LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2709/2020 proposto da:
F.S., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO AMMENDOLA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI SALERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– resistente con mandato –
avverso il decreto n. cronologico 2637/2019 del TRIBUNALE di SALERNO, depositato il 14/11/2019 R.G.N. 10008/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 17/03/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.
RILEVATO
Che:
1. il Tribunale di Salerno, con decreto n. 2637/2019, ha respinto il ricorso proposto da F.S., cittadino nigeriano, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);
1.1. dal decreto si evince che il richiedente ha motivato l’allontanamento dal Paese di origine con vicende connesse alla successione del re della comunità di appartenenza; in particolare ha riferito che suo padre, secondo attendente del re, non aveva voluto aiutare il fratello più giovane di questi a prendere il trono in quanto spettante al figlio maggiore del re che si trovava negli Stati Uniti; qualche anno dopo il padre del richiedente era stato ucciso insieme ai fratelli più grandi ed il richiedente avrebbe dovuto essere il successore e aiutare il re al trono se fosse tornato; il fratello giovane del re, H.O., aveva dato dei soldi ed egli aveva deciso di lasciare la Nigeria per timore di essere ucciso, come accaduto al padre ed ai fratelli; la madre gli aveva riferito che il figlio del re gli aveva detto che doveva supportarlo e che se avesse fallito sarebbe stato ucciso; ha chiarito che ora il figlio del re, M., era il capo della comunità ma che aveva comunque paura di tornare a vivere al villaggio perché avrebbe sempre potuto essere ucciso da H.;
1.2. il Tribunale ha escluso i presupposti per l’accoglimento della domanda di protezione osservando: a) che alla stregua del medesimo racconto del richiedente non sussistevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato; b) analogamente quanto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); ha quindi osservato che, anche a voler dar credito al racconto fatto dal richiedente, il pericolo paventato in caso di rientro doveva ritenersi venuto meno in quanto il nuovo re della comunità era il legittimo pretendente al trono senza contestazioni da parte del fratello; d’altro canto lo stesso richiedente aveva in più passaggi chiarito che se tornava il legittimo re egli non avrebbe avuto problemi a rientrare nel suo Paese; non era quindi credibile quanto dichiarato in Tribunale sul fatto che il fratello del precedente re intendeva fargliela pagare, in quanto il nuovo re lo avrebbe senz’altro tutelato; c) erano da escludere i presupposti della protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14, lett. c), dovendosi escludere, alla stregua delle fonti consultate, la esistenza nella regione di provenienza (Edo State) di un conflitto armato interno – pur nell’ampia accezione indicata dalla giurisprudenza – tale da creare una situazione di indiscriminata violenza che possa coinvolgere il ricorrente; in relazione alla regione di provenienza dello stesso; d) quanto alla protezione umanitaria ha evidenziato che nello specifico non risultavano ragioni di particolare vulnerabilità o una qualche situazione di pericolo collegata al rientro in patria posto che il ritorno del re legittimo aveva fatto venire meno il pericoli, di ritorsione da parte dello zio dello stesso; neppure assumeva rilievo al fine della configurazione di una situazione di vulnerabilità giustificativa del permesso di soggiorno il riferimento all’inserimento sociale e lavorativo in Italia;
2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso F.S. sulla base di un unico motivo; il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.
CONSIDERATO
Che:
1. con l’unico motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 286 del 1988, art. 5, comma 6, art. 10 Cost., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, D.Lgs. n. 113 del 2018 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e omessa insufficiente e contraddittoria motivazione; censura il provvedimento impugnato: a) per avere escluso che il racconto del richiedente consentisse di configurare una situazione di persecuzione per i motivi indicati dall’art. 1, lett. a), punto 2 della Convenzione di Ginevra del 1951; b) per avere escluso il presupposto della protezione sussidiaria laddove – assume – era comprovata e notoria la situazione di violenza indiscriminata e diffusa in tutto il Paese di origine; c) per avere negato la protezione umanitaria sulla base di normativa – D.L. n. 113 del 2018, art. 32 – non applicabile ratione temporis; d) per avere omesso di considerare il radicamento del ricorrente in territorio italiano e che solo il permesso di soggiorno consentiva al richiedente di ricongiungersi con la famiglia di origine;
2. il ricorso è inammissibile per assoluta genericità delle censure articolate che si risolvono nella enunciazione di una serie di principi in tema di protezione internazionale nelle sue differenti articolazioni, senza la argomentata indicazione delle modalità con le quali gli stessi sarebbero stati violati dal giudice di merito;
2.1. l’assunto della astratta configurabilità del rischio di persecuzione, rilevante ai sensi del riconoscimento dello status di rifugiato, si traduce, infatti, nella mera contrapposizione di una diversa valutazione delle allegazioni formulate e delle dichiarazioni rese dall’odierno ricorrente rispetto a quella alla base provvedimento impugnato, senza alcuna specifica evidenziazione degli elementi desumibili dal racconto del richiedente idonei a sorreggere l’assunto alla base della censura;
2.2. per ragioni sostanzialmente analoghe è inammissibile la censura che contesta l’insussistenza nella regione di provenienza di una situazione di violenza diffusa rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in quanto chi ricorre si limita, in realtà, a prospettare una diversa valutazione della situazione del Paese di provenienza, con una censura che attiene chiaramente ad una quaestio facti (neppure supportata dalla puntuale indicazioni delle fonti alla base della differente rappresentazione della situazione), che non può essere riesaminata innanzi alla Corte di legittimità, perché esprime un mero dissenso valutativo delle risultanze di causa e invoca, nella sostanza, un diverso apprezzamento di merito delle stesse (da ultimo Cass. n. 2563/2020);
2.3. inammissibile perché priva di pertinenza con le ragioni del decisum è la censura relativa alla disciplina di riferimento avendo il giudice di merito espressamente escluso che alla fattispecie in esame potesse trovare applicazione il d. I n. 113/2018 conv. in L. n. 133 del 2018, in ragione della natura sostanziale della disciplina in tema di protezione umanitaria da esso introdotta (decreto, pag. 3);
2.4. infine, è da respingere anche l’ulteriore censura che si esprime in un mero dissenso valutativo rispetto alle ragioni alla base del rigetto della domanda di protezione umanitaria e che introduce, inoltre, un tema, quello delle esigenze di ricongiungimento familiare connesse al rilascio del permesso di soggiorno, che non è stato specificamente affrontato dal giudice di merito di talché, a fronte di ciò, onde impedire una valutazione di novità della questione, era onere del ricorrente quello di allegare l’avvenuta deduzione di esso innanzi al giudice di merito ed inoltre, in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione, quello di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito (Cass. 23675/2013, 8337/2014, 20694/2018, 15430/2018; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675), come viceversa non è avvenuto;
3. non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo il Ministero intimato svolto attività difensiva, essendosi limitato a depositare atto di costituzione al fine della discussione;
4. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535/2019).
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 17 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021