LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANZON Enrico – Presidente –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –
Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8034/2015 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
G.F., rappresentato e difeso dall’Avv. Egidio Lizza in virtù di procura speciale in calce controricorso, elettivamente domiciliato in Roma alla via Valadier n. 43 presso lo studio legale Romano;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 8935/29/2014 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, depositata in data 21 ottobre 2014;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 aprile 2021 dal Consigliere Dott. Grazia Corradini.
FATTI DI CAUSA
La Commissione Tributaria Provinciale di Benevento, con sentenza n. 279/2/2012, rigettò il ricorso proposto da G.F. contro l’avviso di accertamento relativo, per quanto ancora interessa, ai ricavi per l’anno 2006, con cui la Agenzia delle Entrate – sulla base dei rilievi della incongruità dei ricavi dichiarati e della incoerenza sia dei ricarico che dell’indice di produttività per addetto secondo lo studio di settore, della violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 15, nella compilazione delle giacenze iniziali e delle rimanenze finali di magazzino in quanto non contenenti il criterio di valutazione seguito, né le specifiche per quantità e valore e della antieconomicità dell’applicazione di una percentuale di ricarico che non consentiva neppure di coprire i costi di gestione – aveva ricostruito i ricavi realizzati dal Sig. G., esercente l’attività di commercio al minuto di prodotti non alimentari, con metodo analitico induttivo ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), utilizzando una percentuale media ponderata di ricarico calcolata in base alle fatture di acquisto e di vendita di un certo numero di prodotti prodotti.
Il contribuente aveva impugnato l’accertamento contestando i criteri seguiti dall’Ufficio per la ricostruzione indiretta dei ricavi, ma la CTP ritenne, in primo luogo, sussistenti i presupposti per procedere ad accertamento analitico – induttivo sulla base delle grave incongruenze riportate nell’atto impositivo, specie con riguardo alla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 15, che era grave e rendeva nel complesso inattendibile la contabilità e rilevò quindi che la percentuale di ricarico era stata desunta attraverso una media aritmetica ponderata, mentre la scarsa rappresentatività del campione non era stata dimostrata e che nel contempo quanto esposto dal contribuente nel conto economico non serviva neppure a coprire i costi.
Investita dall’appello del contribuente, che lamentò la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, per avere il primo giudice omesso di esaminare e valutare le tesi difensive dei ricorrente, la Commissione Tributaria Regionale, con sentenza n. 8935/29/2014, ritenne in primo luogo corretto il ricorso da parte dell’Ufficio al metodo analitico induttivo di accertamento alla luce quanto meno degli elementi incontestabili di irragionevolezza e di antieconomicità esposti nell’atto impositivo impugnato, che rendevano già da soli inattendibile nel complesso la contabilità, ma che invece fossero fondate le doglianze del contribuente relative ai criteri seguiti dall’Ufficio per la determinazione della percentuale di ricarico e quindi la ricostruzione dei ricavi, poiché, pur rientrando la scelta tra la media aritmetica semplice e quella aritmetica ponderata nella discrezionalità della Amministrazione finanziaria, peraltro tale scelta dovesse rispondere a canoni di coerenza logica e di congruità e ciò anche con riguardo alla scelta del campione che doveva estendersi ad un gruppo significativo, per qualità e quantità, dei beni oggetto dell’attività di impresa. La CTR ritenne quindi che, in concreto, nel caso in esame la percentuale di ricarico determinata dall’Ufficio fosse incongrua poiché era stata calcolata su un campione di prodotti riportati su 18 fatture senza alcuna indicazione che consentisse di valutare la significatività del campione prescelto, a fronte delle doglianze del contribuente che aveva segnalato la vastità dei prodotti commercializzati, che erano circa 400 ed aveva sviluppato un prospetto riferito alla maggiore quantità dei beni acquistati e venduti attraverso il quale si perveniva ad una percentuale di ricarico decisamente più bassa di quella calcolata dall’Ufficio ed, in conseguenza, annullò l’accertamento impugnato con riguardo all’intero recupero a tassazione dei maggiori ricavi.
Contro la sentenza di appello, depositata in data 21 ottobre 2014, non notificata, ha presentato ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate con atto notificato il *****, affidato ad un unico motivo.
Resiste con controricorso il contribuente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con un unico motivo la Agenzia delle Entrate lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 15 e art. 39, commi 1 e 2, nonché del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, per avere la sentenza impugnata, dopo avere ritenuto legittimo il ricorso al metodo induttivo da parte dell’Ufficio, annullato integralmente l’accertamento impugnato, nella parte relativa ai ricavi dichiarati, sulla base della pretesa incongruità del criterio di calcolo utilizzato dall’Ufficio per la determinazione della percentuale di ricarico e dunque dei ricavi, anziché procedere ad una rideterminazione della percentuale stessa, se ritenuta incongrua, così violando le norme di diritto indicate ed il principio giuridico per cui il giudice tributario ha un potere decisorio sostitutivo che gli impone anche in sede di appello di decidere nel merito le questioni proposte e quindi di individuare i criteri (eventualmente diversi da quelli adottati dall’Ufficio) per calcolare una percentuale di ricarico congrua e poi determinare tale percentuale in concreto attraverso un esame diretto degli elementi in atti, adottando la decisione sul merito della questione.
2. Il controricorso sostiene per converso la inammissibilità del ricorso per cassazione per violazione del principio di autosufficienza per omessa indicazione del contenuto e della motivazione dell’avviso di accertamento ed in particolare del passo dell’atto impositivo che denuncerebbe “il difetto di inerenza dei costi recuperati a tassazione e l’indicazione sommaria e non integrale dei fatti e della sentenza resa dalla CTR”, così da consentire alla Corte di Cassazione di avere un quadro esaustivo delle risultanze di causa; nonché, in una prospettiva subordinata, la infondatezza del motivo di ricorso poiché il potere sostitutivo del giudice tributario è tutt’altro che univoco e comunque una macroscopica carenza di motivazione dell’atto impositivo è ostativa ad una pronuncia nel merito sulla fondatezza della pretesa dell’Ufficio.
3. Il ricorso è ammissibile in quanto autosufficiente poiché indica con precisione la questione oggetto di contestazione fra le parti e cioè quella della “significatività” del campione sulla cui base l’Ufficio aveva determinato la media ponderata della percentuale di ricarico (costituito pacificamente da un campione di prodotti riportati in diciotto fatture e che secondo il contribuente sarebbe stato troppo esiguo a fronte di circa 400 prodotti commercializzati per un volume di affari di Euro 2.296.096,00 sulla cui base il contribuente aveva elaborato un prospetto che aveva portato alla determinazione di una percentuale di ricarico ben inferiore a quella calcolata dall’Ufficio: v. pag. 4 della sentenza impugnata); questione che risulta peraltro con chiarezza dalla sentenza impugnata, così da non richiedere ulteriori precisazioni al di là della sua trascrizione nel ricorso per cassazione, come avvenuto nel caso in esame (che trascrive integralmente, da pagina 3 a pagina 6, la sentenza d’appello), mentre la questione della completezza della motivazione dell’accertamento non risulta avesse costituito oggetto delle contestazioni in appello e, dal suo canto, non si comprende quale rilievo avesse nel caso in esame il passo dell’atto impositivo che denuncerebbe “il difetto di inerenza dei costi recuperati a tassazione e l’indicazione sommaria e non integrale dei fatti e della sentenza resa dalla CTR”, posto che il recupero dei costi è pacificamente definitivo poiché la sentenza di appello ha confermato quella di primo grado che aveva rigettato il ricorso iniziale sul punto dei costi e non è stata ulteriormente impugnata dal contribuente.
4. Il ricorso è altresì fondato con riguardo alla dedotta violazione di legge.
4.1. L’Agenzia delle Entrate, laddove fa leva, in primo luogo, sulla natura di giurisdizione – merito del processo tributario, appare del tutto in linea con un orientamento consolidato di questa Corte che da numerosi decenni ha qualificato tale la natura della giurisdizione tributaria ((v. Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 5001 del 02/03/2018 Rv. 648213 – 01), senza alcun arresto o ripensamento, il che avrebbe imposto alla Commissione Tributaria Regionale, qualora avesse ritenuto incongruo – come è avvenuto – il campione di prodotti sulla cui base era stata determinata la media ponderata dei ricarichi, di esaminare il merito del rapporto e provvedere a rivalutare i dati offerti in causa ponendo in essere un nuovo procedimento logico – giuridico che superasse quello dell’Ufficio, dando specifica spiegazione delle ragioni della nuova quantificazione e non invece limitarsi ad annullare l’intero accertamento sul punto, come è avvenuto.
4.2. In particolare è consolidata la linea giurisprudenziale di questa Corte per cui, in tema di accertamento del reddito di impresa, ove la contabilità sia complessivamente inattendibile, è legittimo il ricorso al metodo analitico-induttivo, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, sulla base di elementi che consentano di accertare, in via presuntiva, maggiori ricavi, che possono essere determinati calcolando, in via di principio, la media aritmetica oppure quella ponderata dei ricarichi sulle vendite, a scelta dell’ufficio (v. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 18695 del 13/07/2018 Rv. 649714 – 01).
4.3. Di fronte a tale orientamento ampiamento consolidato nella giurisprudenza di questa Code, che è stato fatto proprio anche dalla sentenza impugnata, la quale ha ritenuto, in premessa della propria argomentazione, che rientrasse in effetti nel potere discrezionale dell’Ufficio la scelta fra media aritmetica semplice e la media aritmetica ponderata, il giudice di appello ha peraltro considerato non significativo il campione prescelto dall’Ufficio perché troppo ridotto ed ha quindi annullato completamente l’accertamento nella parte relativa al recupero dei ricavi. Tale decisione non è però conforme ai principi derivanti dal D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 15 e 39, così come interpretati dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte, ai quali si ritiene di dovere dare continuità in questa sede, per cui, considerato anche il rilievo (ritenuto fondato dalla sentenza di appello) che non era stato indicato dal contribuente il criterio di valutazione delle rimanenze, nonché la specifica per quantità e valore, in primo luogo, “il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio 4.4. Ne consegue che il giudice tributario, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale (e non meramente formali), come nel caso in esame in cui è stato ritenuto corretto il ricorso al metodo induttivo con conseguente necessità di rideterminare i maggiori ricavi, mentre è stato ritenuto non congruo soltanto il campione usato per rideterminate la percentuale di ricarico, è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva ed eliminazione di eventuali errori commessi dall’Ufficio, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte” (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19750 del 19/09/2014 Rv. 632465 – 01: Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, che aveva annullato l’avviso di accertamento per l’errata determinazione del “valore normale” dei beni ceduti dalla contribuente, senza provvedere alla nuova determinazione dei ricavi della contribuente secondo il criterio ritenuto legittimo). Infatti il giudizio tributario, come già rilevato, non si connota come un giudizio di “impugnazione-annullamento”, bensì come un giudizio di “impugnazione-merito”, in quanto non è finalizzato soltanto ad eliminare l’atto impugnato, ma è diretto alla pronuncia di una decisione di merito sul rapporto tributario, sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria, previa quantificazione della pretesa erariale, peraltro entro i limiti posti da un lato, dalle ragioni di fatto e di diritto esposte nell’atto impositivo impugnato e, dall’altro lato, dagli specifici motivi dedotti nel ricorso introduttivo del contribuente (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21759 del 20/10/2011 Rv. 619743 – 01; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13034 del 24/07/2012 Rv. 623395 – 01 e precedenti e successive tutte conformi).
4.5. Ed era appunto ciò che si imponeva nel caso in esame posto che dalla sentenza impugnata risultano con precisione le rispettive posizione delle parti, ben delineate fin dal giudizio di primo grado, per cui da una parte l’Ufficio aveva prescelto il metodo ponderato di ricostruzione indiretta dei maggiori ricavi sulla base del campione risultante dai prodotti elencati in diciotto fatture ritenute significative, mentre il contribuente aveva offerto un più ampio campione ed un prospetto che perveniva alla determinazione di una percentuale di ricarico inferiore rispetto a quella pretesa dall’Ufficio.
5. Le considerazioni che precedono inducono a ritenere che la CTR, decidendo nei termini di cui in sentenza – e cioè annullando l’accertamento senza prendere in esame l’emersione di ricavi in evasione di imposta in conseguenza della complessiva inattendibilità della contabilità in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente – abbia fatto malgoverno del quadro normativo di riferimento trascurando in particolare la regola iuris applicabile nel caso in esame, con riguardo alla tipologia di accertamento prescelto dalla Amministrazione Finanziaria e ritenuta corretta dalla sentenza d’appello.
6. Il ricorso, pertanto, deve essere accolto e, dovendosi esaminare nel merito la correttezza dei recuperi dei ricavi in contestazione, in relazione alla tipologia di accertamento operato dalla Agenzia delle Entrate, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice a quo il quale si atterrà ai principi di diritto sopra indicati, provvedendo, altresì, alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania.
Così deciso in Roma, il 15 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021