Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.20922 del 21/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15110-2016 proposto da:

S.M.M.G., rappresentato e difeso dall’Avvocato PAOLO ALBERTO NOVEL, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Giuseppe Ambrosio, in ROMA, V.le delle BELLE ARTI 7;

– ricorrente –

contro

EDILMEDITERRANEA s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore B.D., rappresentata e difesa dall’Avvocato FULVIO BRIANO, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in SAVONA, P.zza MAMELI 6/6;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 640/2015 della CORTE DI APPELLO di GENOVA, pubblicata il 12/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/03/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

FATTI DI CAUSA

S.M.M.G., proprietaria del fondo contraddistinto nel Catasto del Comune di *****, agiva con azione di reintegra possessoria nei confronti della EDILMEDITERRANEA s.r.l., proprietaria del fondo confinante (mappali *****), posto a livello superiore, che, nel realizzare un’autorimessa interrata a due livelli con destinazione della copertura a parcheggio pubblico adiacente alla stazione, aveva ricostruito il muro posto al confine in posizione più avanzata, così inglobando una canaletta di proprietà attorea, che serviva per il deflusso delle acque dal fondo.

Si costituiva la convenuta, la quale opponeva che l’attrice non aveva mai avuto il possesso dell’area occupata dalla canaletta, in quanto quest’ultima era stata edificata unitamente al precedente muro dalle Ferrovie dello Stato, sue danti causa, nel fondo da queste espropriato a suo tempo per realizzare la ferrovia.

Altro ricorso possessorio veniva proposto in relazione alla realizzazione da parte della convenuta di una scala di accesso e di una nuova canaletta scaricante sul mappale ***** e sulla soletta delle autorimesse di proprietà attorea.

Riunite le cause, espletata C.T.U. e prova testimoniale, con sentenza n. 55/2010, il Tribunale di Savona, Sez. Distaccata di Albenga, accertava che lo spostamento del muro era stato effettivamente realizzato in misura di 50 cm e che il nuovo muro occupava lo spazio in cui instava la canaletta; considerato che il muro era posto tra fondi a dislivello, il confine doveva logicamente essere posto ai piedi del muro e, ai sensi dell’art. 887 c.c., doveva presumersi comune e che, dalle dichiarazioni testimoniali del marito e del figlio dell’attrice, emergeva che questa faceva eseguire regolarmente la pulizia della canaletta; pertanto il Tribunale ordinava la reintegra, da attuarsi con la demolizione e la ricostruzione del muro e il ripristino della canaletta.

Avverso la sentenza proponeva appello la Edilmediterranea s.r.l. lamentando, in rito, l’inammissibilità dell’azione possessoria, trattandosi viceversa di azione di determinazione dei confini di proprietà e, nel merito, sostenendo che originariamente i fondi non erano a dislivello e che la canaletta, costruita insieme al muro, rientrava nella sua proprietà e assumeva di essersi limitata al rifacimento del muro mantenendolo nel proprio fondo; che l’attrice non aveva mai avuto il possesso dell’area contesa, essendo stata la canaletta realizzata ai primi del 1900 dall’ente ferroviario unitamente al muro e destinata all’esercizio di una servitù di presa d’acqua da un pozzo da lungo tempo non più esistente, mentre l’attuale tubo non scaricava sulla proprietà attorea e non sussisteva alcun interesse in relazione alla servitù di scolo.

Con sentenza n. 640/2015, depositata in data 12.5.2015, la Corte d’Appello di Genova accoglieva l’appello. In particolare, la Corte territoriale riteneva infondato il motivo di appello in rito, in quanto l’attrice, pur qualificandosi proprietaria, aveva espresso la volontà di proporre azione possessoria e il proprietario, privato illegittimamente del possesso, è legittimato all’azione di spoglio.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la S.M. sulla base di tre motivi, illustrati da memoria. Resiste la Edilmediterraneo con controricorso e con ricorso incidentale condizionato.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1140,1168 c.c. e art. 703 c.p.c., avendo la Corte d’Appello di Genova basato la propria decisione non già sulla situazione di fatto e/o sull’esercizio del possesso da parte della ricorrente, bensì sul titolo del diritto reale posto a suo fondamento”. Diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di merito, il possesso sarebbe stato esercitato dalla ricorrente uti dominus, in quanto proprietaria dell’area indebitamente spogliata. Ed anche qualora si fosse in presenza di un possesso fondato sull’esercizio di una servitù, tale aspetto sarebbe comunque irrilevante, in quanto il titolo da cui la S.M. trae il proprio ius possidendi non avrebbe rilevanza ai fini dell’azione di reintegra; potendo la sua produzione solo integrare La prova del possesso, ma non costituire il fondamento dell’azione stessa. Sicché la ricorrente deduce di avere dimostrato il suo esercizio di fatto sul bene (riconosciuto dal Tribunale e anche dal Giudice d’appello), seppure limitatamente a un possesso a titolo di servitù e non uti dominus, in tal modo operando per lei una differenziazione irrilevante a fini possessori.

1.1. – Il motivo non è fondato.

1.2. – Correttamente i giudici di merito hanno ritenuto provato il possesso de quo, con argomenti diretti (anche nel contesto dalla espletata CTU) alla individuazione del confine in contestazione in base alla posizione e funzione del muro, nonché alle dichiarazioni rese dai prossimi congiunti della attrice, secondo i quali la canaletta aveva la funzione di scolo di acque dal fondo e periodicamente ne veniva effettuata la pulizia.

In coerenza con tali considerazioni, la Corte territoriale osservava come gli assunti, riguardanti la posizione del confine, non rilevassero in sé, ai fini dell’accertamento del possesso del bene; così come le circostanze in questione non fossero significative del possesso dell’area, ma, al più, dell’esercizio di una servitù; ovvero facendo valere il riferimento alla qualità di proprietaria dell’area oggetto del lamentato spoglio a fare individuare la causa petendi nella tutela del possesso uti dominus e non ad attribuire alla domanda natura petitoria di azione per regolamento di confini o rivendica.

Laddove emerge dagli atti che l’Ente espropriante, dante causa della convenuta, aveva realizzato, unitamente al muro, la canaletta, destinandola al servizio del fondo confinante con finalità però diverse dallo scolo delle acque dal fondo; sicché la consistenza in “unico blocco” della canaletta e del muro era stata confermata dal CTU. Ed a corroborare tali risultanze valeva altresì la produzione con l’atto di appello della perizia, effettuata in sede di esproprio nel 1909, cui l’appellata non s’e’ opposta; documento, questo, ritenuto necessario per la decisione ai fini dell’accertamento dell’animus possidendi, nel quale si dichIarava che, in corrispondenza del limite nuovo della zona espropriata, sarebbe stato costruito un muro di sostegno su terreno della amministrazione ferroviaria, destinato a rimAnere di proprietà della Amministrazione (sentenza pag. 4).

2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1140 e 1168 c.c., avendo la Corte d’Appello di Genova basato la propria decisione sull’assunto per cui il possesso sulla fascia di terreno oggetto di spoglio sarebbe stato esercitato dalla signora S.M.M.G., non già uti dominus ma quale titolare di un diritto di servitù”. Tale affermazione è in contrasto con la perizia redatta in occasione dell’espropriazione intrapresa agli inizi del 1900 dall’Amministrazione Ferroviaria. A tale produzione, da parte dell’odierna resistente, la S.M. non aveva alcuna ragione di opporsi in quanto il documento, letto correttamente (e non parzialmente come ha fatto il Giudice di secondo grado) conferma definitivamente che il fondo, oggi di proprietà della ricorrente e del cui possesso quest’ultima è stata spogliata, terminava al piede del vecchio muro di sostegno e che il successivo avanzamento del nuovo muro aveva invaso la fascia di terreno dove insisteva la canaletta, ledendo così il possesso esercitato dalla ricorrente uti dominus. Si sottolinea che, in base agli accordi raggiunti in occasione dell’esproprio, le Ferrovie dello Stato si erano impegnate a costruire, in corrispondenza del limite nuovo della zona espropriata, un muro di sostegno su terreno dell’Amministrazione ferroviaria che sarebbe rimasto di proprietà di questa; a munire la nuova opera di un canaletto per l’irrigazione del rimanente terreno, conforme all’attuale, assolvendo all’impegno di ricostruire nella proprietà Sa. (oggi S.M.) tutti i manufatti necessari per l’irrigazione del rimanente terreno in conformità dello stato attuale delle cose; pertanto, l’unico manufatto che sarebbe stato necessario ricostruire nella proprietà Sa. e avente finalità di irrigazione del rimanente terreno era la canaletta.

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – Il giudice di secondo grado, valutando il corredo probatorio, è giunto a ritenere che il giudice di primo grado avesse, del tutto correttamente, provato il possesso da parte della ricorrente esclusivamente con riferimento ad argomentazioni, relative al posizionamento del confine tra le aree in questione, irrilevanti ai fini della tutela di cui all’art. 1168 c.c.

La Corte distrettuale ha così rigettato le domande svolte dalla ricorrente ponendo in rilievo come, nella fattispecie, “non sussistessero i presupposti necessari per l’accoglimento della pretesa avanzata, ovvero il possesso della res oggetto del presunto (e contestato) spoglio né un’azione qualificabile come spoglio rilevante”; negando, del pari, che risultasse provata “alcuna interversione del possesso tutelabile mediante l’azione di reintegrazione non avendo la ricorrente assolto all’onere probatorio sulla stessa incombente” (controricorso, pag. 7). Ciò in quanto il possesso desumibile dalle dichiarazioni testimoniali e dalle oggettive catatteristiche dei luoghi, non aveva le caratteristiche del possesso uti dominus, posto a fondamento della domanda, ma piuttosto quelle “ad immagine di servitù”; sicché l’attività della confinante, ritenuta dalla controparte attrice inidonea, non può quindi essere considerata spoglio del possesso uti dominus, bensì del possesso ad immagine di servitù: figura che tuttavia nel presente giudizio non è stata oggetto di domande in rito e di merito.

3. – Con il terzo motivo, la ricorrente censura la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., art. 1168 c.c. e art. 703 c.p.c. avendo la Corte d’appello respinto la richiesta di reintegra nel possesso per diversa ed errata qualificazione delle domande (petitum e causa petendi) quale possesso a titolo di servitù e non uti dominus. La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che, avendo la medesima fondato la domanda di reintegra nell’esercizio di un possesso uti dominus e non a titolo di servitù, la richiesta di reintegra non potesse essere accolta, trattandosi di domanda diversa con riferimento al petitum e alla causa petendi. La ricorrente ribadisce che la Corte d’appello confonde il “valore” del possesso, cioè il potere di fatto su un bene con la situazione di diritto, che risulta irrilevante in sede possessoria. Risulta così palese l’errore in cui è incorso il Giudice di secondo grado.

3.1. – Il motivo non è ammissibile.

3.2. – Alla luce dei principi in tema di qualificazione delle domande, non può dunque dubitarsi che l’azione possessoria volta alla tutela del possesso uti dominus siano differenti, sia come causa petendi che come petitum; dal canto suo la Corte d’Appello ha statuito conformemente al pacifico principio, secondo cui, ai fini dell’accoglimento dell’azione possessoria, la parte che invoca la tutela deve dimostrare di avere esercitato nell’anno precedente al supposto spoglio un possesso continuativo sulla res. La Corte di merito aveva, coerentemente rilevato che non sussistevano i presupposti per l’accoglimento della pretesa avanzata, in quanto il possesso del bene non aveva le caratteristiche del possesso uti dominus posto a fondamento della domanda e che non risultava alcuna interversione del possesso, non essendo stato assolto il relativo onere probatorio.

4 – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente S.M.M.G. al pagamento in favore della società controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 4.500,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

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