Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.21080 del 22/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2712/2020 proposto da:

A.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO ZAMPELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI CASERTA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. cronologico 8975/2019 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 27/11/2019 R.G.N. 19107/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 17/03/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

RILEVATO

Che:

1. il Tribunale di Napoli, con decreto n. 8975/2019, ha respinto il ricorso proposto da A.A., cittadino della Nigeria, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

1.1. dal decreto si evince che il richiedente ha motivato l’allontanamento dal paese di origine con la necessità di sottrarsi alla vendetta dei familiari di alcune persone accidentalmente uccise da suo padre mentre questi era alla guida della propria vettura; ha riferito che, morto anche il padre nell’incidente, quale figlio primogenito di un padre di religione musulmana avrebbe dovuto provvedere alla sepoltura delle persone morte a causa dell’incidente e che non aveva potuto sostenere la relativa spesa per mancanza di disponibilità di danaro; i parenti delle vittime per vendicarsi avevano ucciso la madre; ha riferito di essere fuggito senza accertarsi della morte della madre né della sorte del fratello minore; raggiunto dai responsabili della morte della madre era stato da questi portato nella foresta da dove era riuscito a fuggire; non poteva rientrare in Nigeria perché i familiari delle vittime lo stavano ancora cercando;

1.2. il giudice di merito ha ritenuto il racconto poco credibile ed osservato che anche a volerlo ritenere tale da esso non emergeva alcun rischio di essere sottoposto a persecuzione al fine del riconoscimento dello status di rifugiato; quanto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), il narrato non evidenziava alcun pericolo di danno grave rilevante a tali fini posto che esso faceva riferimento ad una vicenda privata e che bene avrebbe potuto l’interessato rivolgersi alle forze dell’ordine per ottenere tutela; il racconto era, in ogni caso, privo di riscontri probatori ed inoltre appariva poco credibile che il richiedente non sapesse nulla della sorte della madre e del fratello; le fonti consultate escludevano, inoltre, una situazione di violenza diffusa ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); infine neppure sussistevano le condizioni per la protezione umanitaria posto che dal racconto del richiedente non emergevano profili di particolare vulnerabilità;

2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso A.A. sulla base di due motivi; il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, art. 47 della Carta di Nizza, dell’art. 46 Direttiva 2013/32/UE e artt. 6 e 13 CEDU. Assume che poiché le “specifiche tecniche”, relative all’audizione del cittadino straniero ed alla relativa video registrazione, le quali in base del D.Lgs. n. 25 del 2008, novellato art. 14, comma 8, avrebbero dovuto essere adottate di intesa tra il Ministero dell’Interno ed il Ministero della Giustizia, non erano state in concreto adottate, il colloquio del richiedente dinanzi alla Commissione territoriale era stato verbalizzato in modo riassuntivo per cui era necessario procedere all’audizione diretta del richiedente da parte dell’autorità giudiziaria;

2. con il secondo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione del combinato disposto dal D.Lgs. n. 150 del 2011, del D.Lgs. n. 142 del 2015 e del D.Lgs. n. 25 del 2008; premesso che sin dall’audizione davanti alla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva dichiarato di comprendere solo il dialetto edo, allega che il provvedimento era stato tradotto solo nelle lingue veicolari senza che venissero chiarite le ragioni dell’impossibilità di tradurre il provvedimento nell’unica lingua nota al richiedente; tanto determinava la nullità dell’atto;

3. il primo motivo di ricorso è inammissibile;

3.1. la questione relativa all’assenza di video registrazione del colloquio dinanzi alla Commissione territoriale non è stata trattata nel provvedimento impugnato ma, a fronte di ciò, onde impedire una valutazione di novità della questione, era onere del ricorrente quello di allegare l’avvenuta deduzione di esso innanzi al giudice di merito ed inoltre, in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione, quello di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675), come viceversa non è avvenuto; con specifico riferimento al ricorso con il quale è dedotta, in mancanza di videoregistrazione, l’omessa audizione del richiedente che ne abbia fatto espressa istanza, è stato in particolare precisato che l’impugnazione deve contenere l’indicazione puntuale dei fatti che erano stati dedotti avanti al giudice del merito a sostegno di tale richiesta, avendo il ricorrente un preciso onere di specificità della censura (Cass. 11 novembre 2020, n. 25312); nel caso specifico parte ricorrente si è sottratta a tale onere essendosi limitata al generico richiamo a principi di ordine generali senza evidenziare la specifica pertinenza con riferimento agli atti del giudizio di merito;

4. il secondo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile per genericità non avendo il ricorrente precisato quale era il provvedimento in relazione al quale era denunziata la mancata traduzione in lingua conosciuta e non avendo, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, proceduto alla relativa trascrizione;

5. non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo il Ministero intimato svolto attività difensiva, essendosi limitato a depositare atto di costituzione al fine della discussione;

6. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535/2019).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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