotte che abbiano avuto una concreta incidenza in termini pregiudizievoli sul loro patrimonio di conoscenza.
Ai fini dell’applicazione della norma non rileva – secondo la giurisprudenza di questa Corte evocata in ricorso – la preterizione di qualsivoglia tipo di informazione concernente l’impresa, ma soltanto la condotta omissiva volta “ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, aventi valenza potenzialmente decettiva per l’idoneità a pregiudicare il consenso informato degli stessi sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione” (Cass. 15013/2018, Cass. 17191/2014, Cass. 9050/2014); sicché non costituisce atto di frode l’incongrua rilevazione di uno qualsiasi degli elementi risultanti dalle scritture contabili che non abbia simile caratteristiche (Cass. 23387/2013).
Questo principio, tuttavia, non può essere inteso nel senso che l’imprenditore possa tralasciare informazioni che, pur non influendo direttamente sulle immediate prospettive di soddisfacimento, comunque vengano in rilievo ai fini della valutazione della complessiva convenienza della proposta.
Ne discende che la valutazione dei creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento, involgendo anche l’affidabilità del debitore, stante il rilievo che la stessa ha nel giudizio sulla probabilità di successo economico del piano e sui rischi inerenti, deve poter tenere conto, per essere effettiva, di ogni profilo capace di comprometterla.
5.5 Non si presta perciò a censure il rilievo dato dalla Corte di merito, in funzione dell’applicazione della disciplina della L. Fall., art. 173, alla mancanza di informazioni per i creditori rispetto a un’incongrua rilevazione contabile relativa a una delle cause del dissesto e concernente una diretta responsabilità dell’imprenditore nella sua determinazione (attraverso i significativi prelevamenti effettuati).
In questo modo la Corte di merito ha inteso valorizzare il silenzio serbato su una posta contabile e, soprattutto, sulle implicazioni che la condotta dell’imprenditore così rappresentata aveva avuto in termini di causazione della crisi, perché l’omissione aveva inficiato la correttezza della raffigurazione delle attuali condizioni economico-patrimoniali dell’impresa, mancando la spiegazione di un dato determinante per valutare sia le ragioni che avevano determinato l’assetto patrimoniale esposto, sia l’affidabilità del proponente il concordato.
Un simile contegno omissivo è stato correttamente ricondotto al disposto della L. Fall., art. 173, poiché ai fini dell’applicazione della norma viene in rilievo, alla luce dei principi in precedenza enunciati, ogni informazione non fornita che incida in maniera significativa sul patrimonio di conoscenza dei creditori, compromettendo la loro possibilità di esprimere un consenso realmente informato sulla probabilità di successo economico del piano e sui rischi ad esso correlati.
6. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 7.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 21 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021