LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANZON Enrico – Presidente –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Maria – rel. Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –
Dott. ARMONE Giovanni M. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3044/2018 R.G. proposto da:
P.C., titolare della omonima ditta individuale, rappresentato e difeso giusta procura speciale in calce al ricorso dall’avv.to Daniela Agnello, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv.to Roberta Feliziani in Roma, Via Crescenzio n. 69;
– ricorrente –
Contro
Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sezione distaccata di Latina n. 3607/19/17, depositata il 20/06/2017, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 13/05/2021 dal Consigliere Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di Nocera.
RILEVATO
che:
– con sentenza n. 3607/19/17, depositata il 20/06/2017, non notificata, la CTR del Lazio, sezione distaccata di Latina, rigettava l’appello proposto da P.C., titolare della omonima ditta individuale, nei confronti dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli in persona del Direttore pro tempore avverso la sentenza n. 516/06/2015 della Commissione tributaria provinciale di Latina che aveva rigettato il ricorso proposto dal suddetto contribuente avverso l’avviso di accertamento n. ***** con il quale l’Amministrazione aveva contestato nei confronti di quest’ultimo, titolare della ricevitoria operante come centro di trasmissione dati (CTD), esercente l’attività di raccolta scommesse sportive per conto del bookmaker estero Stanleybet Malta Limited – il mancato pagamento dell’imposta unica su concorsi pronostici e scommesse, oltre sanzioni ed interessi, per operazioni svoltesi nell’anno 2009;
– avverso la suddetta sentenza della CTR, P.C., titolare dell’omonima ditta individuale, propone ricorso per cassazione affidato a sette motivi; resiste con controricorso l’Amministrazione Finanziaria; la ricorrente ha, altresì, depositato memoria con la quale chiede trattarsi la controversia in udienza pubblica e nella quale si insiste perché sia disposto rinvio pregiudiziale alla CGUE ex art. 267 TFUE.
CONSIDERATO
che:
– preliminarmente deve essere disattesa l’istanza di trattazione in pubblica udienza. In adesione all’indirizzo già espresso dalle sezioni unite di questa Corte, il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare nel caso di specie (Sez. U, n. 14437 del 5 giugno 2018), e non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Sez. U, n. 8093 del 23 aprile 2020). In particolare, la sede dell’adunanza camerale non è incompatibile, di per sé, anche con la statuizione su questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite e già assistite da un consolidato orientamento, cui la Corte fornisce ii proprio contributo. Nel caso in questione, il tema oggetto del giudizio non è neppure nuovo nella giurisprudenza di questa Corte e, comunque, è compiutamente affrontato in tutti i suoi risvolti da un lato dalla Corte costituzionale (con la sentenza 14 febbraio 2018, n. 27) e dall’altro da quella unionale (con la sentenza 26 febbraio 2020 in causa C-788/18, relativa alla Stanleybet Malta Limited); e i principi da quelle Corti stabiliti risultano ampiamente e diffusamente recepiti pure dalla giurisprudenza di merito;
– con il primo motivo si denuncia, in relazione con art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla Legge di stabilità 2011, art. 1, comma 66, lett. b), per avere la CTR erroneamente ritenuto integrato in capo al CTD il presupposto soggettivo del tributo;
– con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 288 del 1998, art. 1, comma 2, lett. b), per avere la CTR ritenuto integrato il presupposto territoriale del tributo;
– con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 49 e 56 TFUE e dei principi del diritto dell’Unione Europea di parità di trattamento e non discriminazione, nonché del principio di legittimo affidamento con riferimento alla Legge di stabilità 2011, art. 1, comma 66, lett. b), per non avere la CTR disapplicato il D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3; si formula, altresì, proposta di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, comma 3, alla Corte di Giustizia;
– con il quarto motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della Dir. 2006/112/CE, art. 401, per non avere la CTR disapplicato la disciplina normativa di cui al D.Lgs. n. 504 del 1998 in ragione della sua contrarietà al divieto di mantenere o introdurre imposte sul valore d’affari diverse dall’imposta sul valore aggiunto armonizzata;
– con il quinto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 53 Cost. nonché del principio dell’equo processo di cui all’art. 6 della CEDU e dell’art. 117 Cost., comma 1, con riferimento alla L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), per non avere la CTR disapplicato il D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3; si formula, altresì, richiesta di rimessione della questione di legittimità costituzionale dinanzi al giudice delle leggi;
– con il sesto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, della L. n. 472 del 1997, art. 5, comma 1 e art. 6, comma 2, e della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, per non avere la CTR applicato l’esimente dell’obbiettiva condizione di incertezza;
– con il settimo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 12, 15 e degli artt. 91,92 c.p.c., per avere la CTR disposto la liquidazione delle spese in favore dell’Agenzia delle dogane, rappresentata in giudizio da un proprio funzionario delegato e, in subordine, per non avere disposto la compensazione delle spese;
– i motivi primo, secondo e quinto (nella parte in cui si denuncia la violazione degli artt. 3 e 53 Cost. in riferimento alla L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b)), che vanno esaminati insieme, perché concernono tutti la soggettività e l’presupposti dell’imposta unica sulle scommesse, sono complessivamente fondati involgendo esclusivamente la posizione del ricevitore, in relazione alla annualità di imposta 2009;
– le questioni sono già state oggetto di ripetuta e articolata disamina da parte di questa Corte a partire dalla sentenza n. 8757 del 30 marzo 2021, seguita da numerose altre (tra le tante Cass. 8907-8911/2021, 9079-9081/2021, 9144-9153/2021, 9160/2021, 9162/2021, 9168/2021, 9176/2021, 9178/2021, 9182/2021, 9184/2021, 9160/2021, 9516/2021, 9528-9537/2021, 9728-9735/2021), le cui motivazioni sono qui espressamente condivise e richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c.”;
– va premesso come sin dalle origini il tributo sui giochi e le scommesse, che è frutto del percorso evolutivo iniziato con la tassa di lotteria (D.Lgs. 14 aprile 1948, n. 496, art. 6), è stato pensato in relazione alle attività di gioco: già nella relazione ministeriale al disegno di legge istitutivo dell’imposta unica n. 2033 presentato il 15 giugno 1951, si leggeva, quanto ai giochi riservati al CONI e all’UNIRE, che questi “…debbono allo Stato, per l’esercizio delle attività di giuoco predette, la corresponsione di una tassa di lotteria…”. Sicché il presupposto dell’imposizione non è stato correlato alla giocata in sé, ma alla prestazione di un servizio, che e’, appunto, il servizio di gioco. Il prelievo colpisce dunque il prodotto che è offerto al consumatore tramite l’organizzazione dell’attività, sotto forma di servizio. E proprio queste ragioni di ordine storico e sistematico innervano il quadro normativo odierno, che è così articolato:
– conformemente al D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 1, volto al riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma della L. 3 agosto 1998, n. 288, art. 1, comma 2, l’imposta unica è dovuta per i concorsi pronostici e le scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all’estero; il suddetto D.Lgs. n. 504 del 1988, art. 3, intitolato ai soggetti passivi, stabilisce che “Soggetti passivi dell’imposta unica sono coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse”;
– a norma della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, “(…) a) (…) l’imposta unica (…) è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze -amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;
b) il D.Lgs. (n. 504 del 1998), art. 3, si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorché in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze – amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”;
– va notato poi che il D.M. economia e finanze 1 marzo 2006, n. 111, art. 16, prevede che il concessionario effettui il pagamento delle somme dovute a titolo di imposta unica;
– inoltre, ai sensi della L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 644, lett. g), l’imposta unica si applica “su di un imponibile forfetario coincidente con il triplo della media della raccolta effettuata nella provincia ove è ubicato l’esercizio o il punto di raccolta, desunta dai dati registrati nel totalizzatore nazionale per il periodo d’imposta antecedente a quello di riferimento”;
– questo quadro normativo è stato sottoposto all’esame e della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni rispettivamente con la Costituzione e col diritto unionale prospettate nell’odierno ricorso; in particolare, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 27 del 2018, ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio); ma ha riconosciuto che il legislatore con la L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, da un canto, ha stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e, d’altro canto, ha esplicitato l’obbligo delle ricevitorie operanti per conto di bookmakers privi di concessione al versamento del tributo e delle relative sanzioni. A questo riguardo ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del “gestore per conto terzi” (ossia del titolare di ricevitoria) al “gestore per conto proprio” (ossia al bookmaker) sia irragionevole. Entrambi i soggetti, difatti, ha sottolineato quella Corte, partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione. In particolare, ha rimarcato, il titolare della ricevitoria, benché non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker. Sicché, ha specificato, quanto al ricevitore, l’attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione va riferita alla raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale. Ne’, ha aggiunto la Corte costituzionale, la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione viola il principio di capacità contributiva, nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato: ciò perché attraverso la regolazione delle commissioni il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera. La rivalsa svolge, quindi, funzione applicativa del principio di capacità contributiva, poiché redistribuisce tra i coobbligati, bookmaker e ricevitoria, che hanno comunque concorso, sia pure in vario modo, alla realizzazione del presupposto impositivo, il carico fiscale in relazione alla partecipazione di ognuno a tale realizzazione;
– in ogni caso, poi, della sussistenza (evidente in questo caso) di autonomi rapporti obbligatori – che ai fini tributari sono avvinti dal nesso di solidarietà per conseguenza paritetica, e non già dipendente non dubita, d’altronde, la giurisprudenza civile di questa Corte, la quale, sia pure con riguardo al gioco del lotto, ha chiarito, appunto, che sono due i rapporti obbligatori, quello concluso tra lo scommettitore e il raccoglitore e quello che si instaura tra lo scommettitore ed il gestore (Cass. 27 luglio 2015, n. 15731). E la stessa giurisprudenza penale citata in memoria dalla contribuente (ossia Cass. 9 luglio 2020, n. 25439) evidenzia la rilevanza dei ruoli del ricevitore appartenente alla rete distributiva del bookmaker (punto 5), consistente nella “…raccolta e trasmissione delle scommesse per conto di quest’ultimo, rilasciando le ricevute emesse dal terminale di gioco -con le annesse attività di incasso delle poste e di pagamento delle eventuali vincite-…”;
-sulla base delle suddette considerazioni, la Corte costituzionale, nella richiamata pronuncia, ha, quindi, dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 e della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In quel periodo non si può difatti procedere alla traslazione dell’imposta, perché l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitorie e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla L. n. 220 del 2010. Quella Corte ha anche chiarito (punto 4.5) che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore. Ne consegue anzitutto che per le annualità d’imposta antecedenti al 2011, come nella specie, non rispondono le ricevitorie, ma rispondono i bookmaker, con o senza concessione in base alla combinazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 e della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. a), usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale;
– a diversa conclusione, invece, dovrebbe invece pervenirsi per le annualità dal 2011. Invero, va osservato che la incostituzionalità della norma in esame è stata riscontrata dalla Corte “in ragione dell’impossibilità per le ricevitorie di traslare l’imposta per gli esercizi anteriori al 2011” con conseguente violazione dell’art. 53 Cost., “giacché l’entità delle commissioni pattuite fra ricevitore e bookmaker si era già cristalizzata sulla base del quadro regolatorio, anche sotto il profilo tributario, precedente alla L. n. 220 del 2010”. A fondamento, dunque, della pronuncia di incostituzionalità è stata la considerazione della già avvenuta definizione negoziale tra le parti dei reciproci rapporti in data antecedente alla introduzione della soggettività passiva della ricevitoria del bookmaker privo di concessione, ed è stato dato rilievo al fatto che le stesse non erano state nelle condizioni di regolare diversamente la misura delle commissioni al fine di procedere all’eventuale trasferimento del carico tributario, gravante anche sulla ricevitoria in forza della legge sopravvenuta, sui bookmaker. La suddetta ragione di incostituzionalità, tuttavia, non è stata ravvisata per i “rapporti successivi a12011”, quindi non solo per gli eventuali rapporti negoziali perfezionati dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa, ma anche per i rapporti che, seppure sorti in data antecedente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della medesima norma. In entrambi i casi, invero, la disposizione interpretativa del 2010 costituisce parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi delle parti, sia in caso di rapporti sorti successivamente che per quelli già sorti e destinati a protrarsi, potendo le parti, alla luce e tenendo conto proprio della scelta normativa di assoggettare al tributo anche i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, rimodulare la regolazione negoziale delle commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera la ricevitoria. In questo ambito, invero, la solidarietà dell’obbligazione e la correlata possibilità di traslazione dell’imposta sono, infatti, destinate ad influire sulla stessa portata della regolazione negoziale delle commissioni tra le parti, che, anche quando i rapporti economici siano rimasti invariati, ossia non siano stati oggetto di modifiche o di nuovi accordi in conseguenza della L. n. 220 del 2010, assume, necessariamente, un valore di conformità e adeguatezza rispetto alla nuova configurazione legale del rapporto;
– considerato che oggetto di rilievo è la sola posizione del ricevitore, per un periodo di imposta anteriore al 2011, le complessive censure sono fondate;
-l’accoglimento dei motivi dal primo, secondo e quinto (per la parte indicata in motivazione), rende inutile la trattazione dei restanti motivi con assorbimento degli stessi;
– in conclusione, vanno accolti i motivi primo, secondo e quinto (per la parte indicata in motivazione), assorbiti i restanti; con cassazione della sentenza impugnata e decidendo nel merito, con accoglimento del ricorso originario del ricevitore;
– sussistono giusti motivi per compensare le spese dei gradi di merito e l’intervento risolutore delle questioni, in epoca successiva alla proposizione del ricorso, ad opera della Corte costituzionale e della Corte di Giustizia, giustifica la compensazione delle spese anche del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte: accoglie i motivi primo, secondo e quinto (per la parte indicata in motivazione), assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario del contribuente; compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, il 13 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021