LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
Dott. ARMONE Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11582/2014 R.G. proposto da:
Piramide Srl in liquidazione, rappresentata e difesa dall’Avv. Marta De Manincor, con domicilio eletto presso l’Avv. Afredo Placidi, in Roma, via Cosseria n. 2, giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 110/22/13, depositata il 29 ottobre 2013.
e sul ricorso iscritto al n. 25728/2014 R.G. proposto da:
Pino s.s., in persona della Piramide Srl, rappresentata e difesa dall’Avv. Marta De Manincor, con domicilio eletto presso l’Avv. Alfredo Placidi, in Roma, via Cosseria n. 2, giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 109/22/13, depositata il 29 ottobre 2013.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dell’8 marzo 2021 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.
RILEVATO
che:
Pino s.s., in persona della Piramide Srl, impugnava l’avviso di accertamento per Ires per l’anno 2003, con cui l’Agenzia delle entrate aveva disconosciuto i dividendi ricevuti, pari ad Euro 3.470.000,00, attraverso intestazione fiduciaria alla Fortune Fiduciaria Spa e alla Mythos Fiduciaria Spa dalla società Principium Srl, e i connessi crediti d’imposta pari ad Euro 1.787.397,00.
L’Agenzia delle entrate, in particolare, in base ad una pluralità di verifiche fiscali nei confronti delle società gravitanti sul suddetto gruppo Mythos, tra cui la Fortune Fiduciaria Spa e la Principium Srl e la stessa Pino s.s., aveva evidenziato che le operazioni poste in essere da tali società, legate da reciproche partecipazioni, dirette ed indirette, erano preordinate alla realizzazione di una frode, con attribuzione di crediti d’imposta in base ad utili fittizi e creazione di eccedenze di imposta non spettanti da trasferire ad altre società.
La contribuente, con il ricorso, deduceva l’illegittimità dell’avviso e la non fondatezza della pretesa per l’effettività dei dividendi.
L’impugnazione era rigettata dalla CTP di Milano con sentenza n. 141/18/11. La decisione era confermata dal giudice d’appello.
Analogo avviso di accertamento, per Iva, Ires e Irap per l’anno 2003, veniva altresì notificato alla società Piramide Srl, quale socio totalitario della Pino s.s.; con esso l’Agenzia delle entrate aveva disconosciuto il credito d’imposta pari ad Euro 1.752.903,00, con recupero dell’importo derivante da minusvalenze da alienazione di partecipazioni pari ad Euro 3.400.600,00, derivanti dalla partecipazione alla società semplice Pino s.s., attesa, in relazione alle medesime condotte, l’inesistenza delle operazioni che vi avevano dato origine. Riprendeva a tassazione, inoltre, i costi per consulenze ed assistenze direzionali fornite dalla società Mythos Spa perché inesistenti oggettivamente e soggettivamente.
L’impugnazione della Piramide Srl, che, parimenti, contestava la legittimità dell’avviso e la non fondatezza della ripresa per essere gli utili effettivi e, in ogni caso, per l’inapplicabilità delle sanzioni – era rigettata dalla CTP di Milano con sentenza n. 143/18/11. La decisione era confermata dal giudice d’appello.
Pino s.s. ricorre per cassazione con quattro motivi, poi illustrato con memoria.
Piramide Srl in liquidazione ricorre per cassazione con sei motivi, pure illustrato con memoria.
L’Agenzia delle entrate resiste con separati controricorsi.
CONSIDERATO
che:
1. Preliminarmente va disposta la riunione del ricorso r.g.n. 25728/2014 al ricorso r.g.n. 11582/2014, di iscrizione più risalente.
I ricorsi, infatti, – sebbene si debba dare atto che il secondo abbia ad oggetto, insieme ad un nucleo unitario e comune, anche ulteriori pretese (la ripresa a tassazione relativa a costi inesistenti per consulenze) – vertono sul medesimo accertamento, concernente la società di persone (Pino s.s.) e il suo socio, totalitario, Piramide Srl.
1.1. La peculiarità della fattispecie, che vede una società di capitali socio esclusivo di una società semplice, non ha rilievo ai fini dell’applicazione dei principi in tema di litisconsorzio necessario tra società di persone e loro soci che, come affermato a partire da Sez. U n. 14815 del 04/06/2008, trova la sua giustificazione nel carattere unitario dell’accertamento alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone (e delle associazioni) di cui all’art. 5 tuir, e dei soci delle stesse, da cui la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi.
1.2. Nella vicenda in giudizio, peraltro, trova applicazione il temperamento adottato dalla Corte qualora gli avvisi di accertamento collegati siano stati impugnati autonomamente da (tutti) i soci e dalla società e, nei gradi di merito, i giudizi relativi, celebratisi separatamente, siano stati esaminati dallo stesso giudice in maniera strettamente coordinata, e decisi con un’identica motivazione, sì da potersi escludere ogni rischio di contrasto tra giudicati. In tal caso, infatti, la Corte può disporre la riunione dei procedimenti, per connessione oggettiva ex art. 274 c.p.c., piuttosto che l’annullamento delle sentenze di merito, dovendo ritenersi rispettata la ratio del litisconsorzio (v. in particolare Cass. n. 2907 del 10/2/2010, e n. 3830 del 17/02/2010, per cui “non va dichiarata la nullità per essere stati i giudizi celebrati senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari (società e soci) in violazione del principio del contraddittorio, ma va disposta la riunione quando la complessiva fattispecie, oltre che dalla piena consapevolezza di ciascuna parte processuale dell’esistenza e del contenuto dell’atto impositivo notificato alle altre parti e delle difese processuali svolte dalle stesse, sia caratterizzata da: (1) identità oggettiva quanto a “causa petendi” dei ricorsi; (2) simultanea proposizione degli stessi avverso il sostanzialmente unitario avviso di accertamento costituente il fondamento della rettifica delle dichiarazioni sia della società che di tutti i suoi soci e, quindi, identità di difese; (3) simultanea trattazione degli afferenti processi innanzi ad entrambi i giudici del merito; (4) identità sostanziale delle decisioni adottate da tali giudici”; ex multis, da ultimo, v. Cass. n. 26648 del 10/11/2017; Cass. n. 29843 del 13/12/2017; Cass. 12734 del 23/05/2018).
1.3. Nel caso in esame sussistono tutti i presupposti sopra indicati: vi è identità oggettiva quanto a causa petendi dei ricorsi, tra l’altro predisposti dallo stesso difensore e – salvo che per profili strettamente pertinenti alla specifica posizione – per le medesime ragioni; sia le sentenze di primo grado che d’appello sono state pronunziate dal medesimo collegio e alla medesima udienza, con motivazioni sovrapponibili e rinvio alle rispettive decisioni di primo grado.
1.4. In altri termini, l’avviso emesso nei confronti della società Piramide Srl è stato emesso in conseguenza di quello emesso nei confronti della Pino s.s. (e con esplicito richiamo ad esso) e, dunque, per trasparenza ex art. 5 tuir.
Non rileva, invece, che con la pretesa fatta valere direttamente verso la prima società siano stati solo parzialmente recepiti gli effetti dell’accertamento verso la Pino s.s., essendovi un evidente rapporto di continenza che impone una trattazione unitaria e restando esclusa la sussistenza di un interesse da parte della contribuente a dolersi di una richiesta più ridotta.
La stessa Piramide Srl, del resto, ha partecipato ad entrambi i giudizi, sia con riguardo all’avviso direttamente ad essa notificato, sia a quello impugnato quale socio, unico, della Pino s.s..
2. Passando all’esame dei ricorsi riuniti, va premesso che i motivi formulati con il ricorso n.r.g. 25728/2014 sono – salve specifiche precisazioni – sostanzialmente identici, fino all’utilizzazione delle medesime espressioni e articolazioni, ai motivi primo, terzo, quarto e quinto del ricorso n.r.g. 11582/2014, mentre, con riguardo agli ulteriori motivi di quest’ultimo ricorso, il secondo ha ad oggetto un vizio procedurale dello specifico avviso (decorso dei termini decadenziali) e il sesto l’applicazione delle sanzioni.
3. Il primo motivo dei ricorsi riuniti denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, per omessa instaurazione del litisconsorzio necessario.
3.1. I motivi sono infondati.
Vengono in rilievo, infatti, le questioni già sopra ampiamente esaminate, conferenti all’avvenuta origine unitaria dei contenziosi, fondati sulle stesse identiche ragioni, e alla trattazione simultanea dei giudizi da parte del medesimo collegio, con definizione mediante sentenza, di identico contenuto, pronunciata nella stessa udienza.
4. Il terzo motivo del ricorso r.g.n. 11582/2014, di contenuto identico al secondo motivo del ricorso r.g.n. 25728/2014, denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, difetto di motivazione dell’avviso di accertamento per rinvio ad atti sconosciuti, illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Si lamenta, in particolare, che gli avvisi rinviano a verifiche operate nei confronti delle società riferibili al cd. “gruppo” Mythos, totalmente sconosciuti ai ricorrenti, risultando allegato solo un estratto di verbale della Guardia di Finanza relativo alle operazioni di distribuzione degli utili dalla Principium Srl, da cui emergerebbe l’effettività della distribuzione degli utili. Non risulterebbero, inoltre, né i presupposti di fatto né le ragioni giuridiche a fondamento del recupero, mentre le motivazioni dei diversi avvisi, posti a confronto, sarebbero contraddittorie.
Con riguardo, specificamente, alla ripresa per costi relativi a prestazioni inesistenti (ricorso r.g.n. 11582/2014) della Mythos la motivazione sarebbe assente.
4.1. Il motivo è inammissibile e per più ragioni.
La censura, in primo luogo, attinge direttamente l’operato dell’Ufficio e non la sentenza che, in alcun punto, viene censurata e ciò, tanto più, che la CTR opera un esplicito rinvio alla decisione di primo grado, che, dunque, costituisce parte integrante della statuizione d’appello, sicché la doglianza andava espressamente articolata anche in riferimento alla statuizione di primo grado, che attesta l’adeguatezza della motivazione per relationem dell’avviso per aver riprodotto il contenuto essenziale degli atti richiamati (v., in particolare, pag. 8 ricorso, che riproduce, in parte qua, la motivazione della CTP).
Il motivo, inoltre – e a maggior ragione a fronte della statuizione su riportata – è carente per autosufficienza poiché non si allega il contenuto degli avvisi, al fine di evidenziare che con essi l’Agenzia si sia limitata a enunciare la pretesa impositiva, senza indicarne petitum e causa petendi e senza ricostruirne gli elementi costitutivi (secondo le precisazioni rese da questa Corte, per le quali si veda, tra varie, Cass. n. 30039 del 21/11/2018).
Quanto alla dedotta violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, poi, la censura è ulteriormente inammissibile in quanto del tutto carente di specificità, neppure risultando chiaramente articolata, e, in ogni caso, non è più proponibile ratione temporis se non sotto il profilo di omesso esame di fatto decisivo, non proposto.
5. Il quarto motivo del ricorso r.g.n. 11582/2014, di contenuto identico al terzo motivo del ricorso r.g.n. 25728/2014, denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, per aver l’Ufficio, in realtà, contestato una condotta elusiva e abusiva senza l’osservanza delle garanzie procedimentali.
Denuncia, inoltre, l’illegittimità, la contraddittorietà ed erroneità della sentenza.
5.1. Il motivo è infondato.
5.2. Giova ribadire, invero, che – come precisato più volte da questa Corte (v. Cass. n. 27550 del 30/10/2018; Cass. n. 33593 del 18/12/2019) – perché sia configurabile una condotta elusiva occorre che il contribuente faccia un uso improprio o distorto degli strumenti negoziali e fiscali e che tale uso sia effettuato con lo specifico scopo (seppure non esclusivo) di eludere la norma tributaria e di ottenere in questo modo un vantaggio fiscale.
Ove, invece, la condotta si risolva nella realizzazione di una frode, con il compimento di operazioni inesistenti o fittizie, omessi versamenti di imposte dovute ovvero indebita deduzione di costi indeducibili o inesistenti o, comunque, in violazione di norme fiscali, la condotta, quali siano le concrete modalità di attuazione, integra una evasione.
5.3. Orbene, la CTR, con accertamento in fatto, in sé non rivalutabile da questa Corte, ha riscontrato che “le condotte poste in essere, tutte riconducibili al gruppo Mythos, sono sostanzialmente fittizie”, accertamento ulteriormente corroborato, secondo il giudice d’appello, in quanto “tale fittizietà risulta confermata anche dal fatto che gli artefici delle operazioni di tale gruppo sono stati penalmente condannati sia in primo sia in secondo grado a pesanti pene”. Analogo riscontro, poi, era stato operato dal giudice di primo grado – a cui la sentenza impugnata ha fatto esplicita adesione – per il quale si configurava “una condotta fraudolenta della ricorrente” (v. ricorsi, pagg. 8 e 6).
Si tratta, dunque, di una condotta di frode ed evasiva, da cui l’estraneità dell’invocato art. 37 bis.
Occorre poi sottolineare che l’asserita riconduzione della vicenda da parte dell’Ufficio anche ad una operazione di dividend washing pure a trascurare la mancata riproduzione degli avvisi nella loro integrità, effettuata solo in termini frammentari e per singole frasi estrapolate, in evidente carenza di autosufficienza – non ha valenza significativa ai fini della qualificazione della condotta.
Difatti, seppure, per la complessa ed articolata modalità e per l’intreccio dei rapporti, non si possa escludere che vi siano anche profili di elusività, questi, tuttavia, non incidono sulla qualificazione e sul presupposto della ripresa, la cui matrice fondante era costituita dalla fittizietà degli utili e dall’inesistenza delle operazioni in base alle quali sarebbero maturati i dividendi e il credito d’imposta.
Ne deriva che la contestata erroneità e contraddittorietà della sentenza – di per sé improponibile ex art. 360 c.p.c., n. 5 – neppure sussiste.
6. Il quinto motivo del ricorso r.g.n. 11582/2014, come pure il quarto motivo del ricorso r.g.n. 25728/2014, denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 40, per non essere l’accertamento fondato su presunzioni gravi precise e concordanti.
La doglianza formulata con il ricorso r.g.n. 11582/2014 censura altresì (punto 5.3.) l’avvenuto disconoscimento delle fatture per consulenze rese dalla Mythos Spa, trattandosi di prestazioni rese ed invoca il regime sulla deducibilità dei costi introdotto dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, neppure potendosi la disciplina della ripresa dei costi applicare all’Iva.
6.1. Il motivo è inammissibile.
6.2. Da un lato la doglianza e’, in evidenza, diretta a contestare la sufficienza e adeguatezza della valutazione del giudice di merito sull’inesistenza delle operazioni e la fittizietà della distribuzione di utili e, dunque, a sollecitare un nuovo esame di merito da parte di questa Corte, non consentito.
Giova evidenziare, del resto, che i giudici di primo grado, la cui motivazione è stata richiamata dalla CTR, avevano specificamente apprezzato i documenti prodotti dalla contribuente ritenendoli inidonei poiché di rilievo meramente contabile e tali da risolversi in un mero “giro di operazioni consequenziali nel giro di pochi minuti”.
6.3. Quanto alla specifica doglianza formulata con il ricorso r.g.n. 11582/2014, poi, l’affermata effettività delle prestazioni in oggetto si scontra con la statuizione della CTR della fittizietà delle operazioni stesse e, dunque, per come contestate e confermate dal giudice d’appello, che si trattava di prestazioni oggettivamente inesistenti.
La censura, del resto, è carente per autosufficienza, non essendo stato riprodotto neppure l’avviso su cui il ricorrente fonda il suo assunto.
Ne deriva, conseguentemente, l’inapplicabilità della previsione di cui al D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, che si riferisce ai costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti che, proprio in quanto realizzate, sono suscettibili di deducibilità.
La non detraibilità dell’Iva, invece, discende direttamente dai consolidati principi unionali e di questa Corte ove essa sia invocata in relazione al compimento di operazioni fraudolente.
7. Il secondo motivo del ricorso r.g.n. 11582/2014 denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, per aver la CTR escluso l’intervenuta decadenza dell’avviso non essendo sufficiente, ai fini del raddoppio dei termini, l’avvenuto inoltro della notizia di reato, occorrendo, invece, la produzione in giudizio della denuncia stessa onde effettuarne la valutarne i presupposti.
Deduce, in ogni caso, l’insussistenza di ogni condotta suscettibile di rilevanza penale sia con riguardo alle fatture per costi inesistenti sia perché, per gli ulteriori profili, viene in rilievo una condotta elusiva e non evasiva. In subordine, eccepisce l’inapplicabilità del raddoppio dei termini con riguardo all’Irap.
7.1. Il motivo è fondato nei termini e limiti che seguono.
7.2. In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, per l’Irpef (e all’Ires) e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, per l’Iva, consegue, nell’assetto anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 128 del 2015, e alla L. n. 208 del 2015, alla ricorrenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p..
La dizione legislativa rende chiaro che il raddoppio è legato all’astratta sussistenza di un reato perseguibile d’ufficio, che fa sorgere l’obbligo di denuncia in capo al pubblico ufficiale ai sensi del citato art. 331, e non dipende dal suo accertamento in concreto.
Ne deriva che, come più volte chiarito da questa Corte, anche sulla scorta dei principi enunciati da Corte Cost. n. 247 del 2011, il raddoppio opera in presenza di tale presupposto astratto, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denunzia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo (Cass. n. 17586 del 28/06/2019; Cass. n. 22337 del 13/09/2018; Cass. n. 11171 del 30/05/2016; da ultimo Cass. n. 13481 del 02/07/2020).
7.3. In evidenza, ciò non rende di per sé legittimo qualunque accertamento compiuto dall’Amministrazione finanziaria oltre il termine-base fissato dalla legge, dovendo al contrario essere evitato, come chiarito dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 247 del 2011, un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni in esame al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento.
Occorre tuttavia sottolineare che l’ambito di tale accertamento è specificamente delimitato.
La stessa sentenza della Corte Cost. n. 247 del 2011, ha infatti chiarito che, in caso di denuncia presentata oltre gli ordinari termini di decadenza o addirittura di accertamento compiuto senza denuncia, e sempre al fine di verificare l’uso pretestuoso del raddoppio dei termini, “il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità”, con la precisazione che “il correlativo tema di prova – e, quindi, l’oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributario – è circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato” (punto 5.3. della sentenza della Corte Cost.).
7.4. Ne deriva che la contestazione del contribuente – e, a maggior ragione, il controllo ad opera del giudice tributario – non può mettere in discussione la sussistenza del reato, né sotto il profilo dell’elemento oggettivo, né sotto quello dell’elemento soggettivo, né infine dal punto di vista del suo autore.
7.5. Orbene, nella vicenda in esame la CTR ha ritenuto sussistere un obbiettivo riscontro alla sussistenza dei presupposti poiché non solo vi era stata una denuncia penale – che si riferiva alla vicenda complessiva di cui il caso in giudizio costituiva una specifica realizzazione – ma questa aveva avuto un articolato seguito tant’e’ che “gli artefici delle operazioni di tale gruppo (Mythos) sono stati condannati sia in primo sia in secondo grado a pesanti pene”, restando, in concreto, priva di rilievo la produzione in giudizio della stessa denuncia.
7.6. La doglianza va invece accolta con riguardo alla ripresa Irap posto che, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, “non essendo l’Irap un’imposta per la quale siano previste sanzioni penali è evidente che in relazione alla stessa non può operare la disciplina del “raddoppio dei termini” di accertamento” quale applicabile ratione temporis (Cass. n. 20435 del 2017; Cass. n. 23629 del 2017; da ultimo Cass. n. 14440 del 05/06/2018).
8. Il sesto motivo del ricorso r.g.n. 11582/2014 denuncia, in via subordinata, l’illegittima applicazione delle sanzioni attesa la natura elusiva della condotta contestata.
8.1. Il motivo è inammissibile, fondandosi su un assunto – il carattere elusivo – estraneo ed incompatibile con l’accertata natura frodatoria ed evasiva delle condotte.
9. In conclusione, va accolto il secondo motivo del ricorso r.g.n. 11582/2014 limitatamente alla ripresa Irap, mentre vanno rigettati tutti gli ulteriori motivi nonché il ricorso r.g.n. 25728/2014.
In relazione e nei limiti del motivo accolto, la sentenza della CTR della Lombardia n. 110/22/13 va cassata negli stessi limiti e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatti, va accolto, con riguardo alla ripresa Irap, l’originario ricorso della contribuente.
Quanto alle spese, con riguardo al giudizio di cui al ricorso r.g.n. 11582/2014, il complessivo esito giustifica la compensazione delle spese, sia di legittimità che di merito.
Rispetto al giudizio r.g.n. 25728/2014, invece, le spese, regolate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dispone la riunione dei ricorsi r.g.n. 11582/2014 e r.g.n. 25728/2014; accoglie il secondo motivo del ricorso r.g.n. 11582/2014 limitatamente alla ripresa Irap, rigettato il quarto ed inammissibili gli altri; rigetta il ricorso r.g.n. 25728/2014. In relazione al motivo accolto, cassa la sentenza della CTR della Lombardia n. 110/22/13 negli stessi limiti e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente limitatamente alla ripresa Irap.
Compensa integralmente le spese, di merito e legittimità, con riguardo al ricorso r.g.n. 11582/2014.
Con riguardo al ricorso r.g.n. 25728/2014, condanna Pino s.s. al pagamento delle spese a favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in Euro 8.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente con riguardo al ricorso r.g.n. 25728/2014, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 8 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021