LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – rel. Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –
Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 1442 del ruolo generale dell’anno 2015, proposto da:
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Vig dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
Contro
Promogroup s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore;
– intimata –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 3683/06/14, depositata in data 4 luglio 2014, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 27 aprile 2021 dal Relatore Cons. Putaturo Donati Viscido di Nocera Maria Giulia.
RILEVATO
che:
– con sentenza n. 3683/06/14, depositata in data 4 luglio 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di Promogroup s.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 104/05/13 della Commissione tributaria provinciale di Milano che aveva accolto il ricorso proposto dalla suddetta contribuente avverso l’avviso di accertamento n. T9D031D00433/2012 con il quale, su segnalazione delle Dogane di Varese, l’Agenzia delle entrate aveva recuperato nei confronti di quest’ultima, esercente attività di commercio di autoveicoli, l’Iva pari a Euro 90.163,00, oltre interessi e sanzioni, in relazione alla fattura di acquisto n. 197 del 30.11.2006 afferente a un’operazione di acquisto autovetture ritenuta inesistente, essendo stata successivamente stornata con una nota di accredito registrata nel 2008;
– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) l’avviso di accertamento in questione era stato notificato oltre i termini decadenziali D.P.R. n. 633 del 1972 ex art. 57, comma 1, non potendo trovare applicazione il raddoppio dei termini, essendosi l’Ufficio limitato ad affermare nella motivazione dell’atto impositivo che la violazione contestata costituiva reato ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 (“per il quale si dà notizia alla Procura della Repubblica competente”), senza indicare gli estremi né il contenuto della denuncia penale né tantomeno allegarla ad esso ovvero produrla in sede di gravame; 2) la verifica fiscale era perdurata oltre il termine di trenta giorni di cui allo Statuto del contribuente, art. 12, comma 5, senza che l’Ufficio avesse prodotto in giudizio il provvedimento motivato del dirigente di autorizzazione alla proroga dello stesso possibile “in casi di particolare complessità dell’attività istruttoria”;
– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi; rimane intimata Promogroup s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore;
– il ricorso è stato fissato in Camera di Consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5, per avere la CTR ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento in questione per superamento del termine di trenta giorni previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5, ancorché quest’ultimo non sia perentorio e il protrarsi, in difetto di proroga, della permanenza dei verificatori presso la sede ove viene esercitata l’attività del contribuente non comporta la nullità dell’atto impositivo;
– il motivo è fondato;
– In tema di verifiche tributarie, la violazione del termine di permanenza degli operatori dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente, previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5, non determina la sopravvenuta carenza del potere di accertamento ispettivo, né l’invalidità degli atti compiuti o l’inutilizzabilità delle prove raccolte, atteso che nessuna di tali sanzioni è stata prevista dal legislatore, la cui scelta risulta razionalmente giustificata dal mancato coinvolgimento di diritti del contribuente costituzionalmente tutelati (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2055 del 27/01/2017; in termini, Sez. 5, Sentenza n. 7584 del 15/04/2015, secondo cui “il protrarsi della presenza dei verificatori nella sede del contribuente oltre i termini previsti dallo statuto del contribuente (L. n. 212 del 2000) art. 12, comma 5, non preclude, in assenza di una specifica norma sanzionatoria, l’utilizzo degli elementi acquisiti oltre la scadenza dei predetti termini e per l’effetto non determina l’invalidità del conseguente avviso di accertamento”);
– nella specie, la CTR non si è attenuta al suddetto principio, per avere ritenuto che la permanenza dei verificatori presso la sede della contribuente oltre il termine di trenta giorni avesse comportato- in assenza di motivata autorizzazione dell’Ufficio- l’illegittimità dell’atto impositivo;
– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 223 del 2006, art. 37, conv. in L. n. 248 del 2006, in combinato con il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, per avere la CTR confermato l’annullamento dell’avviso di accertamento per decorso del termine di decadenza, stante la asserita inapplicabilità del c.d. raddoppio dei termini ex art. 57 cit. in assenza di indicazione nella motivazione dell’atto degli estremi e del contenuto della denuncia penale, neanche ad esso allegata, ancorché l’art. 57 cit. richieda soltanto la sussistenza di una fattispecie che comporti l’obbligo di denuncia penale (nella specie, dallo stesso atto impositivo si evinceva che “l’utilizzazione di fatture inesistenti integra il reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 2, per il quale si dà notizia alla Procura della Repubblica competente”), prescindendo dalla circostanza che quest’ultima sia stata o meno presentata all’autorità competente;
– il motivo è fondato;
– ai fini del raddoppio dei termini in questione, per come disposto dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 24, convertito nella L. n. 248 del 2006, che ha modificato il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 43, comma 3, e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 2 bis (nei testi applicabili ratione temporis), non è necessaria l’effettiva presentazione della denuncia (né tanto meno la produzione di questa in giudizio). Come, infatti, statuito dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 247/2011), l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicché “il raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale” ed “il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11171 del 2016; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17586 del 28/06/2019; Sez. 5 -, Ordinanza n. 13481 del 02/07/2020 nella quale si è precisato che il raddoppio dei termini previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte Cost., nella sentenza n. 247 del 2011, sicché, ove il contribuente denunci il superamento dei termini di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, deve contestare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, non potendo mettere in discussione la sussistenza del reato il cui accertamento è precluso al giudice tributario);
– nel caso in esame, il Giudice di appello, ritenendo documentati l’effettivo inoltro della denuncia penale e l’avvio dell’azione penale, circostanze queste non necessarie ai fini che qui ci occupano, ha omesso di compiere l’accertamento, nel concreto richiestogli, delle condizioni legittimanti l’eventuale raddoppio dei termini di decadenza dall’azione accertatrice (tanto più che, nella specie, dall’atto impositivo si evinceva che la violazione contestata costituiva reato ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 “per il quale si dà notizia alla Procura della Repubblica competente” v. pag. 3 della sentenza impugnata);
– in conclusione, il ricorso va accolto; con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
PQM
la Corte:
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 27 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021