Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.21042 del 22/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20237/2015 R.G. proposto da:

M.F., rappresentato e difeso dall’avv. Lucio Modesto Maria Rossi, elettivamente domiciliato in Roma alla via E.Q.

Visconti n. 20, presso l’avv. Angelo Petrone;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, in via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 225/33/2015 della Commissione tributaria regionale della Campania, pronunciata in data 25 novembre 2014, depositata in data 13 gennaio 2015 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 maggio 2021 dal consigliere Andreina Giudicepietro.

RILEVATO

che:

M.F. ricorre con tre motivi avverso l’Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza n. 225/33/2015 della Commissione tributaria regionale della Campania, pronunciata in data 25 novembre 2014, depositata in data 13 gennaio 2015 e non notificata, che ha rigettato l’appello del contribuente, in controversia concernente l’impugnativa dell’avviso di accertamento sintetico del reddito ai fini Irpef per l’anno di imposta 2008;

con la sentenza impugnata la C.t.r. rilevava che l’avviso di accertamento impugnato dal contribuente era fondato sulla base del possesso dell’abitazione principale e di un’autovettura, elementi che costituivano indici indicatori del maggior reddito accertato, superiore di quello dichiarato di oltre il 25% per due annualità consecutive (2007 e 2008);

la Commissione regionale rilevava, inoltre, che il contribuente aveva appellato la decisione di primo grado, censurando la ritenuta mancata prova delle sue doglianze e deducendo di aver fornito dimostrazione dell’utilizzo promiscuo dell’autovettura anche per l’attività di agente di commercio, come risultava dalla documentazione allegata al ricorso (fattura d’acquisto di soggetto d’iva e registro cespiti ammortizzabili);

il giudice di appello, richiamata la circolare n. 49/2007, secondo cui la spesa per l’autovettura andava intesa non solo sotto il profilo dell’acquisto ma anche al fine del mantenimento, riteneva che il sostenimento dei costi e degli oneri derivanti dal possesso del veicolo presupponeva un reddito congruo, con onere del contribuente di dimostrare la fonte della disponibilità di spesa;

nel caso in esame, secondo la C.t.r., il contribuente non aveva fornito valida ed analitica prova contraria;

a seguito del ricorso, l’Agenzia delle entrate si è costituita e resiste con controricorso;

il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 27 maggio 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, il ricorrente denunzia la nullità della sentenza per aver pronunciato oltre i limiti della domanda, in violazione dell’art. 112 c.p.c., del D.Lqs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, comma 2, e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, violazione della L. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 24 e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 1 e art. 12, comma 7, nonché violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 6 e del D.M. 10 settembre 1992, art. 4, comma 2, la violazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, commi 4 e 6, e del D.M. 10 settembre 1992, art. 4, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

secondo il ricorrente, la sentenza impugnata sarebbe viziata da nullità assoluta in quanto il giudice di appello non avrebbe rilevato il difetto di motivazione e la carenza di prova dell’accertamento originario, incorrendo nelle dedotte violazioni di legge, atteso che, da un lato, la documentazione richiesta dall’ufficio nell’invito a comparire, relativa al solo acquisto dell’immobile nel 2008, era stata integralmente esibita, mentre, dall’altro, nessun contraddittorio preventivo si era svolto in relazione agli indici del redditometro effettivamente applicati nell’accertamento e relativi al mero utilizzo dell’auto e dell’abitazione principale;

il ricorrente eccepisce di aver provato quanto richiesto dall’ufficio nel citato invito, relativamente al solo acquisto dell’immobile, tanto che nell’accertamento la voce incrementi patrimoniali era pari a “O”;

al contrario non gli erano mai state richieste giustificazioni sul possesso e sull’utilizzo dell’auto e dell’abitazione principale, né era stato formato alcun p.v.c. su tale rilevo, in violazione della L n. 4 del 1929, art. 24, né si era proceduto ad alcun contraddittorio preventivo sui predetti indici, gli unici poi posti a fondamento dell’accertamento redditometrico, così negando la possibilità al contribuente di fornire le dovute spiegazioni al riguardo;

con il secondo motivo, il ricorrente denunzia la nullità della sentenza per aver ritenuto legittimo l’accertamento originariamente impugnato, fondato esclusivamente su indici da redditometro (mero possesso di un’autovettura e di un’abitazione principale), considerati presunzione grave, precisa e concordante, senza preventivo contraddittorio sul punto, in violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, violazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., dell’art. 53Cost., dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4;

il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sia da considerarsi nulla e, comunque, emessa in violazione di legge, in quanto ha ritenuto legittimo l’accertamento dell’ufficio, basato sull’applicazione automatica e senza preventivo contraddittorio dell’indice del mero utilizzo di un’automobile e dell’abitazione principale, considerato erroneamente presunzione grave, precisa e concordante, da sola, in realtà, inidonea a fondare un accertamento;

con il terzo motivo, il ricorrente denunzia la nullità della sentenza impugnata per motivazione meramente apparente, illogicità manifesta e irriducibile contraddittorietà ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 36, comma 2, n. 4, e omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, commi 4, 5 e 6 e del D.M. 10 settembre 1992, violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 164, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4;

il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il contribuente non abbia fornito la prova contraria alle presunzioni dell’ufficio, erroneamente ritenute gravi, precise e concordanti, ritenendo altresì corretta l’applicazione delle tabelle e dei coefficienti di cui al provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 14/2/2007 e del D.M. 10 settembre 1992, nonché sussistente lo scostamento di oltre il 25% del reddito accertato rispetto a quello dichiarato per le annualità 2007 e 2008;

secondo il ricorrente, la C.t.r. sarebbe incorsa in una motivazione meramente apparente laddove ha affermato che, come già ritenuto dal giudice di primo grado, ” i criteri di determinazione risultano adeguatamente indicati nel verbale di accertamento e per ognuno dei beni i valori sono stati determinati sulla base degli importi e dei coefficienti contenuti nelle tabelle di cui al provvedimento del Direttore dell’Agenzia Entrate del 11/2/09, svolti correttamente, e gli importi considerati sono stati calcolati tenendo conto della quota di spese e dell’utilizzo”;

in particolare, il contribuente aveva dedotto e dimostrato che l’autovettura (TG *****) era stata acquistata in data 28/09/2007, a seguito del furto della prima automobile, e veniva utilizzata per l’attività di agente di commercio del contribuente (quindi all’epoca era deducibile fiscalmente dell’80%, con valore redditometrico del 20%);

secondo il contribuente, in base al prospetto di ricalcolo del redditometro, prodotto in giudizio, con i valori corretti relativi al mero utilizzo dell’auto e dell’abitazione principale, non si riscontrava lo scostamento del 25% per i due anni 2007 e 2008;

i motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono complessivamente infondati e vanno rigettati;

in primo luogo, come è stato rilevato da questa Corte, “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata esclusivamente per i tributi armonizzati di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, mentre, per quelli non armonizzati, non essendo rinvenibile, nella legislazione nazionale, una prescrizione generale, analoga a quella comunitaria, solo ove risulti specificamente sancito, come avviene per l’accertamento sintetico, in virtù del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 7, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, conv. in L. n. 122 del 2010, applicabile, però, solo dal periodo d’imposta 2009, per cui gli accertamenti relativi alle precedenti annualità sono legittimi anche senza l’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11283 del 31/05/2016, che fa riferimento alla sentenza delle SS.UU. n. 24823/2015);

nella specie, è pacifico che si verte in ipotesi di accertamento sintetico notificato relativo all’anno d’imposta 2007, in relazione al quale non opera la modifica normativa di cui al D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010;

invero, il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, ha disposto (con l’art. 22, comma 1), con specifica norma di diritto transitorio, che le modifiche operano in relazione agli “accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto” e quindi la norma ha effetto dal periodo d’imposta 2009 (cfr. Cass.21041/2014; Cass. 22746/2015);

non vi era, quindi, per l’anno di imposta oggetto di accertamento l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale, introdotto con norma successiva;

inoltre, costituisce principio consolidato quello secondo cui “in tema di accertamento cd. sintetico, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, ove il contribuente deduca che la spesa effettuata deriva dalla percezione di ulteriori redditi di cui ha goduto è onerato della prova contraria sulla loro disponibilità, sull’entità degli stessi e sulla durata del possesso, sicché, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti dai quali emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere” (Sez. 6 5, Ordinanza n. 29067 del 13/11/2018);

se è vero che, ai fini dell’accertamento sintetico, possono essere indicati, a giustificazione delle spese indicative della capacità contributiva, anche i redditi degli altri componenti del nucleo familiare (cfr. Cass. n. 30355/2019; Cass. n. 5365/2014) nonché le donazioni di denaro, anche del coniuge o di altri familiari, e le somme provenienti da disinvestimenti o successione ereditaria, tuttavia, il contribuente ha l’onere di dimostrare la disponibilità di tali redditi e, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è comunque onerato della prova delle circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere;

“in tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico” (Cass. n. 8995/2014, in motivazione);

nel caso di specie, la C.t.r., con accertamento in fatto che non risulta in alcun modo impugnato, ha rilevato che l’avviso di accertamento impugnato dal contribuente era fondato sul possesso dell’abitazione principale e di un’autovettura, elementi che costituivano indici del maggior reddito accertato, superiore di quello dichiarato di oltre il 25% per due annualità consecutive (2007 e 2008);

il giudice di appello, richiamando la circolare n. 49/2007, secondo cui la spesa per l’autovettura andava intesa non solo sotto il profilo dell’acquisto ma anche al fine del mantenimento, aveva ritenuto che il sostenimento dei costi e degli oneri derivanti dal possesso del veicolo presupponeva un reddito congruo, con onere del contribuente di dimostrare la fonte della disponibilità di spesa;

come è stato detto “in tema di accertamento dei redditi, costituiscono – ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 2, nel testo applicabile nella fattispecie “ratione temporis” – “elementi indicativi di capacità contributiva”, tra gli altri, specificamente la “disponibilità in Italia o all’estero” di “autoveicoli”, nonché di “residenze principali o secondarie”. La disponibilità di tali beni, come degli altri previsti dalla norma, costituisce, quindi, una presunzione di “capacità contributiva” da qualificare “legale” ai sensi dell’art. 2728 c.c., perché è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità la esistenza di una “capacità contributiva”. Pertanto, il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di togliere a tali “elementi” la capacità presuntiva “contributiva” che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma. (Fattispecie nella quale la S.C. ha cassato con rinvio la decisione della commissione tributaria regionale che aveva ritenuto che il solo possesso di un’autovettura non consentisse l’accertamento con la rettifica operata)” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16284 del 23/07/2007; conf. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17487 del 01/09/2016);

nello specifico, il contribuente ha dedotto l’irrilevanza, ai fini della determinazione sintetica del reddito, delle spese di gestione dell’autovettura, in quanto utilizzata anche nello svolgimento della sua attività professionale di agente di commercio;

tuttavia, questa Corte ha più volte asserito che il reddito di un’attività professionale può essere dedotto, pur in presenza di una contabilità formalmente regolare, da fatti sintomatici, tra cui il quantitativo dei beni utilizzati nell’esercizio dell’attività stessa;

pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, deve considerarsi legittimo l’accertamento a carico dell’agente di commercio basato sulle spese inerenti al possesso di un’autovettura, e ciò nonostante essa sia strumentale all’attività, in quanto le stesse sono complessivamente sintomatiche della capacità reddituale del contribuente;

il giudice tributario, accertata l’esistenza dell’elemento specifico indicatore di capacità contributiva, non ha la possibilità di privarlo dell’efficacia che la legge gli ha attribuito, ma solo quella di valutare la prova offerta dal contribuente relativa alla provenienza delle somme necessarie a mantenere il possesso dei beni in questione;

non si ravvisa, quindi, la dedotta omissione motivazionale oggetto del terzo motivo di ricorso, in quanto, sia pure sinteticamente, la C.t.r. nella decisione impugnata ha dato atto delle ragioni per cui non riteneva fondato l’assunto del contribuente;

in conclusione, il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.400,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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