LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14715 del ruolo generale dell’anno 2014, 2014, proposto da:
Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si domicilia;
– ricorrente –
contro
s.r.l. B & D, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale alle liti per notar B.G., rep. n. ***** del *****, dall’avv. Irene Vaglia, con studio in Grottaglie, alla via Coccioli, n. 2;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia, sede di Taranto, depositata in data 10 dicembre 2014, n. 2542/29/14;
udita la relazione svolta alla pubblica udienza del 14 aprile 2021 dal consigliere Angelina-Maria Perrino;
sentita la Procura generale, in persona del sostituto procuratore generale De Augustinis Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo di ricorso.
FATTI DI CAUSA
Emerge dagli atti che l’Agenzia delle entrate ha contestato alla contribuente l’indebita detrazione dell’iva e l’indebita deduzione dei costi, ai fini delle imposte dirette, relativi risultanti da cinque fatture che ad avviso dell’amministrazione finanziaria erano relative ad operazioni inesistenti, secondo quanto emergeva dalle dichiarazioni rese del legale rappresentante della società fornitrice alla guardia di finanza.
La s.r.l. B & D ha impugnato il relativo avviso, senza successo in primo grado.
Al contrario, la Commissione tributaria regionale della Puglia ha accolto l’appello della contribuente perché ha ritenuto inattendibili, e comunque non suffragate da ulteriori elementi, le dichiarazioni rese dal legale rappresentante della fornitrice, evasore totale; e ha concluso per la totale carenza della motivazione dell’avviso.
Contro questa sentenza propone ricorso l’Agenzia delle entrate per ottenerne la cassazione, che affida a tre motivi, cui la società risponde dapprima con “atto di costituzione”, poi con controricorso e infine con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Deve essere, in via preliminare, esaminata la questione degli effetti derivanti dalla circostanza che le conclusioni del Procuratore generale sono state formulate e spedite alla cancelleria della Corte in data 31 marzo 2021, dunque tardivamente (di un giorno) rispetto al termine prescritto dal D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 176 del 2020), che lo individua nel “quindicesimo giorno precedente l’udienza” (nella specie corrispondente al 30 marzo), prevedendo poi – in conformità alla regola generale – che i difensori delle parti possono depositare memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c., “entro il quinto giorno antecedente l’udienza”.
Il Collegio ritiene che la tardività sia fonte di nullità processuale di carattere relativo, la quale, pertanto, resta sanata a seguito dell’acquiescenza delle parti ai sensi dell’art. 157 c.p.c..
Premesso, infatti, che l’intervento del Procuratore generale nelle udienze pubbliche dinanzi alle Sezioni unite civili e alle sezioni semplici della Corte di cassazione è obbligatorio – a pena di nullità assoluta rilevabile d’ufficio (art. 70 c.p.c. e art. 76 ord. giud.) – in ragione del ruolo svolto dal Procuratore generale a tutela dell’interesse pubblico, la tempestività dell’intervento, in relazione al disposto del citato del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, opera invece esclusivamente a tutela del diritto di difesa delle parti, con la conseguenza che deve ritenersi rimessa a queste ultime la facoltà – e l’onere – di eccepirne la tardività, in base alla disciplina prevista per le nullità relative.
2.- Sempre in via preliminare va dichiarata la tardività del controricorso, notificato soltanto in data 15 marzo 2021 e depositato il successivo 18 marzo, che vale, pertanto, come memoria.
3.- I tre motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, con i quali l’Agenzia denunzia l’omessa considerazione del fatto decisivo costituito dalla qualità di indiziato di reato del dichiarante (primo motivo), la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e degli artt. 2727 e 2729 c.c. (secondo motivo, nonché la violazione dell’art. 654 c.p.p. e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7), sono inammissibili, perché sono tutti volti a censurare la valutazione d’inattendibilità delle dichiarazioni del terzo, indicate in narrativa, compiute dal giudice d’appello.
Sono difatti riservati al giudice di merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la selezione delle prove reputate utili alla formazione del proprio convincimento; e, in particolare, è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” delle dichiarazioni (Cass. n. 21187/19; n. 331/20).
3.1.- D’altronde, le dichiarazioni scritte, provenienti da terzi estranei alla lite su fatti rilevanti, possono sì assumere valore d’indizio, e quindi concorrere a formare il convincimento del giudice, ma non sono idonee a costituire, da sole, il fondamento della decisione (cfr. Corte Cost. n. 18/2000, ripresa, tra varie, da Cass. n. 29757/18).
Inconferente è quindi il richiamo contenuto in ricorso al preteso valore confessorio delle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società fornitrice: sono, difatti, le dichiarazioni rese dal contribuente alla guardia di finanza in sede di verifica fiscale che possono integrare confessione stragiudiziale, ai sensi dell’art. 2735 c.c., costituendo sì prova diretta del maggior imponibile eventualmente accertato, ma a carico del dichiarante (tra le più recenti, Cass. n. 592/21).
Significativamente, d’altronde, questa Corte, in relazione alla medesima contribuente e ad analoga fattispecie, relativa ad altro anno d’imposta, ha già sottolineato l’inammissibilità delle censure proposte dall’Agenzia (Cass. n. 13366/16).
54i- Il ricorso va quindi rigettato e le spese seguono la soccombenza.
PQM
rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia a pagare le spese, che liquida in Euro 3000,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, 15% a titolo di spese forfettarie, iva e cpa.
Così deciso in Roma, il 14 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021