LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12511/2016 proposto da:
C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUCA VALERIO 69, presso lo studio dell’avvocato ROSARIO TARANTOLA, rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO COLANTONI;
– ricorrenti –
contro
M.F., rappresentato e difeso dall’avv. GIOVANNI D’ERME, in virtù di procura in calce al controricorso;
CONSAP SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA BORGHESE 3, presso lo studio dell’avvocato PATRIZIA CRUDETTI, che lo rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1696/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/02/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.
RITENUTO
che:
– Consap S.p.A. vende un appartamento e un locale deposito con annessa porzione di terrazzo pertinenziale in *****, facente parte di un fabbricato originariamente di proprietà dell’Ina, a M.F.;
– l’acquirente chiama in giudizio la società venditrice, lamentando di avere subito, relativamente al locale deposito, un’azione possessoria da parte di C.D., proprietario di altro appartamento compreso nel medesimo edificio, il quale aveva rivendicato la proprietà della porzione per intervenuta usucapione;
– il contraddittorio è esteso dall’attore anche nei confronti del C., del quale l’attore chiede la condanna alla restituzione della porzione oggetto del proprio acquisto;
– si costituisce il C. ed eccepisce l’usucapione della porzione in contestazione;
– il Tribunale di Latina rigetta la domanda e accoglie l’eccezione di usucapione del convenuto;
– accoglie la domanda subordinata rivolta dall’attore verso Consap, di restituzione di una parte del prezzo;
– la Corte d’appello di Roma, per quanto interessa ancora in questa sede, accerta che non ci sono i presupposti per l’usucapione e quindi condanna il C. al rilascio;
– il potere di fatto sulla cosa esercitato dal C., secondo la ricostruzione della corte capitolina, trovava fondamento nella detenzione conseguita in forza del contratto di locazione dell’appartamento, tenuto conto del vincolo pertinenziale ravvisabile fra i due beni;
– quindi, in assenza di un atto di interversione, in ipotesi rinvenibile solamente nell’atto di acquisto della proprietà dell’appartamento, avvenuto nel 2001, non era maturato il ventennio occorrente per l’acquisto della proprietà per usucapione;
– per la cassazione della sentenza il C. propone ricorso sulla base di un unico motivo (“Travisamento dei fatti” – “Errore di diritto” – art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, artt. 363,384 c.p.c., artt. 1158,1141 e 1140 c.c.”);
– si sostiene che il locale sovrastante l’appartamento del ricorrente non era compreso nel contratto di locazione, né esisteva, quando fu locato l’appartamento, un vincolo pertinenziale tale da far ritenere trasferita, insieme alla disponibilità dell’appartamento, anche la disponibilità del locale;
– il locale, pertanto, non fu oggetto di detenzione, ma di possesso a titolo di proprietà;
– Consap e M. hanno resistito con controricorso;
– il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
– il ricorso è infondato;
– la legittima costituzione di un rapporto pertinenziale tra cose presuppone l’esistenza (oltre che di un unico proprietario) di un elemento oggettivo – consistente nella obbiettiva destinazione del bene accessorio ad un rapporto funzionale con quello principale – e di un elemento soggettivo – consistente nella effettiva volontà, espressa o tacita, di destinazione della res al servizio o all’ornamento del bene principale da parte di chi abbia il potere di disporre di entrambi (Cass. n. 136/1998);
– la legittimazione attiva alla creazione di un vincolo di pertinenzialità spetta a chi abbia la disponibilità giuridica dei beni (Cass. n. 11699/2002);
– siffatto vincolo non può essere costituito dal conduttore (Cass. n. 2615/1986);
– l’accertamento della sussistenza del rapporto pertinenziale tra due immobili e, in particolare, della valutazione della volontaria e permanente destinazione di uno dei due beni al servizio dell’altro, comporta un giudizio di fatto demandato al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da congrua e corretta motivazione (Cass. n. 2026/1985);
– la ricostruzione fatta propria dalla corte d’appello, nella parte in cui essa ha ravvisato che la disponibilità del locale trovasse fondamento nella detenzione conseguita in forza del contratto di locazione dell’appartamento, è pienamente coerente con gli elementi oggettivi della causa, intesi alla luce dei principi sopra indicati;
– è infatti incontroversa e riconosciuta dal medesimo ricorrente (pag. 7 del ricorso) l’originaria e congiunta utilizzazione del piccolo locale, di proprietà esclusiva dell’INA, da parte dei “conduttori dei sottostanti appartamenti per comodità delle famiglie”;
– successivamente, “con la diffusione nel dopo guerra delle macchine lavatrici”, il locale “diveniva inutilizzato e non più usato dagli inquilini, se non per sporadico deposito di materiali di risulta e oggetti di cantina. In tale situazione di abbandono, il C., inquilino dell’appartamento sottostante (…), prendeva possesso esclusivo fin dagli anni 1975-76, di detto locale liberandolo dalle macerie, sistemandolo a proprie cura e spese e vi collocava propri oggetti e arredi, godendone in via esclusiva uti dominus, sistemando la serratura della porta di ingresso, e tenendo per sé le chiavi, il tutto nell’indifferenza dell’Ina e degli altri inquilini della scala”;
– in altre parole, sono incontroverse sia l’originaria appartenenza all’Ina tanto delle unità immobiliari locate, quanto del locale in questione, sia l’ubicazione del medesimo locale e la relazione di servizio con gli appartamenti sottostanti;
– in presenza di tali elementi oggettivi, il fatto che la corte d’appello abbia individuato la relazione di servizio con riferimento all’appartamento del solo ricorrente, mentre questa aveva oggettivamente l’ampiezza derivante dalla stessa conformazione del fabbricato, non inficia la correttezza della decisione;
– il ricorrente insiste ancora con la memoria sul fatto che la locazione non riguardava il piccolo locale, ma è chiaro che, una volta riconosciuta l’esistenza del vincolo, tale silenzio, in assenza di una clausola di esclusione (Cass. n. 2976/2019), è irrilevante;
– il principio stabilito dall’art. 818 c.c., secondo cui gli atti e i rapporti giuridici, che hanno per oggetto la cosa principale, comprendono anche le pertinenze, se non è diversamente disposto, vale anche per le locazioni (Cass. n. 1231/1965);
– il ricorrente obietta ancora che, se davvero ci fosse stato il rapporto pertinenziale, il proprietario non avrebbe potuto disporre autonomamente del locale;
– neanche tale obiezione coglie nel segno;
– le pertinenze possono formare oggetto di separati atti o rapporti giuridici (art. 818 c.c., comma 2);
– il vincolo pertinenziale tra la cosa accessoria e la cosa principale cessa quando viene oggettivamente meno la destinazione funzionale tra i due beni e quando l’avente diritto, con atto volontario, dispone separatamente della pertinenza (Cass. n. 10147/2004);
– è stato anche chiarito che la disposizione dell’art. 818 c.c., comma 2, che, in mancanza di una diversa volontà delle parti, estende alle pertinenze gli effetti degli atti di alienazione che hanno per oggetto la cosa principale, non implica la necessità, nel caso di alienazione separata della pertinenza e di conseguente cessazione del rapporto pertinenziale, della espressa (e formale) dichiarazione della volontà della nuova e diversa destinazione della cosa (Cass. n. 4832/1994);
– si rileva che la vendita in favore del M., avvenuta con atto pubblico del 22 novembre 1999, precede quella in favore dell’attuale ricorrente (18 aprile 2002) e precede anche la sottoscrizione del preliminare in data 24 dicembre 1999 (pag. 9 del ricorso);
– la decisione della corte d’appello, in presenza dell’accertamento della detenzione iniziale, è altrettanto corretta nella parte in cui ha subordinato l’acquisto del possesso all’intervento di un atto di interversione;
– costituisce principio acquisito che la presunzione di possesso utile ad usucapionem, di cui all’art. 1141 c.c., non opera quando la relazione con il bene non consegua ad un atto volontario di apprensione, ma derivi da un iniziale atto o fatto del proprietario-possessore, come nell’ipotesi della mera convivenza nell’immobile con chi possiede il bene; in tal caso, la detenzione può mutare in possesso soltanto con un atto di interversione, consistente in una manifestazione esteriore, rivolta contro il possessore, affinché questi possa rendersi conto dell’avvenuto mutamento, da cui si desuma che il detentore abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui ed abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio. Tale accertamento realizza un’indagine di fatto, rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, purché risulti logica e congruamente motivata (Cass. n. 27411/2019);
– la corte d’appello ha negato che un simile atto di opposizione fosse intervenuto nel caso di specie, ritenendo irrilevante che l’attuale ricorrente avesse ottenuto la reintegrazione nel possesso esclusivo del locale;
– secondo il ricorrente “l’intervenuto giudicato possessorio, induce a ritenere, senza esitazione, che si sia avverato il presupposto della c.d. interversio possessionis, ovvero della interversione da detenzione in possesso del bene” (pag. 3 della memoria);
– è chiaro che, con tale argomento, non si intende fare coincidere l’interversione con il giudicato possessorio, formatosi dopo il 2000, ma si intende far valere, sotto il profilo dell’interversione, l’accertamento del potere di fatto esclusivo del locale operato nel giudizio possessorio;
– la corte d’appello, però, non ha negato il potere di fatto nei termini dedotti dall’attuale ricorrente, ma ha negato che l’instaurazione di esso potesse configurarsi, di per sé, quale interversione;
– tale valutazione non incorre in alcun vizio logico o giuridico in rapporto ai principi sopra richiamati;
– ed invero, la chiusura del locale costituiva opposizione nei confronti degli altri inquilini che in precedenza, secondo l’esposizione operata dallo stesso ricorrente, utilizzavano il locale stesso, ma non nei confronti del proprietario (cfr. Cass. n. 16489/2002);
– è chiaro che, in assenza di un atto di interversione, il cui accertamento è rimesso al giudice di merito, il ricorrente inutilmente insiste sulla continuità ed esclusività del potere esercitato sulla cosa accertate in sede possessoria:
– come ricorda giustamente la corte d’appello il riconoscimento del possesso, avvenuto nel giudizio possessorio, non pregiudica la diversa qualificazione del potere di fatto nel giudizio petitorio avente ad oggetto l’accertamento dell’avvenuto acquisto del diritto di proprietà o di un altro diritto reale per usucapione, “in quanto il possesso utile ad usucapire ha requisiti che non vengono in rilievo nei giudizi possessori, ove l’accoglimento della domanda prescinde dall’accertamento della legittimità del possesso ed offre tutela ad una mera situazione di fatto che ha i caratteri esteriori dei diritti sopra menzionati” (Cass. n 27513/2020n. 10147/2004);
– il ricorso, pertanto, deve essere rigettato;
– avuto riguardo alla natura della questione sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
– ci sono le condizioni per dare atto D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; dichiara compensate le spese del presente giudizio; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 24 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021
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