Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.21193 del 23/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo A. – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16430/2017 proposto da:

L.M., elettivamente domiciliato in Roma, al viale Carso n. 23, presso lo studio dell’avvocato Arturo Salerni, rappresentato e difeso dagli avvocati Angela De Mario, e Dante Leonardi, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO di L.M., in persona del curatore p.t., elettivamente domiciliato in Roma, al Lungotevere della Vittoria n. 5, presso lo studio dell’avvocato Giovanni Arieta, rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe Trisorio Liuzzi, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

BANCA di CREDITO COOPERATIVO degli ULIVI – TERRA di BARI, soc. coop., in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, alla via Caselli n. 39, presso lo studio dell’avvocato Caterina Gigante, rappresentata e difesa dall’avvocato Antonio Schiavoni, gusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 401/2017 della CORTE d’APPELLO di BARI, depositata il 12/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/01/2021 dal cons. Dott. LUCA SOLAINI.

RILEVATO

che:

1) La Corte di Appello di Bari, con sentenza del 12.4.2017, ha respinto il reclamo L.Fall., ex art. 18 proposto da L.M. avverso la sentenza dichiarativa del suo fallimento, pronunciata dal Tribunale di Bari, su istanza della Banca di Credito Cooperativo degli Ulivi – Terra di Bari, dopo aver dichiarato inammissibile la domanda di concordato “in bianco” da lui presentata, per l’omessa presentazione del piano e della proposta nel termine assegnatogli.

La corte territoriale, per quanto in questa sede ancora interessa, ha osservato che il reclamante non aveva contestato i presupposti di fatto in base ai quali il primo giudice aveva escluso la natura agricola dell’impresa da lui esercitata e lo aveva pertanto ritenuto fallibile, ma aveva solo prospettato una non condivisibile lettura dell’art. 2135 c.c. Ha aggiunto che, come già evidenziato dal tribunale, la stessa descrizione dell’oggetto dell’attività d’impresa, come risultante dalla visura camerale (“produzione di olio d’oliva da olive prevalentemente non di produzione propria”), la composizione dello stato patrimoniale (iscrizione di immobilizzazioni materiali per un importo di oltre due milioni e mezzo di Euro per fabbricati industriali, impianti, macchinari) e l’assenza di appostazioni di valore per terreni ad uso agricolo, deponevano in via univoca per lo svolgimento da parte di L. di una mera attività di trasformazione di un prodotto fornito da terzi, in assenza di collegamento funzionale con terreni propri.

Avverso la sentenza L. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrati da memoria, cui il Fallimento e la creditrice istante hanno resistito con separati controricorsi.

CONSIDERATO

che:

1) Con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, rilevando che, contrariamente a quanto affermato dalla corte territoriale, nei propri bilanci d’esercizio erano appostati, fra le attività, terreni agricoli “ad utilizzazione industria”, per un valore di Euro 4.131 e che ciò dimostrava la presenza dell’elemento fondiario.

2)Con il secondo motivo L. denuncia violazione della L.Fall., art. 1, con riferimento all’art. 2135 c.c. ed alla L. n. 3 del 2012, art. 7, comma 2 bis sostenendo che, ai sensi dell’art. 2135 cit., comma 2 è irrilevante che l’attività di trasformazione “connessa” al ciclo biologico abbia ad oggetto prodotti propri o acquistati da terzi o lavorati per conto terzi.

3) Il primo motivo è inammissibile, per la semplice ragione che quale che fosse l’originaria destinazione dei terreni di proprietà del ricorrente – il fatto che fossero indicati come fondi “ad utilizzazione industria” non solo non smentisce, ma conferma l’accertamento della corte territoriale, secondo cui lo stato patrimoniale non recava, fra le attività, appostazione di valore per terreni “ad uso agricolo”; va per altro verso rilevato che, quand’anche potesse ritenersi dimostrato in causa che i terreni in questione erano coltivati ad olive e sfruttati da L. per produrre olio, la censura non chiarisce se, ed in quali esatti termini, la circostanza sia stata allegata e dibattuta in sede di reclamo, né ne illustra la decisività a fronte dei molteplici, ulteriori rilievi sui quali la corte del merito ha fondato il proprio accertamento (descrizione dell’attività come “produzione di olio d’oliva da olive prevalentemente di produzione non propria”; qualità dei creditori, costituiti in prevalenza da banche; composizione dello stato patrimoniale, con iscrizione di immobilizzazioni materiali per oltre due milioni e mezzo di Euro per “fabbricati industriali, impianti, macchinari”).

4) Il secondo motivo è infondato.

Secondo l’orientamento di questa Corte, “L’esenzione dell’imprenditore agricolo dal fallimento viene meno ove non sussista, di fatto, il collegamento funzionale della sua attività con la terra, intesa come fattore produttivo, o quando le attività connesse di cui all’art. 2135 c.c., comma 3, assumano rilievo decisamente prevalente, sproporzionato rispetto a quelle di coltivazione, allevamento e silvicoltura, gravando su chi invochi l’esenzione, sotto il profilo della connessione tra la svolta attività di trasformazione e commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli e quella tipica di coltivazione ex art. 2135 c.c., comma 1, il corrispondente onere probatorio” (Cass. n. 16614/2016; conf. Cass. ord. n. 42/2021, nonché, in motivazione, Cass. n. 5342/2019).

Va dunque escluso che il mero esercizio di un’attività di trasformazione e/o commercializzazione di un prodotto agricolo sia sufficiente ad esonerare l’imprenditore dal fallimento ai sensi della L.Fall., art. 1, comma 1, dovendo, a tal fine, essere invece fornita la prova che detta attività sia funzionale allo sfruttamento di terreni propri e non risulti prevalente rispetto a quella di coltivazione.

Le spese di lite in favore di ciascuna parte controricorrente seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese di lite che liquida, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti, in Euro 7.000,00 per compensi e Euro 200,00 per spese, oltre al 15% per spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2021

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