Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.21071 del 22/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22068/2019 R.G. proposto da:

O.F., rappresentato e difeso dall’avv. Alessandro Venturini, con domicilio eletto in Roma, Via dei Pirenei n. 1, presso l’avv. Alessandra Gentile.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, Via dei Portoghesi n. 12.

– controricorrente a debito –

avverso il decreto del Tribunale di Firenze n. 4678/2019, depositato in data 2.7.2019.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 16.2.2021 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

FATTI DI CAUSA

Con decreto n. 4678/2019, il tribunale di Firenze ha respinto la domanda di protezione internazionale proposta da O.F..

Il ricorrente, cittadino nigeriano, di provenienza dell’Edo State, aveva dedotto che, dopo la morte del padre, i parenti gli avevano comunicato che avrebbe dovuto ricoprire la carica di guardiano dei riti juju ed effettuare sacrifici umani, ma che, essendosi rifiutato, aveva subito intimidazioni dai parenti ed aveva abbandonato il paese, temendo per la propria incolumità.

Il Tribunale ha ritenuto che il racconto del richiedente asilo fosse per più aspetti inattendibile, oltre che smentito dalle informazioni ricavabili da fonti accreditate circa l’effettuazione di sacrifici umani in occasione delle festività nella zona di provenienza dell’interessato. Respinta la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2008, ex art. 14, lett. a) e b), la pronuncia ha escluso anche la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata (art. 14, lett. c), mentre, quanto alla protezione umanitaria, ha rilevato la carenza di una condizione di effettiva vulnerabilità soggettiva e l’assenza di un significativo inserimento nel tessuto sociale ed economico italiano.

Per la cassazione del decreto O.F. propone ricorso in tre motivi.

Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, nonché del D.P.R. n. 12 del 2015, art. 6 e art. 16 della Direttiva 2013/332 EU, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il tribunale avrebbe ritenuto inattendibile i fatti allegati senza far ricorso ai criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, avendo valorizzato aspetti del tutto marginali della vicenda dell’interessato ed essendo pervenuto a conclusioni contrastanti con le informazioni ricavabili da siti internazionali riguardo alla commissione di omicidi rituali.

Il motivo è inammissibile.

Il tribunale, oltre a giudicare inattendibile il racconto del richiedente asilo ha, tuttavia, posto in risalto che il ricorrente non aveva titolo ad ottenere lo status di rifugiato per l’impossibilità di ricondurre la sua vicenda personale a fatti di persecuzione per ragioni politiche, sociali, religiose o di appartenenza razziale, nonché, quanto alla protezione sussidiaria dell’art. 14, sub lett. a) e b), decreto qualifiche, per l’assenza del rischio di subire una condanna capitale, di essere sottoposto alla pena capitale o a trattamenti disumani.

La valutazione di credibilità, a prescindere dalla sua corretta formulazione, non ha assunto alcun rilievo, sicché il ricorso, nel censurarne la correttezza, non attinge l’effettiva ratio decidendi della pronuncia.

2. Il secondo motivo deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, art. 3, comma 4 e art. 14, lett. c), ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, asserendo che il tribunale, nell’escludere che il ricorrente fosse esposto al rischio di subire un danno grave alla persona, abbia negato la protezione sussidiaria nonostante il clima di violenza generalizzata determinato dall’azione di gruppi terroristici ed attestato da molteplici precedenti di merito.

Il motivo è inammissibile.

La pronuncia ha valorizzato le convergenti informazioni desunte da fonti qualificate ed aggiornate a data prossima a quella della decisione (cfr. sentenza, pag. 12), da cui era esclusa, nella regione di provenienza dell’interessato, una situazione di violenza indiscriminata tale da porre in pericolo l’incolumità della popolazione per la sua stessa presenza sul territorio nazionale.

A tale motivato convincimento il ricorso contrappone una diversa ed ormai datata ricognizione del contesto di provenienza, desunta da un unico precedente di merito relativo alla situazione interna del paese risalente al biennio 2014/2015 (cfr. ricorso, pag. 8), inidoneo a confutare le conclusioni assunte dal giudice di merito.

3. Il terzo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 3, contestando alla pronuncia di aver respinto la domanda di protezione umanitaria, valutando solo il grado di integrazione in Italia e non anche la grave compromissione dei diritti umani nel paese di origine a causa dell’azione di gruppi terroristici e da esponenti dei culti tradizionali.

Il motivo è infondato.

La pronuncia ha evidenziato, sia pure sinteticamente, che dalle fonti qualificate già menzionate in precedenza (cfr. decreto, pag. 12), non poteva dirsi attestata una condizione di effettiva deprivazione dei diritti umani e che l’interessato non aveva conseguito alcun significativo inserimento in Italia, non essendo documentato lo svolgimento di attività lavorativa.

Le contrarie deduzioni del ricorrente, riguardo ai rischi derivanti dall’azione di ***** o degli appartenenti ai culti tradizionali, oltre che fondate su un unico – e ormai non più attuale – precedente di merito, involgono questioni di fatto cui il tribunale ha dato soluzione con motivazione esente da vizi logici.

Il ricorso è respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 2100,00 per compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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