Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.21139 del 22/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33734-2019 proposto da:

O.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 38, presso lo studio dell’avvocato MARCO LANZILAO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrenti –

nonché contro COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO PROTEZIONE INTERNAZIONALE CASERTA;

– intimati –

nonché contro MINISTERO DELL’INTERNO, *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 2604/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 15/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/03/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

RILEVATO

che:

1. O.A., cittadino della *****, chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. Il richiedente dedusse a fondamento dell’istanza di essere fuggito dal proprio paese poiché a seguito della morte del padre che apparteneva al culto degli ***** i rappresentanti religiosi lo obbligarono a prendere il suo posto nei riti religiosi. Al rifiuto del richiedente asilo i membri della setta cominciarono a disturbarlo venendogli in sogno e pertanto decise di lasciare il paese recandosi dapprima a Benin e poi in Italia.

La Commissione territoriale rigettò l’istanza.

2. Avverso tale provvedimento O.A. propose ricorso D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, ex art. 35 dinanzi il Tribunale di Napoli, che con ordinanza del 5 ottobre 2017 rigettò l’istanza ritenendo inattendibili i fatti narrati.

3. La Corte di Appello di Napoli, con sentenza n. 2604/2019 del 15 maggio 2019, ha respinto l’appello proposto da O.A..

La Corte d’Appello ha ritenuto:

a) infondata la domanda di protezione internazionale in mancanza di qualsiasi riscontro) obiettivo al timore di essere perseguitato per motivi religiosi da una autorità statale;

b) infondata la domanda di protezione sussidiaria, per l’assenza di un conflitto armato generalizzato nel paese d’origine;

c) infondata la domanda di protezione umanitaria non essendo rinvenibile alcuna condizione di vulnerabilità del richiedente asilo, anche alla luce della vicenda narrata.

4. La sentenza è stata impugnata per cassazione da O.A. con ricorso fondato su quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno si costituisce per resistere al ricorso senza spiegare alcuna difesa.

CONSIDERATO

che:

5.1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta nullità della sentenza per omessa motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 La Corte d’Appello avrebbe ritenuto infondata la domanda di protezione umanitaria prescindendo dalla storia personale del ricorrente e dai pericoli a cui sarebbe esposto in caso di rimpatrio, puntualmente indicati nell’atto di appello. Il giudice, pertanto, non avrebbe fornito alcuna motivazione delle ragioni a fondamento del rigetto dell’appello proposto impedendo così al ricorrente di ricostruire l’iter logico giuridico che lo ha condotto alla decisione.

5.2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 “mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni socio-politiche del paese di origine: violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14; Mancata attualizzazione delle fonti informative. Omessa applicazione dell’art. 10 Cost.. Contraddittorietà delle fonti citate e del loro contenuto. Motivazione solo apparente”.

Si duole della assoluta contraddittorietà tra quanto riportato dalle fonti internazionali ufficiali circa le gravi condizioni di pericolo e di instabilità socio-politica della ***** e le conclusioni a cui è giunta la Corte d’Appello che ha ritenuto inesistenza di un rischio di rientro in patria.

5.2 Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 5 del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2,3,4,5,6, e 14 nonché D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 nonché difetto di motivazione e travisamento dei fatti. La Corte d’Appello avrebbe omesso di condurre alcuna indagine istruttoria in merito alle condizioni socio-economiche del paese d’origine del richiedente.

5.3 Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 nonché art. 19. “Omessa applicazione dell’art. 10 Cost.. Omesso esame delle condizioni personali per applicabilità della protezione umanitaria e della necessaria comparazione tra la condizione raggiunta in Italia e quella del paese di provenienza. Omesso esame delle fonti relativamente alle condizioni socioeconomiche del paese di provenienza”. La Corte d’Appello non avrebbe adeguatamente adempiuto al suo dovere di cooperazione istruttoria e avrebbe del tutto omesso di svolgere un giudizio di comparazione, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, tra il livello di integrazione del richiedente asilo nel territorio italiano e le condizioni in cui egli si troverebbe a vivere in caso di rientro nel paese d’origine. In particolare dalle fonti internazionali emergerebbe il preoccupante grado di povertà ed indigenza in cui vivono gli abitanti della ***** tale da determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale.

I motivi, da trattare congiuntamente per la loro connessione sono fondati.

Il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria e del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

La Corte d’Appello ha ritenuto assenti i presupposti di legge per tali forme di protezione con un giudizio ai limiti dell’apparenza.

In tema di cooperazione istruttoria, il giudice deve, in limine, prendere le mosse del suo accertamento e della conseguente decisione da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova – perché non reperibile o non esigibile – della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è sicuramente funzionale, in astratto, all’attivazione officiosa del dovere di cooperazione volta all’accertamento della situazione del Paese di origine del richiedente asilo, ma non appare conforme a diritto la semplicistica affermazione secondo cui le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di credibilità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedano, in nessun caso, alcun approfondimento istruttorio officioso (in tale ultimo senso, invece, Cass. Sez.6, 27/06/2018, n. 16925; Sez.6, 10/4/2015 n. 7333; Sez.6, 1/3/2013 n. 5224).

Come più volte affermato il presupposto normativo della fattispecie ex art. 14, lett. c) è quello della minaccia grave e individuale alla persona derivante da violenza indiscriminata scaturente da una situazione di conflitto armato interno o internazionale, minaccia che può, sia pur eccezionalmente, rilevare non in relazione alla situazione personale quando il livello di violazione dei diritti umani raggiunge un livello così elevato che il rischio risulta in re ipsa (C.G. 30 gennaio 2014, in causa C-285/12, Diakite’, punto 10.3). Ne deriva, sul piano strettamente logico, prima ancor che cronologico, che l’accertamento di tale situazione deve precedere, e non seguire, qualsiasi valutazione sulla credibilità del ricorrente. In tema di protezione umanitaria, alla luce dell’insegnamento di cui a Cass. S.U. n. 29459 del 2019, i presupposti necessari ad ottenerne il riconoscimento devono valutarsi autonomamente rispetto a quelli previsti per le due protezioni maggiori (Cass. 1104/2020), non essendo le due valutazioni in alcun modo sovrapponibili, di tal che i fatti funzionali ad una positiva valutazione della condizione di vulnerabilità ben potrebbero essere gli stessi già allegati per le protezioni maggiori (contra, Cass. 21123/2019; Cass. 7622/2020).”

Il giudizio in ordine ai presupposti richiesti per il riconoscimento della protezione umanitaria va condotto alla luce di valutazioni soggettive ed individuali, condotte caso per caso – onde impedire che il giudice di merito si risolva a declinare valutazioni di tipo “seriale”, improntate ai più disparati quanto opinabili criteri, altrettanto seriali, a mò di precipitato di una chimica incompatibile con valori tutelati dalla Carta costituzionale e dal diritto dell’Unione).”

Il giudizio di bilanciamento funzionale al riconoscimento della protezione umanitaria, come cristallinamente scolpito dalle sezioni unite della Corte di legittimità, che ne sottolineano il rilievo centrale, ha testualmente ad oggetto la valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, sub specie della mancata tutela, in loco, del nucleo essenziale dei diritti fondamentali della persona.

In tema di protezione umanitaria, quanto più risulti accertata in giudizio una situazione di particolare o eccezionale vulnerabilità, tanto più è consentito al giudice di valutare con minor rigore il secundum comparationis, costituito dalla situazione oggettiva del Paese di rimpatrio, onde la conseguente attenuazione dei criteri rappresentati “dalla privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo inelitninabile e costitutivo della dignità personale” (principio affermato, con riferimento ad una peculiare fattispecie di eccezionale vulnerabilità, da Cass. 1104/2020).

Ebbene la Corte d’Appello non si è attenuta a nessuno dei predetti principi. Infatti per quanto riguarda la protezione sussidiaria lett. c l’analisi della situazione del paese deve essere fatta sulla base di Coi aggiornate (ovvero le più recenti rispetto all’udienza) mentre la Corte territoriale ha fatto riferimento a Coi del 2017 (considerato che le conclusioni sono state precisate all’udienza collegiale del 3 aprile 2019). Per quanto riguarda poi la protezione umanitaria non è stata effettuata la comparazione tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, sub specie della mancata tutela, in loco, del nucleo essenziale dei diritti fondamentali della persona.

6. Pertanto la Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia anche per le spese di questo giudizio alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.

PQM

la Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia anche per le spese di questo giudizio alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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