Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.21060 del 22/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21836/2019 proposto da:

O.O., ammesso al patrocinio a spese dello Stato e rappresentato e difeso dall’avv. Gianluca VITALE, con studio in Torino, via Cibrario, 12;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, ope legis domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto n. 3742/2019 del Tribunale ordinario di Torino;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 01/12/2020 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

RILEVATO

che:

– il presente giudizio trae origine dal ricorso proposto da O.O., cittadino nigeriano, avverso il provvedimento di diniego reso dalla Commissione territoriale competente per il riconoscimento della protezione internazionale;

– il ricorrente ha impugnato il predetto rigetto chiedendo al Tribunale di Torino il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e quella umanitaria;

– a sostegno della domande di protezione, il ricorrente aveva raccontato di aver dovuto lasciare la città di Benin City (Edo State) dove era nato e cresciuto, in quanto minacciato in più occasioni dai componenti della setta *****, che lo derubavano e picchiavano impedendogli, per la paura dei maltrattamenti subiti, di recarsi al negozio per lavorare; ha aggiunto di essere sposato e che insieme alla moglie avevano deciso dipartire, prima la moglie e dopo due mesi lui con l’aiuto dei familiari; temeva in caso di rimpatrio di essere minacciato dagli appartenenti della setta e dai trafficanti cui era stata affidata la moglie per il viaggio e che avevano iniziato a minacciarla affinché restituisse il debito contratto per il viaggio;

– il tribunale torinese, premesso che le dichiarazioni non erano credibili attese le profonde divergenze con quanto riferito dalla moglie nel corso della sua audizione (circostanza che aveva determinato la necessità di una seconda audizione dell’odierno ricorrente avanti alla commissione), ha rigettato lo status di rifugiato per la mancanza dei presupposti, così come quelli della protezione sussidiaria e di quella umanitaria;

– la cassazione del decreto impugnato è chiesta con ricorso tempestivamente notificato il 5/07/2019 ed affidato ad un unico motivo;

– il Ministero dell’interno si è costituito ai soli fini dell’eventuale discussione orale della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

CONSIDERATO

che:

– con il primo e unico motivo si denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 e art. 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3 e art. 27, comma 1-bis, D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6, dell’art. 16 direttiva 2013/32/UE;

– ad avviso del ricorrente il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato avrebbe violato i parametri normativi che disciplinano il corretto giudizio di una domanda di protezione e, in particolare gli indici di valutazione della credibilità delle dichiarazioni del richiedente;

– il motivo è inammissibile;

– diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente le dichiarazioni rese in due differenti audizioni avanti la commissione ed in occasione di quella giudiziale sono state oggetto di esame secondo la procedimentalizzazione enunciata nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5; inoltre, ne è stata valutata sia la coerenza intrinseca, tanto da dubitare alla luce delle divergenti dichiarazioni, dello stesso vincolo di coniugio, sia quella estrinseca, alla stregua delle informazioni raccolte attraverso le COI sulle dinamiche di azione delle confraternite in quanto a reclutamento ed attività delle medesime (cfr. pag. 5 del decreto);

– tali conclusioni non sono attinte dalla censura che si concentra sull’audizione giudiziale nel corso della quale non risulta, così si rileva dal tenore del decreto impugnato, essere stato fatto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. a);

– il ricorso è pertanto inammissibile;

– nulla va disposto sulle spese atteso il mancato svolgimento di effettiva attività difensiva da parte del resistente Ministero;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezione Seconda Civile, il 1 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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