LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24555/2020 proposto da:
I.E., elettivamente domiciliato in Roma Piazza Cavour, presso la CANCELLERIA della CORTE SUPREMA di CASSAZIONE, e rappresentato e difeso dall’avvocato Giacinto Corace;
– ricorrente –
Contro
Ministero dell’interno, *****, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
avverso il decreto n. cronol. 5194/2020 del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 17/07/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/07/2021 da Dott. IOFRIDA GIULIA.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Milano, con decreto n. cronol. 5194/2020, depositato in data 17/7/2020, ha respinto la richiesta di I.E., cittadino della *****, a seguito di diniego della competente Commissione Territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.
In particolare, il Tribunale, all’esito dell’udienza di comparizione delle parti, ha osservato che la vicenda personale narrata dal medesimo (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine per sfuggire alle minacce di alcuni aderenti a setta dei cultisti, che avevano intimato alla madre di lasciare loro un terreno di proprietà, provocando la reazione, a difesa, del richiedente, con accoltellamento, da parte sua, dell’aggressore, durante una colluttazione) non era credibile, per genericità ed evidenziate incongruenze, con conseguente insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. a) e b); quanto alla protezione sussidiaria, ex art. 14, lett. c) stessa legge, la regione di provenienza del richiedente non era interessata da conflitti armati interni (secondo i report consultati di World Report, ed EASO 2017); non ricorrevano neanche i presupposti della protezione umanitaria, dovendosi escludere condizioni di vulnerabilità, oggettive o soggettive.
Avverso il suddetto decreto, I.E. propone ricorso per cassazione, notificato via PEC il 23/9/2020, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che dichiara di costituirsi al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione).
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, sia la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2,3,4,5,6 e 14, D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU, sia l’omesso esame di fatti decisivi, sia la nullità della decisione per motivazione apparente, ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, non avendo il Tribunale, in ordine alla credibilità delle dichiarazioni, compiuto un esame comparativo tra le informazioni provenienti dal richiedente e la situazione in ***** delle minoranze etniche indicate; b) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 avendo il Tribunale escluso il rischio di persecuzione o la protezione sussidiaria, violando il dovere di cooperazione istruttoria, non consultando fonti aggiornate e pertinenti sulla situazione del Paese d’origine; c) con il terzo motivo, sia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2, nonché art. 10, comma 3, sia l’omesso esame di fatto decisivo e la motivazione apparente in relazione alla mancata concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
2. Preliminarmente, deve essere rilevato che la procura rilasciata dal richiedente al difensore, apposta su foglio separato e materialmente congiunto all’atto, è priva della certificazione dal secondo della data di rilascio, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, comma 13, così da non consentire la verifica del suo conferimento in epoca successiva alla comunicazione del decreto impugnato (recando unicamente l’autenticazione della firma con la seguente formula: “E’ firma vera ed autentica”).
3. Orbene, in data 1/6/2021, è stata pubblicata la sentenza n. 15177 delle Sezioni Unite di questa Corte.
Le Sezioni Unite, componendo un contrasto giurisprudenziale, hanno affermato che l’art. 35 bis, comma 13 citato (nel testo risultante dalla conversione del D.L. n. 13 del 2017, con modificazioni, ad opera della L. 13 aprile 2017, n. 46), nella parte in cui prevede che “la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato” e che “a tal fine il difensore certifica la data del rilascio in suo favore della procura medesima”, richiede, quale elemento di specialità, rispetto alle ordinarie ipotesi di rilascio della procura speciale, regolate dagli artt. 83 e 365 c.p.c., il requisito della posteriorità della data rispetto alla comunicazione del provvedimento impugnato: appunto prevedendo una speciale ipotesi di inammissibilità del ricorso nel caso di mancata certificazione della data di rilascio della procura in suo favore da parte del difensore, integrante ipotesi di nullità per il suo invalido conferimento (Cass. SU 10 giugno 2021, n. 15177).
4. Con ordinanza interlocutoria 23 giugno 2021, n. 17970, questa Corte ha rimesso alla Corte costituzionale, ritenendone la rilevanza e la non manifesta infondatezza, la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, comma 13 e art. 13, per contrarietà agli artt. 3,10,24,111 Cost., per contrasto con l’art. 117 Cost. in relazione alla direttiva 2013/32/UE con riferimento agli artt. 28 e 46 p. 11 e con gli artt. 47 della Carta dei diritti UE, 18 e 19, p.2 della medesima Carta, 6, 7, 13 e 14 della CEDU.
5. Ora, una sommaria delibazione dei motivi del ricorso esclude la rilevanza a fini decisori della questione di legittimità costituzionale sollevata, cosicché ben può essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso per nullità della procura, senza attendere la pronuncia della Corte costituzionale.
6. In conclusione, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso senza assunzione di un provvedimento sulle spese del giudizio, non avendo il Ministero vittorioso svolto attività difensive.
7. Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto, con la precisazione che esso va posto a carico del ricorrente dandosi seguito alla citata sentenza delle Sezioni Unite nella quale sul punto è stato affermato il seguente principio di diritto: “il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, in caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione conseguente alla mancata presenza, all’interno della procura speciale, della data o della certificazione del difensore della sua posteriorità rispetto alla comunicazione del provvedimento impugnato, va posto a carico della parte ricorrente e non del difensore, risultando la procura affetta da nullità e non da inesistenza”.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021
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