Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.21000 del 22/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCITO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8302/2015 R.G. proposto da:

D.G.N., rappresentato e difeso dall’avv. Massimo Basilavecchia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Quirino D’Angelo, sito in Roma, via Paolo Emilio, 34;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, n. 987/V/14, depositata il 23 settembre 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 aprile 2021 dal Consigliere Paolo Catallozzi.

RILEVATO

che:

– D.G.N. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, depositata il 23 settembre 2014, che ha respinto il suo appello e accolto quello incidentale dell’Ufficio;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che la vicenda trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento con cui l’Ufficio aveva contestato al contribuente, esercente l’attività di costruttore edile, l’omessa contabilizzazione di ricavi, in relazione all’importo della cessione di due immobili, asseritamente indicato in misura inferiore rispetto a quelle effettiva;

– la pronuncia dà atto che la Commissione provinciale aveva parzialmente accolto il ricorso del contribuente, limitatamente al rilievo avente ad oggetto il prezzo di una delle due vendite;

– ha, quindi, ritenuto che, con riferimento ad entrambe le vendite, i rilievi dell’Ufficio fossero corretti, avuto riguardo all’esistenza di elementi indiziari che deponevano per il maggiore imponibile contestato;

– il ricorso è affidato a tre motivi;

– l’Agenzia delle Entrate non spiega alcuna attività difensiva;

– il ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 13, e del T.U. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 9, per aver la sentenza impugnata attribuito rilevanza non già al corrispettivo pattuito tra i soggetti intervenuti il due cessioni, bensì al valore degli immobili ceduti;

– il motivo è inammissibile, in quanto muove dall’erroneo assunto che la sentenza abbia preso in esame, quale base imponibile dell’i.v.a., il valore dei beni ceduti, anziché il prezzo pattuito per la cessione;

– tale assunto non trova conferma nella sentenza, la quale, pur usando espressioni non sempre in equivoche, ha ritenuto, quanto alla prima operazione (rilievo sub a), che la differenza tra l’importo indicato nel contratto preliminare e quello oggetto del contratto di mutuo stipulato a tal fine, da un lato, e quello dichiarato costituisse elemento idoneo a giustificare l’atto impositivo, non essendo decisiva, in senso contrario, l’allegazione del contribuente in ordine alla congruità del valore dichiarato;

– quanto alla seconda operazione (rilievo sub b), la Commissione regionale ha desunto dal fatto che il valore dichiarato fosse notevolmente inferiore a quello di mercato e che di tale scostamento, giudicato significativo, non vi era giustificazione da parte del contribuente, il fatto che quest’ultimo avesse dichiarato ricavi inferiore rispetto a quelli effettivamente conseguiti;

– orbene, la deduzione del vizio di violazione di legge non può che essere formulata se non assumendo l’accertamento di fatto, così come operato dal giudice del merito, in guisa di termine obbligato, indefettibile e non modificabile del sillogismo tipico del paradigma dell’operazione giuridica di sussunzione, là dove, diversamente (ossia ponendo in discussione detto accertamento), si verrebbe a trasmodare nella revisione della quaestio facti e, dunque, ad esercitarsi poteri di cognizione esclusivamente riservati al giudice del merito (cfr. Cass., ord., 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715);

– con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, e dell’art. 2729 c.c., per aver il giudice di appello ha fondato la sua decisione su elementi presuntivi privi del carattere della gravità, precisione e concordanza, in quanto espressivi non già del prezzo effettivamente pattuito, bensì del valore dei beni ceduti;

– evidenzia, altresì, che i valori dichiarati erano coerenti con quelli risultanti dall’O.M.I.;

– il motivo è inammissibile, poiché, come osservato in precedenza, l’accertamento posto dalla Commissione regionale a fondamento della decisione non verte sulla non coerenza degli importi dichiarati rispetto al valore dei beni ceduti, bensì sulla non corrispondenza di tali importi con quelli effettivamente pattuito con i soggetti acquirenti;

– sotto l’altro profilo sollevato, relativo alla mancata utilizzazione, quale elemento presuntivo dei valori di OMI, si rileva che né dal ricorso in esame, né dalla sentenza, si evince che la questione sia stata ritualmente introdotta dinanzi al giudice di merito, per cui questa Corte non è posta nelle condizioni di verificare che la medesima non siano “nuova” e di valutarne la rilevanza e la fondatezza, non essendo possibile procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (cfr. Cass., sez. un., 28 luglio 2005, n. 15781; in tal senso, successivamente, Cass. 20 agosto 2015, n. 17049);

– in tal modo, la parte non ha assolto all’onere imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e ha, dunque, violato il principio di specificità ivi contemplato;

– in ogni caso, il profilo è inammissibile anche sotto il diverso profilo della carenza di decisività, in quanto la coerenza con i valori OMI, pur potendo assumere rilevanza ai fini della determinazione della base imponibile della cessione di immobili, non conduce necessariamente, laddove dimostrata, alla invalidazione, con un giudizio di certezza (o, comunque, di elevata probabilità logica), del convincimento del giudice di merito (cfr. sul tema della decisività del fatto storico asseritamente non esaminato, Cass. 21 ottobre 2019, n. 26764; Cass., ord., 17 giugno 2019, n. 16214);

– con l’ultimo motivo il contribuente si duole dell’omesso esame di circostanze decisive controverse, individuate nelle caratteristiche costruttive degli immobili e della localizzazione degli stessi;

– evidenzia, altresì, quanto all’operazione di cui al rilievo sub 1), che il minor prezzo indicato nel contratto definitivo rispetto a quello prezzo presente nel contratto preliminare troverebbe giustificazione nel fatto che il promittente venditore non aveva provveduto alla realizzazione, a sue spese, di un soppalco originariamente rientrante tra gli obblighi dal medesimo assunto e che l’importo del mutuo non sarebbe indicativo del prezzo pattuito per la compravendita;

– quanto alla seconda operazione, rileva che la pretesa erariale sarebbe stata giustificata solamente nel corso del giudizio con la comparazione con il prezzo della compravendita di altro immobile avente caratteristiche simili e, comunque, tale comparazione non avrebbe evidenziato la ritenuta incongruità del prezzo dichiarato;

– il motivo è inammissibile, in quanto si risolve, essenzialmente, in una critica della valutazione delle risultanze probatorie effettuata dalla Commissione regionale che non può trovare ingresso in questa sede in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale e non può riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa (cfr. Cass. 28 novembre 2014, n. 25332; Cass., ord., 22 settembre 2014, n. 19959);

– inoltre, quanto alle modifiche apportate all’oggetto del contratto di cui alla prima cessione dopo la conclusione del contratto preliminare, il fatto storico asseritamente non esaminato è privo del carattere della decisività, in quanto, pur potendo assumere rilevanza ai fini dell’accertamento, per via presuntiva, del prezzo effettivamente pattuito, non conduce necessariamente, laddove dimostrato, alla invalidazione, con un giudizio di certezza (o, comunque, di elevata probabilità logica), del convincimento del giudice di merito;

– in ordine, infine, all’allegazione relativa all’utilizzazione da parte del giudice di appello, a fini comparativi, del contratto di compravendita indicato nel ricorso – di cui, peraltro, non vi è evidenza, contrariamente all’assunto del ricorrente – la doglianza si risolve nella prospettazione di un vizio di motivazione insufficiente, illogica o contraddittoria che, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nella formulazione risultante a seguito della modifica apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv., con modif., nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis al caso in esame – non è più deducibile quale vizio di legittimità (cfr., ex multis, Cass., ord., 25 settembre 2018, n. 22598; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053);

– per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso non può essere accolto;

– nulla deve disporsi in ordine al governo delle spese in assenza di una valida attività difensiva della parte vittoriosa;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 15 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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