Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.20924 del 21/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17816-2016 proposto da:

S.M.F., elettivamente domiciliato in Catania, via Dalmazia n. 57, presso lo studio dell’avv.to MARIAGRAZIA CARUSO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE CATANIA, elettivamente domiciliato in via Umberto n. 11, rappresentato e difeso dall’avv.to WALTER PEREZ;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 94/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 15/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/03/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Catania rigettava la domanda di usucapione formulata da S.M.F. relativa alla parte di terreno rientrante nella particella *****, di superficie pari a circa 20.000 metri quadrati, asseritamente non utilizzata dall’amministrazione comunale per la realizzazione del centro direzionale e dell’autoparco del servizio di nettezza urbana, già rientrante nel patrimonio disponibile anche per effetto di sdemanializzazione.

Secondo il Tribunale nessuna emergenza istruttoria deponeva a favore di un possesso ventennale senza soluzione di continuità per il periodo successivo all’ordinanza di sgombero del 24 gennaio 1976 ed alla corresponsione dell’indennizzo ex art. 1150 c.c. da parte dell’amministrazione comunale a definizione transattiva del giudizio tenutosi dinanzi al locale Tribunale Amministrativo Regionale. In particolare, sebbene l’attore avesse documentato di aver concesso in comodato la porzione controversa alla ditta di G.A., i verbali di affidamento in custodia di alcuni veicoli sequestrati non recavano una data posteriore al 2000 ed un sopralluogo successivo aveva di contro accertato il totale abbandono del terreno, sicché il Tribunale riteneva non decorso il termine di cui all’art. 1158 c.c., considerato che l’impossessamento del terreno non poteva, sulla base degli elementi probatori raccolti essere temporalmente collocato in data anteriore al 10 maggio 1982.

2. S.M.F. proponeva appello avverso la suddetta sentenza.

3. Si costituiva il Comune di Catania insistendo per il rigetto del gravame.

4. La Corte d’Appello di Catania rigettava l’impugnazione. In particolare, la Corte d’Appello evidenziava la mancanza di prova del possesso pubblico e ventennale del terreno oggetto della controversia. Non vi era prova dell’inizio del possesso cominciato nel 1965, mentre vi era prova che nel 1976, a seguito di un’ordinanza di sgombero, era iniziata una controversia e S. aveva riscosso l’indennizzo offerto in via transattiva dal Comune di Catania, in data successiva alla Delib. comunale 26 settembre 1979. Tale circostanza faceva presumere la restituzione dell’immobile espressamente citato nella delibera con sgombero bonario del terreno e, dunque, vi era stata interruzione del possesso. Lo sgombero non era avvenuto prima del 1981 mentre, per il periodo successivo, l’unica prova del possesso dello S. era rappresentata da una scrittura privata non registrata con il quale aveva concesso in comodato il terreno ad un terzo, tale G.A.. Questi aveva occupato il terreno tra il 1984 e il 2000 per esercitarvi l’attività di autosoccorso stradale come provato dai verbali di sequestro di autoveicoli prodotti dall’appellante. La scrittura privata non era stata registrata e non aveva data certa e dunque non si poteva desumere la prova del riacquisto del possesso da parte dello S. dopo la restituzione del terreno al Comune di Catania a meno di non volerlo ritenerlo clandestino e, dunque, non utile all’usucapione.

Le altre prove non erano sufficienti a dimostrare l’utilizzo del terreno in data successiva all’anno 2000, mentre un sopralluogo ne aveva accertato lo stato di abbandono.

5. S.M.F. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di un motivo.

6. Il Comune di Catania ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale sulla base di un motivo.

7. Il ricorrente con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa interpretazione dell’art. 1167 c.c., nonché degli artt. 1140 e 1142 c.c. in relazione all’art. 1158 c.c., violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 342 c.p.c.

La censura si incentra sulla ritenuta interruzione del possesso rappresentato dall’ipotizzata restituzione dell’immobile. Negli atti non vi sarebbe alcun elemento dal quale desumere l’anzidetta interruzione che era onere del Comune provare ai sensi dell’art. 1142 c.c. Non essendoci alcun riscontro all’ipotizzata interruzione del possesso, sicché questo doveva essere presumersi ricorrente anche nei periodi intermedi come del resto confermato anche dalle deposizioni testimoniali che il ricorrente riporta nel ricorso. Da tali dichiarazioni, insieme alla documentazione versata in atti, risulterebbe il possesso da parte dello S. anche mediante quello esercitato da G.A. che aveva avuto il terreno in comodato. Tale possesso si sarebbe protratto fino al 2012 e dunque si sarebbe realizzata la fattispecie di cui all’art. 1140 c.c., comma 2.

Il ricorrente ritiene poi circostanze non contestate e dunque passate in giudicato sia quella dell’inizio del possesso negli anni 60 sia quella del possesso mediato sulla scorta del contratto di comodato. Tali circostanze dunque non potevano essere rimesse in discussione dalla Corte d’Appello non essendo state oggetto di specifica contestazione. Il ricorrente in ogni caso contesta la ricostruzione in fatto operata dalla Corte d’Appello sul presunto abbandono del terreno.

1.1 Il motivo di ricorso è inammissibile.

La Corte d’Appello ha ritenuto che non vi fosse alcuna prova circa l’inizio del possesso del terreno da parte dello S. nel 1965, mentre risultava provato che nel 1976, a seguito di un’ordinanza di sgombero del medesimo terreno, fosse iniziata una controversia con il Comune di Catania dinanzi al TAR e che S. avesse riscosso l’indennizzo offerto in via transattiva dal Comune. Ciò era avvenuto in data successiva alla Delib. comunale 26 settembre 1979 e la restituzione dell’immobile espressamente citato nella delibera con sgombero bonario del terreno non era avvenuto prima del 1981. Sulla base di tale accertamento in fatto il giudice del merito ha ritenuto che, a quella data, il possesso del terreno da parte del ricorrente si fosse interrotto. Quanto al periodo successivo la Corte d’Appello ha ritenuto che il contratto di comodato con il quale il ricorrente aveva concesso l’uso del terreno ad G.A. non era una prova sufficiente in quanto il suddetto contratto non era registrato e non aveva data certa. Inoltre, vi era prova del possesso da parte di G.A. solo fino all’anno 2000 mentre successivamente il terreno a seguito di un sopralluogo era risultato abbandonato.

Ciò premesso, deve evidenziarsi che la complessiva censura proposta dal ricorrente si risolve nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, cosi mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità. Le censure, pertanto, anche là dove denunciano il vizio di violazione e falsa applicazione di legge si appalesano inammissibili, giacché – a fronte dell’anzidetto accertamento compiuto dalla Corte territoriale, la quale ha individuato le fonti del proprio convincimento e valutato le risultanze probatorie, dando conto dell’iter logico e deduttivo seguito. Infatti, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 3267 del 12/02/2008, Rv. 601665), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.

2. Il Comune di Catania ha proposto ricorso incidentale fondato su un motivo avente ad oggetto il rigetto da parte della Corte d’Appello del motivo di gravame incidentale riguardante la compensazione delle spese processuali del primo grado in considerazione della complessità della vicenda, con compensazione altresì anche delle spese del giudizio d’appello. Secondo il ricorrente in tal modo la Corte d’Appello avrebbe violato gli artt. 91 e 92 c.p.c. e, pertanto, chiede la riforma della sentenza con condanna del ricorrente alle spese del primo e secondo grado di giudizio.

2.1 Il motivo proposto con il ricorso incidentale è inammissibile.

Il Comune lamenta da un lato il rigetto del motivo di appello relativo alla compensazione delle spese del primo grado di giudizio e dall’altro, come diretta conseguenza del rigetto dell’appello incidentale, la compensazione delle spese del grado di appello.

Quanto alla violazione dell’art. 91 è sufficiente richiamare il principio secondo il quale la soccombenza comporta solo che è vietato condannare alle spese la parte totalmente vittoriosa (Cass. n. 18128 del 31/08/2020 Rv. 658963 – 01). Nel caso in esame non vi è stata alcuna condanna alle spese, quindi, il ricorrente evoca la violazione di una norma estranea alla fattispecie.

Quanto alla violazione dell’art. 92 deve evidenziarsi il difetto di specificità del motivo. Il ricorrente, infatti, non indica la data di inizio della controversia. Tale elemento è decisivo in quanto in materia di spese giudiziali civili, nei giudizi instaurati anteriormente all’entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, la compensazione delle spese poteva essere disposta – ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo anteriore alle modifiche apportate dall’art. 45, comma 11 di detta legge – per “giusti motivi esplicitamente indicati dal giudice nella motivazione della sentenza”.

Nella vigenza di tale regime si è ritenuto che: “Al di fuori dei casi di soccombenza reciproca, i giusti motivi di compensazione totale o parziale delle spese previsti dall’art. 92 c.p.c. (da indicare esplicitamente in motivazione per i procedimenti instaurati dal 1 marzo 2006, a seguito della sostituzione del comma 2 di detta norma per effetto della L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a, e succ. modif. ed integr.) possono essere evincibili anche dal complessivo tenore della sentenza, con riguardo alla particolare complessità sia degli aspetti sostanziali che processuali, ma se nessuno di tali presupposti sussiste deve applicarsi il generale principio della condanna alle spese della parte soccombente, non potendo trovare luogo l’esercizio del potere discrezionale giudiziale di compensazione” (Sez. 3, Sent. n. 7766 del 2010).

Peraltro, anche nel regime introdotto dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 11 si è ritenuto che il sindacato della Corte di Cassazione, in materia di spese processuali deve ritenersi limitato al controllo dell’osservanza del principio della soccombenza e della congruità della motivazione nel caso di compensazione per gravi ed eccezionali ragioni. Tali ragioni potevano essere individuate anche nella particolare complessità della vicenda come motivato nella specie dalla Corte d’Appello rispetto ad una controversia di oggettiva complessità.

Infatti, solo successivamente il legislatore è intervenuto nuovamente in senso ulteriormente restrittivo con il D.L. 12 settembre 2014, n. 132, come modificato dalla Legge di conversione 10 novembre 2014, n. 162 che ha limitato la compensazione delle spese ai soli casi di novità della questione trattata o al mutamento della giurisprudenza.” Tale ultima modifica della disciplina della compensazione delle spese è stata oggetto di un intervento novativo a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 77 del 2018 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo modificato dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 13, comma 1 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, nella L. 10 novembre 2014, n. 162, nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni.

3. In conclusione la Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale, in virtù della reciproca soccombenza compensa le spese del giudizio di cassazione.

10. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale e compensa le spese del giudizio di legittimità;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

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