Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.21026 del 22/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8860/2015 R.G. proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in Roma, viale G. Mazzini n. 11, presso lo studio dell’Avv. Gianfranco Tobia, dal quale è

rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

Avverso la sentenza n. 5724/14/14 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 25 settembre 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 maggio 2021 dal Consigliere Raffaele Rossi.

RILEVATO

che:

1. Con avviso di accertamento notificato nel dicembre 2011, l’Agenzia delle Entrate procedeva, con metodo sintetico ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, alla rettifica del reddito complessivo di G.A. per l’anno d’imposta 2006.

In specie, l’Ufficio acclarava in capo al contribuente la disponibilità di beni immobili (un appartamento adibito a residenza principale) e beni mobili registrati (motoveicoli ed autoveicoli); individuato l’importo reddituale attribuito ai singoli beni come indice di ricchezza in applicazione del c.d. redditometro, determinava il maggior reddito percepito ai fini IRPEF e recuperava a tassazione l’imposta non versata, maggiorata di sanzioni ed interessi.

2. L’impugnativa dell’accertamento proposta dal contribuente veniva disattesa in ambedue i gradi del giudizio di merito.

3. Avverso la sentenza resa in grado di appello, in epigrafe indicata, ricorre per cassazione G.A., affidandosi ad un unico motivo; è rimasta intimata l’Agenzia delle Entrate.

CONSIDERATO

che:

4. Con l’unica censura articolata si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2728 e 2729 c.c. e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ad avviso del ricorrente, la sentenza impugnata, nel ritenere la legittimità dell’accertamento, non ha tenuto conto della natura di presunzione semplice derivante dall’applicazione del cd. redditometro, avente valenza meramente indiziaria della capacità contributiva, come tale idonea a fondare l’accertamento soltanto ove supportata da ulteriori e qualificati elementi indiziari, da allegare (ed asseverare) ad opera dell’Amministrazione finanziaria. Nella specie, non soltanto l’Ufficio non aveva assolto il suddetto onere probatorio, ma il contribuente aveva fornito documentale dimostrazione di aver fruito di contributi economici dal padre e dalla nonna paterna, prova valutata non attendibile dalla Commissione tributaria regionale.

5. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

E’ infondato laddove lamenta l’errata qualificazione, in diritto, della presunzione di capacità contributiva nascente dall’applicazione del c.d. redditometro e l’errata ripartizione del relativo onere della prova.

La gravata sentenza appare infatti conforme al principio di diritto (puntualmente richiamato nel corpo della decisione) espresso da questa Corte in maniera oramai consolidata (ed al quale si intende dare continuità) secondo cui “in tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cosiddetto redditometro, dispensa l’amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, giacché codesti restano individuati nei decreti medesimi. Ne consegue che è legittimo l’accertamento fondato sui predetti fattori-indice, provenienti da parametri e calcoli statistici qualificati, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore” (cfr., ex plurimis, Cass. 24/03/2021, n. 8186; Cass. 31/10/2018, n. 27811; Cass. 10/08/2016, n. 16912; Cass. 19/04/2013, n. 9539).

Dell’enunciato principio di diritto ha fatto corretta applicazione il giudice di prossimità, argomentando in maniera esaustiva (e con disamina degli elementi fattuali dedotti) sul mancato assolvimento dell’onere della prova gravante sul contribuente.

Ne deriva, pertanto, l’inammissibilità del motivo di ricorso nella parte in cui si sostiene l’idoneità asseverativa dei documenti prodotti ai fini della dimostrazione dell’inesistenza del maggior reddito contestato: la doglianza si risolve, infatti, nel richiedere alla Corte un (inaccettabile) riesame delle emergenze istruttorie, un vaglio su questioni di mero fatto ed un apprezzamento di attendibilità e di concludenza di determinati strumenti istruttori, attività riservate tipicamente al giudice di merito e del tutto estranee alla natura ed alla finalità del giudizio di legittimità.

6. Non vi è luogo a provvedere sulle spese di lite, alcuna attività processuale avendo svolto l’intimata Agenzia delle Entrate.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Quinta Sezione Civile, il 13 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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