Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.21142 del 22/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35144-2019 proposto da:

M.K., domiciliato ex lege in Roma, presso la cancelleria della Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA BASSAN;

– ricorrenti –

nonché contro PROCURA GENERALE PRESSO CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

nonché contro MINISTERO DELL’INTERNO, *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 1973/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 14/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/03/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

RILEVATO

che:

1. M.K., cittadino del *****, chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

2. Il richiedente dedusse a fondamento delle proprie ragioni di aver lasciato il paese d’origine per il timore di essere arrestato perché accusato ingiustamente dell’omicidio di una guardia giurata. Infatti, ha riferito che mentre svolgeva il lavoro di taglialegna a seguito di una lite con altri taglialegna accidentalmente venne uccisa una guardia forestale che era intervenuta per sedare la lite. Decise, quindi, di fuggire dal proprio paese e giunse in Italia nel 2016.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento Ma.Ja. propose ricorso dinanzi il Tribunale di Venezia, che con ordinanza del 28 novembre 2017 rigettò il reclamo.

3. Tale decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Venezia con sentenza n. 1973/2019 pubblicata il 14 maggio 2019. La Corte ha ritenuto:

a) non credibile la vicenda narrata dal richiedente;

b) infondata la domanda per il riconoscimento della protezione sussidiaria, perché nella regione di provenienza non era in atto un conflitto armato;

c) infondata la domanda per il riconoscimento della protezione umanitaria, poiché l’istante non aveva né allegato, né provato, alcuna circostanza di fatto, diversa da quelle poste a fondamento delle domande di protezione “maggiore” (e ritenute inveritiere), di per se dimostrativa d’una situazione di vulnerabilità.

4. La sentenza è stata impugnata per cassazione da M.K. con ricorso fondato su tre motivi.

Il Ministero dell’Interno si costituisce senza presentare alcuna difesa.

CONSIDERATO

che:

5. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 3 – violazione e falsa applicazione di legge del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3”, in quanto la Corte d’Appello non avrebbe adeguatamente considerato lo sforzo compiuto dal richiedente per circostanziare e provare la sua storia.

Il motivo è infondato.

Funzione del procedimento giurisdizionale di protezione internazionale deve ritenersi quella – del tutto autonoma rispetto alla precedente procedura amministrativa, della quale esso non costituisce in alcun modo prosecuzione impugnatoria – di accertare, secondo criteri legislativamente predeterminati, la sussistenza o meno del diritto al riconoscimento di una delle tre forme di asilo, onde il compito del giudice chiamato alla tutela di diritti fondamentali della persona appare funzionale – anche al di là ed a prescindere da quanto accaduto dinanzi alla Commissione territoriale – alla complessiva raccolta, accurata e qualitativa, delle predette informazioni, nel corso della quale dissonanze e incongruenze, di per se non decisive ai fini del giudizio finale, andranno opportunamente valutate in una dimensione di senso e di significato complessivamente inteso, secondo un criterio di unitarietà e non di reiterato frazionamento, come confermato dal disposto del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, lett. e), a mente del quale, nella valutazione di credibilità, si deve verificare anche se il richiedente “e’, in generale, attendibile”.

Si ritiene pertanto che i giudici di merito abbiano correttamente valutato la credibilità del richiedente sulla base di un giudizio complessivo e non frazionato e per tale ragione non è censurabile.

5.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – per omessa motivazione sulla fattispecie di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. b) e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 27, comma 1 bis, per mancato riconoscimento della protezione sussidiaria”. I giudici di merito non avrebbero per nulla valutato il rischio per il ricorrente di subire trattamenti inumani o degradanti nelle carceri ***** nel caso di rimpatrio, data l’assenza di qualsivoglia ricerca in merito al reato di cui il richiedente sarebbe accusato nella legislazione *****na.

Il motivo è infondato.

Il dovere di cooperazione istruttoria impone ai giudici di merito di attivarsi per la ricerca di informazioni aggiornate e ufficiali riguardanti la condizione socioeconomica presente nel paese di origine del richiedente, al fine di accertare l’eventuale presenza di conflitti generalizzati o di perpetue violazioni dei diritti fondamentali. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte d’appello ha adempiuto a tale onere, richiamando diverse fonti ufficiali (Coi del 2018 cfr. pag 7 sentenza impugnata) dalle quali trapela una maggiore attenzione per il rispetto dei diritti umani da parte della legislazione locale e di un rafforzamento del sistema giudiziario.

5.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la “violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3 e D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 (in relazione al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 3), ovvero in relazione al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 2, comma 1, lett. h-bis (protezione speciale o in casi speciali D.L. n. 113 del 2018 e successive modifiche, in caso di entrata in vigore della legge di conversione del. D.L. n. cit.) per mancata valutazione della situazione del Paese di origine del richiedente ai fini del riconoscimento della sussistenza dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari”. In particolare, la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente considerato la giovane età del richiedente (19enne al momento dell’intervista alla Commissione), aspetto di vulnerabilità valutabile per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Il motivo è fondato.

Diversa è la prospettiva del giudice in tema di protezione umanitaria, per il riconoscimento della quale devono ritenersi necessari e sufficienti (anche al di là ed a prescindere dal giudizio di credibilità del racconto la valutazione comparativa tra il livello di integrazione raggiunto in Italia e la situazione del Paese di origine, qualora risulti ivi accertata la violazione del nucleo incomprimibile dei diritti della persona che ne vulnerino la dignità accertamento da compiersi (anche) alla luce del dettato costituzionale di cui all’art. 10, comma 3, ove si discorre di impedimento allo straniero dell’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.

La valutazione dell’esistenza degli indicati presupposti, giusta l’insegnamento di questa Corte (Cass. 4455/2018 e Cass. S.U. 29460/2019), risulta, nella specie, del tutto omessa (collocandosi ben al di sotto del livello del minimo costituzionale, in parte qua, la motivazione della sentenza impugnata dove afferma a pag. 10 che per valutare la vulnerabilità della persona non si può prescindere dalla credibilità dello straniero. Pertanto la Corte ha ritenuto che nel caso di specie la narrazione del ricorrente non è credibile e non può quindi essere posta a fondamento della domanda di permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria postula una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto – l’obbligo per il giudice del merito, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, di cooperare nell’accertamento della situazione reale del Paese di provenienza sotto il profilo della garanzia dei diritti fondamentali della persona, mediante l’esercizio di poteri/doveri officiosi d’indagine – essendo quel giudice investito di singole vicende aventi ad oggetto proprio i diritti fondamentali della persona, e non di cause cd. “seriali” – affinché ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente; e al fine di ritenere adempiuto tale obbligo officioso, l’organo giurisdizionale è altresì tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. n. 11312 del 2019), con la ulteriore precisazione, che va ripetuta, per la quale l’acquisizione di tali informazioni ha un oggetto funzionalmente diverso, a seconda che essa riguardi la situazione del Paese in relazione ai presupposti della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. c), ovvero quella relativa all’esistenza di vulnera lesivi dei diritti umani e tali da renderne impossibile ovvero oltremodo difficoltoso l’esercizio nel loro nucleo essenziale e incomprimibile -costituendo, di conseguenza, un patente errore di diritto l’acquisizione e l’utilizzazione delle prime al fine di formulare il predetto giudizio di comparazione.

In tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione. (cfr. Cass. 13079/2019).

A tal fine il giudice di merito deve osservare il seguente percorso argomentativo:

-non può trascurare la necessità di collegare la norma che la prevede ai diritti fondamentali che l’alimentano.

-le relative basi normative sono “a compasso largo”: l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, col sostegno dell’art. 8 della Cedu, promuove l’evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria “a clausola generale di sistema”, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione.

-deve essere, pertanto, ribadito l’orientamento di questa Corte (inaugurato da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, e seguito, tra le altre, da Cass. 19 aprile 2019, n. 11110 e da Cass. n. 12082/19, cit., nonché dalla prevalente giurisprudenza di merito) che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa, ex art. 8 CEDU, tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale.

La Corte d’appello non ha applicato nel caso di specie i principi elaborati da questa giurisprudenza compiendo una valutazione fondata sulla non credibilità del richiedente asilo.

6. Pertanto la Corte rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia anche per le spese di questo giudizio alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione.

P.Q.M.

la Corte rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia anche per le spese di questo giudizio alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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