Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.21113 del 22/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26621-2019 proposto da:

R.R., rappresentato e difeso dall’avvocato DANIELA GASPARIN, per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la SENTENZA n. 508/2019 della CORTE D’APPELLO DI MILANO, depositato il 5/2/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/2/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

FATTI DI CAUSA

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello che R.R., nato in *****, aveva proposto avverso l’ordinanza con la quale il tribunale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale che lo stesso aveva proposto.

R.R., con ricorso notificato il 2/9/2019, ha chiesto la cassazione della sentenza per tre motivi.

Il ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione de4l D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) senza, tuttavia, esaminare, in violazione dei relativi parametri normativi, le dichiarazioni rese dal richiedente alla luce del contesto del suo Paese di provenienza e sulla base di informazioni pertinenti e aggiornate ed, in ogni caso, senza indicare le fonti sulle quali ha fondato la fondato il suo convincimento circa l’efficienza e l’idoneità della protezione fornita dalle istituzioni del suo Paese d’origine.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 6, 14 e 17, del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8 e 27 e degli artt. 2 e 3 CEDU nonché l’omesso esame di fatti decisivi, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha escluso la sussistenza dei presupposti di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) pur avendo accertato l’oggettiva sussistenza nel suo Paese d’origine di una situazione di grave insicurezza per i civili derivante dalla presenza di milizie islamiste che, come attestato dalle COI ad esso relative, conducono una lotta armata contro il governo e le istituzione, provocando violenti e sanguinosi attacchi terroristici.

3.1. Il primo ed il secondo motivo, da trattare congiuntamente, sono infondati.

3.2. Ai fini della protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), la nozione di indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, dev’essere accertata in conformità della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), secondo cui il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria: il grado di violenza indiscriminata, pertanto, deve aver raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 18306 del 2019).

3.3. La sussistenza di tale presupposto dev’essere, tuttavia, accertata dal giudice di merito mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone, ove pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione (cfr. Cass. 9230 del 2020). Il giudice, peraltro, a norma del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, ha il dovere di indicare la fonte a tal fine utilizzata nonché il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (Cass. n. 13449 del 2019, Cass. n. 13450 del 2019, Cass. n. 13451 del 2019, Cass. n. 13452 del 2019).

3.4. La decisione impugnata, indicando la fonte in concreto utilizzata ed il contenuto delle notizie sulla condizione del Paese tratte da detta fonte, ha (legittimamente) ritenuto che nel *****, pur a fronte delle tensioni derivanti da attacchi terroristici, la violenza non raggiunge un livello così elevato da comportare per i civili, in ragione della loro mera presenza sul posto, il concreto rischio della vita o di un grave danno alla persona. Tale apprezzamento, del quale il giudice di merito ha indicato le ragioni in modo nient’affatto apparente o contraddittorio, non è stato, peraltro, censurato dal ricorrente per avere il giudice di merito del tutto omesso l’esame di uno o più fatti specificamente dedotti in giudizio e decisivi ai fini di una ricostruzione della fattispecie diversa e allo stesso più favorevole. Ed e’, invece, noto che, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui all’art. 14, lett. c) del D.Lgs. n. 251 cit., che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito che può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 23942 del 2020). D’altra parte, in tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, il ricorrente ha il dovere – che, però, nel caso di specie è rimasto inadempiuto di indicare in modo specifico gli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, con il preciso richiamo, anche testuale, alle fonti di prova proposte, alternative o successive rispetto a quelle utilizzate dal giudice di merito, in modo da consentire alla Suprema Corte l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (cfr. Cass. n. 26728 del 2019) e sempre che siano tali da far ritenere, in termini di certezza e non di mera probabilità, che, n zona di provenienza del richiedente, per effetto di un conflitto armato interno tra le forze governative e uno o più gruppi armati ovvero tra due o più gruppi armati, sussista un grado di violenza indiscriminata di livello talmente elevato che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, il rischio effettivo di subirne la conseguente minaccia.

4. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2, e dell’art. 10 Cost., comma 3, la motivazione apparente e l’omesso esame di fatti decisivi, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione umanitaria limitandosi, tuttavia, a valutare soltanto il percorso scolastico e lavorativo svolto dal richiedente, senza approfondire né la condizione personale di disabilità in cui lo stesso di trova, né le condizioni oggettive in cui versa il suo Paese d’origine e l’effettiva possibilità, in caso di rimpatrio, di vivere dignitosamente e nel rispetto dei suoi diritti inviolabili.

5.11 motivo è infondato. La protezione umanitaria, com’e’ noto, costituisce una misura atipica e residuale che copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. 5358 del 2019; Cass. n. 23604 del 2017). I seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, (nel testo – incontestatamente – applicabile ratione temporis: cfr. Cass. SU n. 29459 del 2019) subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, prima dell’intervento attuato con il D.L. n. 113 del 2018, erano accomunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018). D’altra parte, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui all’art. 5, comma 6, cit., al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. n. 4455 del 2018). Tale comparazione presuppone, pertanto, un livello d’integrazione sociale nel Paese di accoglienza che, però, la corte d’appello, con apprezzamento che il ricorrente non ha censurato per omesso esame di fatti specificamente dedotti in giudizio e decisivi ai fini di una differente ricognizione della fattispecie concreta, ha, in sostanza, escluso, non potendo, in effetti, derivare dallo svolgimento di un’attività lavorativa (Cass. n. 8367 del 2020). Ne consegue che, in difetto di qualsiasi altro elemento di valutazione – che il ricorrente non dimostra, con la riproduzione dei relativi passi, di aver dedotto con il ricorso contenente la domanda di protezione umanitaria (a partire dalla dedotta situazione di disabilità) – la sentenza impugnata ha legittimamente escluso la sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione umanitaria.

6. I motivi articolati in ricorso si rivelano, quindi, del tutto infondati. Peraltro, poiché il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente abbia offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti, il ricorso, a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, è manifestamente inammissibile.

7. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

8. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare al ministero dell’interno le spese di lite, che liquida in Euro 2.100,00, per compenso, oltre alle oltre alle spese prenotate a debito; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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