LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 6777-2019 proposto da:2021 O.D., D.C.G., O.C., rappresentati e difesi dall’avvocato *****, ed elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEGLI SCIALOJA 6, presso lo studio degli avvocati OTTAVI LUIGI, E MASSIMO OTTAVI, PEC:
mariowalter.fassio.brecia.pecavvocati.it;
– ricorrenti –
contro
OP INSURANCE LTD, GIA’ POHJOLA NON LIFE INSURANCE COMPANY LTD, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati LIVIA OGLIO, STEFANO SUTTI ed elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI, 32, presso lo studio dell’avvocato LUCA VALENTINOTTI, pec: livia.ogliomilano.pecavvocati.it, stefano.sutti.milano.pecavvocati.it;
F.G., rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA PERUGINI, e ARTURO PERUGINI, ed elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO, 301, pec: luca.perugini.brescia.pecavvocati.it, arturoperugini.ordineavvocatiroma.org;
***** SPA, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati GUIDO GIACOMO GARDIN, e DONATELLA BONO, ed elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato LAURA TRICERRI, pec:
guido.gardin.brescia.pecavvocati.it, donatella.bono.brescia.pecavvocati.it, lauratricerri.ordineavvocatiroma.org;
AVIVA ITALIA SPA, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati GIORGIO MARCELLI, e ADRIANA MORELLI, ed elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI MONTE VERDE 162, pec:
giorgiomarcelli.ordineavvocatiroma.org, adriana.morelli.milano.pecavvocati.it;
– controricorrenti –
e’ contro AVON INSURANCE PLC, GIA’ AVON INSURANCE COMPANY LTD;
– intimati –
avverso la sentenza n. 5465/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 06/12/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/02/2021 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI;
lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE TOMMASO.
FATTI DI CAUSA
1. O.T. convenne davanti al Tribunale di Brescia il Dott. F.G. e la ***** rappresentando di essere stato sottoposto a due interventi di artroscopia esplorativa del ginocchio sinistro dai quali sarebbe derivata una artrite pneumococcica acuta a seguito di infezione nosocomiale, trasmessa in via ematica anche ad altre articolazioni, con irreversibile distruzione delle stesse.
La Casa di Cura ed il Dott. F. si costituirono in giudizio respingendo ogni addebito e chiesero la chiamata in causa delle rispettive compagnie di assicurazione.
2. Il Tribunale adito, disposta una CTU che escludeva tecnicamente la riconducibilità causale dell’artrite settica purulenta agli interventi di artroscopia, ravvisando una autonoma serie causale connessa ad una infezione polmonare successiva di oltre cinque mesi rispetto agli interventi chirurgici, condannò il F. e la Casa di Cura, in solido, al risarcimento del danno per la mancata acquisizione del consenso informato. L’ O. propose appello per sentir pronunciare la responsabilità della casa di cura e del Dott. F., oltre che per la mancanza di consenso informato, anche per aver effettuato atti operatori imprudenti e non conformi alle cautele che il caso imponeva.
3. La Corte d’Appello di Brescia, richiamati gli esiti della CTU acquisiti nel primo grado del giudizio, rigettò l’appello. La sentenza fu cassata da questa Corte, con sentenza n. 2854 del 13/2/2015, per aver il giudice ritenuto assorbita la domanda risarcitoria nella questione dell’omessa acquisizione del consenso informato e statuì l’autonoma rilevanza della condotta di adempimento della dovuta prestazione medica rispetto alla questione del consenso al fine di valutare se le conseguenze dannose successivamente verificatesi fossero, sotto il profilo del “più probabile che non”, da considerarsi ad essa causalmente astrette.
4. La Corte d’Appello di Brescia, pronunciando in sede di rinvio, con sentenza n. 5465 del 6/12/2018, ha fatto applicazione dei principi del “più probabile che non” e della vicinanza della prova, propri dell’accertamento del nesso causale tra condotta del sanitario e danno, ed ha escluso l’esistenza di un nesso causale tra gli interventi artroscopici eseguiti dal Dott. F. e la sepsi derivante da polmonite da pneumococco comparsa cinque mesi dopo, in ragione di un’autonoma serie causale. Il giudice ha dunque distinto due diverse fasi della patologia affliggente l’ O., la prima riconducibile agli interventi chirurgici e la seconda dovuta ad una distinta serie causale di eventi ed ha ritenuto che la seconda fase clinica della vicenda sottoposta al vaglio peritale, avvenuta a distanza di cinque mesi dalla risoluzione degli eventi flogistici, fu dovuta ad una infezione batterica non connessa alla vicenda chirurgico-artroscopica.
L’unico elemento considerato ai fini della valutazione della malpractise medica è stata l’inabilità temporanea assoluta di 40 giorni per la riacutizzazione flogistica innescata dall’artroscopia, valutandosi complessivamente non prudente la scelta terapeutica effettuata dal F., con condanna del medico e della casa di cura e, per essi delle loro compagnie, a pagare la somma di Euro 3.920 oltre interessi.
5. Avverso la sentenza D.C.G., O.D., O.C., quali eredi di O.E., nel frattempo deceduto, hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di nove motivi. Hanno resistito, con distinti controricorsi, la società ***** SpA (già *****), il Dott. F.G., la Aviva Italia SpA e la OP Insurance Ltd.
6. La causa, assegnata alla pubblica udienza, è stata poi fissata per la trattazione in adunanza camerale in vista della quale il PG. ha depositato conclusioni scritte nel senso del rigetto del ricorso, mentre ***** SpA e OP Insurance Ltd hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso – violazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2 nullità della sentenza per inosservanza dell’obbligo imposto al giudice del rinvio “di uniformarsi al principio di diritto enunciato e comunque a quanto stabilito dalla Suprema Corte” che ha dato espresso mandato di provvedere a nuovo esame della vicenda- i ricorrenti censurano la sentenza nella parte in cui non avrebbe ottemperato al dictum della cassazione ed avrebbe omesso di valutare un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di esame, costituito dalla ritenuta inopportunità della scelta di intervenire chirurgicamente su una articolazione già affetta da gotta. La Corte d’Appello avrebbe così violato il principio del divieto di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, limitandosi a richiamare brani della relazione di consulenza tecnica, e sostanzialmente, riproponendo l’iter motivazionale già censurato da questa Corte con la sentenza rescindente, senza introdurre, come avrebbe dovuto, argomenti nuovi e diversi rispetto a quelli della cassata sentenza. In particolare la tesi della “infezione nuova”, manifestatasi dopo cinque mesi dagli interventi, si sarebbe basata esclusivamente sugli esiti della consulenza tecnica anziché trovare fondamento in evidenze probatorie acquisite in giudizio.
1.1 Il motivo è infondato. Questa Corte, con la sentenza rescindente, aveva statuito che l’eventuale danno biologico ricollegabile all’intervento in artroscopia non potesse ritenersi assorbito nel già liquidato risarcimento del danno per mancata acquisizione del consenso informato e il giudice del rinvio si è attenuto al dictum riesaminando nel merito i fatti di causa rileggendoli alla luce degli insegnamenti di questa Corte, con il conseguente accertamento di una responsabilità dei sanitari limitata alla inabilità temporanea di 40 giorni. Le doglianze dei ricorrenti, pur prospettate quale motivo di diritto, si sostanziano, invero, nell’evocare un nuovo, ennesimo esame del merito delle questioni, del tutto al di fuori del giudizio di legittimità. Ne’ ha alcun pregio l’argomento dei ricorrenti secondo il quale la Corte del rinvio avrebbe omesso di motivare sulla base di elementi diversi da quelli proposti nel provvedimento cassato, in quanto, come è noto, la giurisprudenza di questa Corte ammette la motivazione per relationem purché il giudice d’appello, pur richiamando gli elementi essenziali della motivazione della sentenza di primo grado, abbia di fatto dato una risposta alle censure contro di questa formulate con il gravame. Quanto ai limiti del giudizio di rinvio occorre rilevare che gli stessi sono stati del tutto rispettati, essendo stato il giudice del rinvio investito del riesame di tutti i fatti di causa in base alla prospettazione configurata dalla giurisprudenza di questa Corte, alla quale il Collegio intende dare continuità: “I limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e per l’altra ragione: nella prima ipotesi, il giudice di rinvio è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; nella seconda ipotesi, il giudice non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, tenendo conto, peraltro, delle preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza ipotesi, la “potestas iudicandi” del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione “ex novo” dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse (Cass., L, n. 27337 del 24/10/2019; Cass., 3, n. 16660 del 6/7/2017; Cass., 3, n. 10549 del 3/6/2020).
Il giudice del rinvio si e’, infatti conformato, al principio di diritto posto dalla pronuncia rescindente nel valutare le conseguenze dannose rilevanti in rapporto alla prestazione medica fornita.
2. Con il secondo motivo – nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, violazione dell’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c. – i ricorrenti lamentano che il giudice abbia ritenuto di escludere la probabilità dell’evento dannoso quale derivante eziologicamente dagli interventi chirurgici limitandosi ad aderire a discutibili conclusioni del CTU a loro avviso omissive e lacunose.
3. Con il terzo motivo – violazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 dell’art. 132c.p.c., art. 118disp. Att. c.p.c. art. 112 c.p.c. vizio di motivazione ed omessa pronuncia – i ricorrenti lamentano la violazione delle indicate disposizioni per non aver il giudice del rinvio disposto ulteriori indagini peritali a loro avviso di evidente utilità ai fini della decisione della controversia e per non aver motivato in ordine alla possibilità di risolvere adeguatamente i problemi tecnici connessi alla decisione.
4. Con il quarto motivo – nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo – mancata considerazione di un dato clinico desunto dall’esperienza medica consistente nella possibilità che il focolaio infettivo di una artrite settica batterica del ginocchio, apparentemente debellato e rimosso in seguito a trattamento antibiotico, dopo un periodo di latenza manifesti la sua riaccensione, torna a riproporre apprezzamenti di merito, interpretazioni dei fatti clinici diversi da quelle fatte proprie dal consulente d’ufficio e dai giudici del merito.
2-3-4. Con il secondo, terzo e quarto motivo i ricorrenti insistono nel ritenere censurabile la sentenza per aver fatto proprie le risultanze della CTU e, sostanzialmente, chiedono un riesame di merito delle questioni dedotte in giudizio. Ciò è reso evidente dalle censure mosse alla CTU nella parte in cui la medesima aveva escluso che la sopravvenuta sespi fosse una diretta conseguenza degli interventi per affermare che essa derivasse, piuttosto, da una polmonite da pneumococco esordita clinicamente nell'***** ed estranea all’agire delle parti convenute 5. Con il quinto motivo – violazione dell’art. 2699-2702 c.c. e delle norme relative alla compilazione della cartella clinica di cui al D.P.C.M. 27 giugno 1986, per violazione dei principi e delle regole in materia di validità ed efficacia della prova documentale nonché di quelle concernenti i requisiti formali e sostanziali della cartella clinica in relazione all’avvenuta assunzione della cartella della Fisiochinesiterapia della ***** a fondamento della conclusione posta a base della sentenza impugnata – i ricorrenti evidenziano presunte contraddizioni dell’elaborato peritale in ordine alle manovre di tipo fisioterapico, e la mancanza di requisiti formali della CTU che avrebbero dovuto indurre il giudice a discostarsi dalle risultanze della stessa.
Il motivo consiste in una contestazione della validità ed efficacia della cartella clinica che ad avviso dei ricorrenti sarebbe un documento privo dell’efficacia di atto pubblico perché mancante di alcuni requisiti formali, mentre del tutto illegittimamente allo stesso sarebbe stata attribuita rilevanza di prova piena.
5.1 Il motivo è infondato. Premesso che le cartelle redatte nelle case di cura private non hanno natura di prova privilegiata i ricorrenti avrebbero dovuto contrastare il contenuto della cartella con istanze istruttorie e produzioni documentali in sede di merito, cosa che non è avvenuta e che destituisce di ogni fondamento il motivo.
6. Con il sesto motivo – violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 art. 118 disp. Att. c.p.c., comma 1. Nullità della sentenza in ordine all’apprezzamento della prova testimoniale di D.C.G., coniuge di O.E. – contestano la ritenuta scarsa attendibilità di una prova testimoniale acquisita in giudizio.
6.1 Ilo motivo è inammissibile. E’ noto che la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorché motivato, del giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge (Cass., 1, n. 21603 del 20/9/2013). Con particolare riguardo alle prove testimoniali questa Corte ha ribadito il limite dell’apprezzamento di puro merito riservato al giudice: “In tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, con la conseguenza che e’
insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice” (Cass., L, n. 13054 del 10/6/2014, Cass., 2, n. 21187 dell’8/8/2019).
7. Con il settimo motivo – violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in riferimento all’art. 36 Cost., artt. 1223 e 1226 c.c. nullità della sentenza per non aver liquidato il risarcimento del danno di natura patrimoniale subito dall’attore per il mancato espletamento della sua attività professionale di avvocato.
7.1 Il motivo risulta assorbito dal rigetto della domanda risarcitoria di carattere patrimoniale dell’attore.
8. Ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 e in riferimento all’art. 112 c.p.c. nullità della sentenza per non aver pronunciato su tutte le causali della domanda risarcitoria, ossia su tutte le ragioni poste a base della Violazione dell’art. 112 c.p.c. omessa pronuncia su tutte le ragioni poste a base della pretesa giudizialmente fatta valere in dipendenza dalla principale causa petendi.
8.1 Il motivo è inammissibile anche perché consiste in una reinterpretazione delle domande che, ancorché declinate sotto vari profili, consistono essenzialmente in un unico argomento, ovvero il presunto inadempimento del dr F. e della casa di cura in occasione dell’intervento chirurgico eseguito sul paziente O..
9. Violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. violazione delle regole e principi in tema di ripartizione delle spese in caso di soccombenza reciproca.
9.1 Il motivo non merita alcun accoglimento in quanto la Corte d’Appello ha correttamente motivato in ordine alla compensazione delle spese, ricorrendo una ipotesi di soccombenza reciproca.
10. Conclusivamente il ricorso va rigettato ed i ricorrenti condannati a pagare le spese del giudizio di cassazione liquidate come in dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, del cd. raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare, in favore di ***** e Op Insurance Ltd, la somma di Euro 1.300 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%, ed in favore di F. e di Aviva Spa la somma di Euro 1.200 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%.
Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 16 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021
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