LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –
Dott. FRAULINI Paolo – rel. Consigliere –
Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 10123/2015 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
Contro
Safas s.r.l. in liquidazione, elettivamente domiciliata in Roma, via Po n. 9 d), presso lo studio dell’avv. Francesco Napolitano, che la rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1161/10/14 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata in data 28 febbraio 2014;
Letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Umberto de Augustinis, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
letta la memoria ex art. 378 c.p.c., depositata in data 13 maggio 2021 dalla controricorrente;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 maggio 2021 dal Consigliere Paolo Fraulini.
FATTI DI CAUSA
1. La Commissione tributaria regionale del Lazio ha confermato la sentenza di primo grado che aveva parzialmente accolto il ricorso proposto dalla Safas s.r.l. avverso l’avviso di accertamento n. *****, avente a oggetto, per quanto in questa sede ancora rileva, recupero a tassazione di maggior reddito a fini Ires, derivante da indebita deduzione di costi relativi a interessi passivi correlati a operazioni di finanziamento effettuate in favore della società dal socio S.G.F., in relazione al periodo di imposta 2005.
2. Ha rilevato il giudice di appello che, nella specie, risultava correttamente applicata l’esimente – prevista dall’allora vigente art. 98, comma 2, lett. b) del Testo Unico delle Imposte sui Redditi laddove la contribuente aveva dimostrato che l’ammontare del finanziamento ricevuto dal socio era giustificato dalla propria capacità reddituale, atteso che nel patrimonio figurava un valore aziendale di più di 2.421.000 Euro e un immobile ipotecato di valore pari a 1.961.000,00 Euro, a fronte di un finanziamento soci di 981.269 Euro.
3. Per la cassazione della citata sentenza l’Agenzia delle Entrate ricorre con un motivo, resistito dalla Safas s.r.l. in liquidazione con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso lamenta “Violazione e Falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 98, con particolare riferimento al comma 2, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, deducendo l’erroneità della sentenza nell’interpretazione della norma citata, la cui corretta esegesi avrebbe dovuto condurre a rilevare l’inutilizzabilità della perizia di stima prodotta dal società, sia perché risalente a due anni prima della contestazione, sia perché attestante il valore aziendale complessivo e non il valore del patrimonio sociale.
2. Parimenti sarebbe stata mal valutata la questione del valore del bene ipotecato, relativo a un finanziamento risalente al 1999 e solo parzialmente considerato.
3. La controricorrente ha argomentato l’inammissibilità dell’avverso ricorso, di cui ha chiesto comunque il rigetto.
4. Il ricorso va respinto.
5. Come già condivisibilmente affermato da questa Corte (Sez. 6-5, Sentenza n. 26489 del 26/11/2013), la ratio del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 98, all’epoca dei fatti vigente, si identificava nella repressione di condotte abusive tese a determinare, da un canto, la sottocapitalizzazione di una società rispetto all’attività di impresa esercitata e, d’altro canto, il contestuale finanziamento della stessa con apporto di capitale di credito da parte dei soci qualificati, così determinandosi una situazione di elusione.
6. Elusione consistente – per la società – nel vantaggio fiscale ottenibile nell’imposta risparmiata grazie alla deducibilità dal suo reddito d’impresa degli interessi passivi corrisposti ai soci rispetto alla diretta corresponsione di dividendi fiscalmente indeducibili, mentre – per i soci qualificati – nel minore o nullo ammontare dell’imposta che gli stessi assolvono sugli interessi attivi percepiti rispetto all’ammontare di quell’altra che avrebbero scontato sui dividendi.
7. Tanto ha determinato che, per regola, i finanziamenti concessi alla società dai soci qualificati erano considerati indeducibili, salvo che la società e i soci fornissero prova delle condizioni di esenzione previste dal cit. art. 98, comma 2.
8. Nel caso di specie, oggetto del contendere è l’applicazione dell’esimente prevista dal cit. art. 98 TUIR, comma 2, lett. b), che prevede che siano deducibili i finanziamenti concessi a società che dimostrino di avere una capacità di credito che giustifichi l’importo dei finanziamenti ricevuti dal socio qualificato e che, pertanto, tali finanziamenti sarebbero stati concessi anche da terzi indipendenti, con la garanzia del solo patrimonio sociale.
9. Tali parametri normativi di riferimento sono stati correttamente individuati e applicati dai giudici di merito nella fattispecie che ne occupa, posto che tanto la CTP che la CTR risultano aver identificato la normativa applicabile in modo corretto e, altrettanto correttamente, compreso che oggetto della valutazione probatoria è esattamente la verifica della capacità di credito della società sul mercato e della conseguente indifferenza che il finanziatore sia stato nella specie un socio, anziché un terzo a ciò abilitato.
10. Ciò che, in effetti, il motivo di ricorso lamenta, non e’, come parrebbe dall’epigrafe – che richiama l’art. 360 c.p.c., n. 3) – la falsa applicazione dell’art. 98 TUIR, comma 2, lett. b).
11. A ben vedere, oggetto di censura è il risultato del giudizio valutativo delle prove offerte dalla società a dimostrazione della sussistenza del requisito di esonero dalla indeducibilità.
12. Ciò che, come è ben noto, non è ammissibile in questa fase di legittimità, salvo che non si deduca l’omissione di fatti decisivi, ovvero l’inidoneità della motivazione a raggiungere il minimo costituzionale di intelligibilità della ratio decidendi, circostanze entrambe non dedotte nella specie.
13. Nel presente giudizio, infatti, l’accertamento di merito, conforme dei due gradi, ha valorizzato gli elementi forniti dalla società (perizia di stima del valore aziendale e mutuo concesso da un istituto di credito), ritenendoli idonei a qualificare nella specie il requisito di “capacità di credito”, che la norma prevede per ritenere non elusiva l’operazione di finanziamento.
14. A fronte di tale convergente approdo ermeneutico, il ricorso contesta che la perizia sia utilizzabile al fine di dimostrare la capacità di credito della società, siccome non sarebbe attuale e non renderebbe quindi conto del valore corrente del patrimonio, laddove anche l’operazione ipotecaria sarebbe relativa a un finanziamento del 1999, altrettanto risalente nel tempo.
15. Ma dalla lettura della sentenza impugnata si evince con chiarezza che la CTR ha inteso valorizzare tali due elementi proprio al fine di ritenere dimostrata la capacità autonoma di credito della società – concetto in verità piuttosto atecnico e, quindi, riferibile tanto alla valutazione della sola consistenza aziendale piuttosto che a specifici parametri di bilancio, quanto alla valorizzazione di specifici elementi patrimoniali (il valore del bene sociale ipotecato, di gran lunga superiore al valore ad esso attribuito nel contratto di finanziamento), ritenuti idonei allo scopo.
16. Detto che la norma in esame non prevede alcun criterio di attualizzazione dei parametri di stima della capacità di credito – di talché non coglie nel segno la sola lamentata “vetustà” della perizia, in mancanza di allegazione di sintomi di incongruenza – è evidente che la censura in esame tenti di indurre questa Corte a una riedizione del giudizio di valutazione dell’idoneità delle prove offerte a far ritenere assolto il relativo onere imposto ex lege, ciò che in questa sede, si ripete, non è consentito, volta che la sentenza renda, come nella specie, una motivazione congrua e perfettamente intellegibile.
17. La soccombenza della parte pubblica comporta la condanna alla rifusione alla controparte delle spese di fase, liquidate come in dispositivo, ed esonera la Corte dal provvedere in tema di raddoppio del contributo unificato.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate a rifondere alla Safas s.r.l. in liquidazione le spese della presente fase di legittimità, che liquida in complessivi Euro 7.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021