LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24114/2019 R.G. proposto da:
A.L., rappresentato e difeso dall’avv. Roberto Maiorana, con domicilio eletto in Roma, al Viale Angelico n. 38.
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12.
– controricorrrente a debito –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 2352/2019, depositata in data 6.6.2019.
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 16.2.2021 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.
FATTI DI CAUSA
A.L. ha chiesto la concessione della protezione internazionale, assumendo di provenire dal Pakistan, di esser stato rapito da un gruppo di talebani, di esser riuscito a liberarsi e di aver abbandonato il paese.
Il tribunale di Venezia ha respinto la domanda con ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., confermata in appello.
La Corte distrettuale ha ritenuto che le dichiarazioni del ricorrente fossero generiche, contraddittorie, frutto di continui aggiustamenti e per più aspetti del tutto implausibili, osservando poi che l’interessato non aveva ottemperato ad alcuno degli oneri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Ha negato lo status di rifugiato, non ritenendo neppure ipotizzabile un rischio di persecuzione, date le ragioni di carattere economico e la natura privata della vicenda che aveva determinato la fuga, riconducibile, in sostanza, ad una disputa riguardante un veicolo.
Ha dichiarato insussistente anche il rischio di cui dell’art. 14, lett. c), in base ad informazioni desunte da fonti internazionali, negando infine che la vicenda dedotta in giudizio integrasse i presupposti per la concessione del permesso umanitario, essendo carente una situazione di generale violazione dei diritti umani nel paese di provenienza ed irrilevante l’inserimento conseguito in Italia. Per la cassazione della sentenza A.L. propone ricorso in due motivi, illustrati con memoria.
Il Ministero dell’interno resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia vizio di motivazione e travisamento dei fatti, nonché la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6,14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.
La Corte d’appello avrebbe erroneamente valutato le condizioni di sicurezza del paese di provenienza, avendo affermato che il ricorrente proveniva dal distretto di Gujarat (India), anziché da Gujrat, situato nel nord-ovest del Pakistan, ove opera il gruppo terroristico ***** che mira ad annettere lo stato di Jammu ed il Kashmir al Pakistan. Il secondo motivo denuncia vizio di motivazione e il travisamento dei fatti, nonché la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, sostenendo che il giudice distrettuale, pur avendo rilevato la grave situazione di povertà esistente in Pakistan, abbia ritenuto insussistente una situazione di vulnerabilità soggettiva, omettendo anche la dovuta comparazione tra la condizione del ricorrente nel paese di origine con l’inserimento ottenuto in Italia.
2. I due motivi sono inammissibili.
Non sussiste alcun travisamento circa l’individuazione del paese di provenienza del ricorrente: risulta evidente dall’esame della sentenza (cfr. pagg. 4, 9 e ss.) come la Corte di merito abbia esaminato la situazione generale di sicurezza proprio del Pakistan e come l’errata indicazione della regione di provenienza (Gujarat in luogo di Gujrat) sia stata il frutto di un mero refuso materiale che non ha influito sulla valutazione dei presupposti per la concessione della protezione internazionale.
2.1. La sentenza ha esplicitamente riconosciuto che la vicenda personale del ricorrente si risolveva in una lite tra privati circa l’appartenenza di un veicolo e che non era ammissibile neppure la concessione della protezione umanitaria, non essendo rappresentata una condizione soggettiva di vulnerabilità ricollegabile ad una situazione di diffusa violazione dei diritti umani.
In altri termini, è apparsa decisiva l’insussistenza di un qualche collegamento tra la condizione del ricorrente e l’eventuale insufficiente tutela dei diritti fondamentali nel paese di provenienza, profilo su cui il ricorso non si sofferma minimamente.
E’ indubbio che i “seri motivi” di carattere umanitario, risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano (art. 5, comma 6, cit.) che ammettono la concessione del permesso di soggiorno, non vengono tipizzati o predeterminati, neppure in via esemplificativa, dal legislatore, cosicché costituiscono un catalogo aperto (Cass. s.u. 5059/2017; Cass. 26566/2013; Cass. s.u. 19393/2009).
La condizione di “vulnerabilità” può avere ad oggetto anche la mancanza delle condizioni minime per condurre un’esistenza nella quale non sia radicalmente compromessa la possibilità di soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili della vita personale, quali quelli strettamente connessi al sostentamento e al raggiungimento degli standards minimi per un’esistenza dignitosa.
In materia di protezione umanitaria, occorre tuttavia sempre partire dalla situazione oggettiva del paese di origine del richiedente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza.
Tale punto di avvio dell’indagine, è intrinseco alla ratio stessa della protezione umanitaria, non potendosi eludere la rappresentazione di una condizione personale di effettiva deprivazione dei diritti umani che abbia giustificato l’allontanamento e che risulti caratterizzare il paese di origine (Cass. 4455/2018).
Il ricorso e’, quindi, inammissibile, con aggravio di spese secondo soccombenza.
Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 2100,00 per compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 3 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021