Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.21122 del 22/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29583-2018 proposto da:

M.C., M.G. e A.E., rappresentati e difesi dall’AVV. PIERO CERRONI, elettivamente domiciliati in Roma in Viale Buozzi 68, presso lo Studio di quest’ultimo;

– ricorrenti –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, già FONDIARIA – SAI S.P.A, in persona del procuratore ad negotia C.A.R., rappresentata e difesa dall’AVV. LUCIA MARINI, con domicilio eletto in Roma presso lo Studio di quest’ultima, via di Santa Costanza, 27;

– controricorrente –

nonché contro S.U.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3245/2018 della Corte d’Appello di Roma, pubblicata il 29/05/2018, notificata in data 6 luglio 2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 23/02/2021 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

RILEVATO

che:

Premesso in fatto che M.C., all’età di *****, subiva gravi lesioni personali, in conseguenza di un investimento di cui era rimasta vittima, in data *****, allorché era intenta ad attraversare la strada, in zona adiacente il centro abitato di *****, i suoi genitori, A.E. e M.G., ritenendo responsabile dell’incidente S.U., il quale, alla guida della sua Fiat Bravo, avrebbe, procedendo ad elevata velocità, in orario notturno, lungo un tratto stradale privo di attraversamenti pedonali e con scarsa illuminazione, investito la figlia minore, lo citavano in giudizio, insieme con la Società Aurora Assicurazioni (sua assicuratrice per la r.c.a.), dinanzi al Tribunale di Civitavecchia, Sezione Distaccata di Bracciano, chiedendone la condanna al risarcimento di tutti i danni: quelli riportati dalla figlia e quelli riportati in proprio.

L’adito tribunale, in accoglimento dell’istanza D.Lgs. n. 209 del 2005, ex art. 147 formulata dagli attori, con provvedimento del 18 giugno 2007, ordinava il pagamento in loro favore di Euro 80.000,00 a titolo di liquidazione anticipata del danno, considerando che “dagli elementi fin qui acquisiti, emergono gravi elementi di responsabilità a carico dello S….”.

A seguito della soppressione della Sezione Distaccata di Bracciano, la trattazione della controversia passava al Tribunale di Civitavecchia che, con la sentenza n. 90/2015, revocava l’ordinanza con cui era stata liquidata la provvisionale di Euro 80.000,00, rigettava il ricorso, condannava i ricorrenti a restituire ad Aurora Assicurazioni la provvisionale e provvedeva alla regolazione delle spese di lite e di CTU.

I soccombenti impugnavano la decisione dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, chiedendone la riforma, previo rinnovo della CTU cinematica e di quella medico-legale e psicologica, al fine di accertare e dichiarare la responsabilità di S.U. e condannarlo in solido con Aurora Assicurazioni, ora Unipolsai, al risarcimento di Euro 690.968,00 a favore di M.C., Euro 250.000,00 per M.G. ed Euro 250.000,00 per A.E..

Unipolsai, costituitasi in giudizio, incentrava la propria difesa sull’assunto che il proprio assicurato non avesse superato il limite di velocità e che l’evento fosse ascrivibile alla esclusiva responsabilità della ragazza.

La Corte d’Appello, con la sentenza n. 3245/2018, oggetto dell’odierno ricorso, rigettava il gravame, ritenendo che l’impugnazione si fondasse sull’assunto dell’erroneità della sentenza di primo grado in ordine al mancato superamento del limite di velocità di 90 km orari da parte di S.U.: errore che si intendeva dimostrare attraverso la produzione di un documento nuovo, comprovante il diverso limite di velocità di 50 km orari vigente all’epoca dei fatti sul tratto stradale teatro dell’incidente. Per la Corte territoriale, non essendo stata impugnata l’autonoma ratio decidendi, secondo cui l’urto sarebbe stato inevitabile anche ove il conducente avesse proceduto alla velocità di 45 chilometri all’ora, “come parimenti accertato dal consulente d’ufficio (p. 49 dell’elaborato), e ciò in ragione del carattere improvviso e rapido dell’attraversamento stradale posto in essere dalla ricorrente M.C., come tale imprevedibile”, in applicazione del principio secondo cui ove la sentenza assoggetta ad impugnazione sia fondata su due diverse rationes decidendi la impugnazione rivolta soltanto contro una di esse è inidonea ad impedire il passaggio in giudicato della decisione quanto alla ratio non impugnata, dichiarava inammissibile l’appello.

M.C. ed i suoi genitori, M.G. ed A.E., ricorrono per la cassazione di detta sentenza, formulando due motivi, che illustrano con memoria.

Resiste con controricorso UnipolSai S.p.A.

La trattazione del ricorso è regolata dall’art. 380-bis.1. c.p.c.

Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono, “ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c.- Art. 360 c.p.c. n. 3; violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 329 c.p.c.”, per non avere la Corte territoriale dato conto del ragionamento fatto per affermare che la sentenza di prime cure si basasse su due rationes decidendi, essendosi limitata a prendere atto che il Tribunale aveva, per un verso, accertato che il conducente dell’autovettura, mantenendo una velocità di 72 km/h, non aveva superato il limite di velocità di 90 km/h, e poi ritenuto non causalmente imputabile al medesimo l’investimento di M.C., la quale aveva attraversato la strada improvvisamente e rapidamente, attuando una condotta imprevedibile, così che l’incidente sarebbe stato inevitabile anche se il conducente avesse proceduto alla velocità di 45 km.

Oltre ad avere reso una motivazione apparente – quella appena descritta la Corte territoriale avrebbe erroneamente individuato due autonome rationes decidendi, perché, invece, il ragionamento del Tribunale sarebbe stato unico, non costituendo l’affermazione – del tutto ipotetica ed astratta e senza alcuna valenza decisionale circa il fatto che l’incidente si sarebbe verificato anche se il conducente avesse tenuto una velocità di 45 km/h – una ragione giustificativa autonoma in grado di sorreggere la statuizione sulla assenza di responsabilità di S.U.. Si sostiene che, se il giudice avesse voluto formulare una ratio decidendi ulteriore, avrebbe dovuto dire che, se anche fosse stato accertato che il limite di velocità era di 50 km/h, il conducente del veicolo che viaggiava in effetti a 72 km/h, quindi violando le norme del C.d.S., non sarebbe stato comunque responsabile in virtù della sola condotta osservata da M.C..

Del resto, soggiungono i ricorrenti, il comportamento colposo del pedone acquista rilievo solo nel caso in cui il conducente dell’auto assuma un comportamento rispettoso delle norme del Codice della strada e di quelle di comune prudenza e diligenza, di tal ché l’accertamento del comportamento del conducente dell’auto assume carattere pregiudiziale ed assorbente rispetto ad ogni ulteriore indagine sul comportamento tenuto dal pedone.

Il motivo merita accoglimento, nei limiti e nei seguenti termini.

Mette conto di rilevare che, se effettivamente la sentenza di primo grado si fosse basata sulla ricorrenza di due autonome rationes decidendi, come ha ritenuto la Corte d’Appello, si tratterebbe di un’ipotesi che non potrebbe essere verificata da questa Corte: infatti, ciò che della sentenza di prime cure viene riprodotto nel ricorso non è sufficiente a tale scopo. Non solo sarebbe stato necessario esaminare la sentenza di prime cure al di là di quanto riprodotto, che, di per sé non sarebbe sufficiente a sorreggere l’assunto dell’inesistenza dell’esistenza delle due autonome rationes, ma, inoltre, detta sentenza, in violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, non è stata localizzata dai ricorrenti in questo giudizio di legittimità, non essendosi indicata se e dove sarebbe stata esaminabile, in quanto prodotta.

In realtà, tuttavia, la pretesa ipotetica seconda ragione giustificativa autonoma ravvisata dalla corte territoriale, cioè quella secondo cui l’incidente si sarebbe verificato comunque, anche se il conducente dell’auto investitrice avesse proceduto alla velocità di 45 km/h, risulta – al contrario di quanto sostenuto, peraltro con motivazione del tutto stringata ed ermetica dalla sentenza impugnata – censurata in base al contenuto dell’atto di appello.

Sicché, il motivo è fondato sotto tale profilo.

Invero, con l’atto di appello gli appellanti hanno inteso sostenere: a) che il limite di velocità sul tratto di strada ove era avvenuto l’incidente era di 50 km orari, e non di 90 km orari come affermato dal Tribunale; b) che indipendentemente dal limite di velocità il conducente non aveva adeguato la condotta di guida allo stato dei luoghi; c) che, quindi, in applicazione dell’art. 2054 c.c., comma 1 S.U. era da ritenersi responsabile dell’incidente.

Più in particolare, gli appellanti – come emerge dall’atto di citazione in appello, di cui i ricorrenti hanno fatto ampia riproduzione in ottemperanza agli oneri di specificità imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 (cfr., di recente, ex plurimis, Cass. 23/12/2020, n. 29495) – avevano dedotto, ai fini che qui interessano: aa) che *****, nel tratto in cui era avvenuto l’incidente, assumeva i caratteri di una tipica strada urbana o semiurbana, ove non era consentito superare il limite di velocità di 50 km/h; bb) che, all’epoca dei fatti mancava l’illuminazione pubblica, e che ciò rappresentava un ulteriore elemento limitativo della velocità di percorrenza; cc) che dal prot. ***** della Polizia locale di ***** – che non era stato prodotto in precedenza per causa non imputabile, in quanto la documentazione comprovante il limite massimo di velocità nel tratto di strada interessato era stata acquisita con molta difficoltà, perché dal 2002 la competenza dell’Anas era passata alla Provincia – emergeva che il limite di velocità era proprio quello di 50 km orari, come provato dalla contestazione di violazioni del Codice della Strada proprio per violazione del limite di velocità; dd) che era da addebitare al conducente investitore la violazione dell’art. 141 C.d.S. per non avere adeguato la velocità alle caratteristiche dei luoghi, in considerazione dei notevoli accessi laterali, delle strettissime banchine laterali di manto erboso, dell’assenza di illuminazione e del divieto di soprasso che avrebbero dovuto imporgli di non superare la velocità di 40 km orari.

Stante il tenore dell’appello, è palese che la Corte d’Appello è incorsa, dunque, in errore quando ha ritenuto inammissibile l’appello, perché gli appellanti non avevano censurato entrambe le due ipotetiche rationes decidendi su cui si era basata la decisione del giudice di prime cure.

Infatti, quanto dedotto con l’appello era pienamente idoneo a criticare anche quella che la corte romana ha indicato come ratio decidendi non censurata.

Il motivo merita, dunque, accoglimento sotto tale profilo e la sentenza dev’essere cassata con rinvio.

Il giudice di rinvio considererà criticata con l’appello, giusta il suo ricordato contenuto, anche l’affermazione del primo giudice che “del pari l’urto sarebbe stato inevitabile anche ove il conducente avesse proceduto alla velocità di 45 chilometri all’ora, come partimenti accertato dal consulente d’ufficio (p. 49 dell’elaborato), e ciò in ragione del carattere improvviso e rapido dell’attraversamento stradale posto in essere dalla ricorrente M.C., come tale imprevedibile”.

Il giudice di rinvio, stante le regole giuridiche applicabili al caso di specie, dovrà sindacare quell’affermazione in base al contenuto dell’appello e facendo applicazione dell’art. 2054 c.c., comma 1, provvedendo a valutare se la condotta di guida tenuta fosse adeguata anche alle specifiche caratteristiche dei luoghi in relazione alla collocazione temporale del sinistro.

E’ appena il caso di rilevare che la sola constatazione che il sinistro si sarebbe verificato anche se la velocità fosse stata di 45 km/h non potrà essere considerata di per sé idonea ad escludere la responsabilità, sia perché la velocità era stata, a quel che si sostiene dai ricorrenti senza contestazione da parte della controparte pari a 72 km/h, sia comunque – cioè anche qualora tale assunto non fosse vero (ma non senza che in tal caso non debba rilevare il dato che i danni necessariamente sarebbero stati minori se provocati ad una velocità più bassa) – senza provvedere alla valutazione dell’adeguatezza di cui si è detto.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti rimproverano alla Corte d’Appello, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 329 c.p.c. anche in relazione agli artt. 342 e 156 c.p.c. ovvero Art. 360 c.p.c. n. 4: nullità della sentenza o del procedimento per avere la Corte d’Appello pronunciato l’inammissibilità dell’appello in assenza dei presupposti di fatto e di diritto.

L’ipotesi formulata è che erroneamente la Corte d’Appello abbia ritenuto passata in giudicato, per assenza di impugnativa, la parte della statuizione in cui era stato affermato che l’incidente si sarebbe verificato anche se la vettura fosse andata a 45 km/h, perché: a) ai sensi dell’art. 329 c.p.c. l’acquiescenza e quindi la volontà di non avvalersi dell’impugnazione deve emergere in modo non equivoco; b) la sentenza di primo grado era stata criticata quanto alle sue motivazioni, anche attraverso una diversa ricostruzione del fatto. In particolare, il giudice a quo non avrebbe tenuto conto che: a) era stata offerta una diversa ricostruzione dei fatti di causa, in ordine alle caratteristiche della strada, ai limiti di velocità, alla condotta del pedone, provando che il limite di velocità era di 50 km/h, che S.U., in quanto maresciallo della Guardia di Finanza residente in ***** era consapevole del limite di velocità e lo aveva confessato in sede di interrogatorio formale all’udienza del 10 febbraio 2009 dinanzi al Tribunale; b) attraverso la CTP erano state messe in risalto le contraddizioni della CTU, visto che l’impatto con l’auto era avvenuto quando l’attraversamento del pedone era in punto di essere concluso; c) M.C. era ferma a momento dell’impatto o per evitare l’auto che sopraggiungeva o per attendere il momento migliore per attraversare.

Il motivo è assorbito dall’accoglimento del primo.

2.In sintesi, il primo motivo merita accoglimento per quanto di ragione; il secondo è assorbito. La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto e la controversia rinviata alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso per quanto di ragione; dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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