LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 8579-2017 r.g. proposto da:
***** s.r.l., con socio unico (cod. fisc. *****), rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’avvocato Paolo Felice Censoni, con cui elettivamente domicilia in Roma, via Cassia n. 240, presso lo studio dell’avvocato Arianna Censoni;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO ***** s.r.l., INTESA SANPAOLO s.p.a., CONAI Consorzio Nazionale Imballaggi;
– intimati –
avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona, depositata in data 7.3.2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/2/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.
RILEVATO
CHE:
1. La Corte di Appello di Ancona ha rigettato il reclamo L.Fall., ex art. 18 presentato da ***** s.r.l. avverso la sentenza dichiarativa del suo fallimento, avverso la sentenza dichiarativa del suo fallimento, emessa dal Tribunale di Urbino, ad istanza di Intesa Sanpaolo e CONAI, in data 30.9.2016.
La corte del merito ha rilevato che il dedotto conferimento della propria azienda ad una società terza non privava la reclamante, mai cancellatasi dal R.I., della qualità di imprenditore commerciale assoggettabile a fallimento.
2. La sentenza, pubblicata il 7.3.2017, è stata impugnata da ***** con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo di censura.
Il Fallimento di ***** s.r.l. con socio unico e i creditori istanti non hanno svolto difese.
CONSIDERATO
CHE:
1 .Con l’unico motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione della L.Fall., art. 1, in relazione all’art. 2248 c.c., e contestuale vizio di falsa applicazione della L.Fall., art. 10. Evidenzia che – come già dedotto in sede di reclamo – alla data della dichiarazione di fallimento essa aveva perduto la qualità di imprenditore commerciale, pur essendo ancora iscritta nel registro delle imprese, posto che la sua sola attività – sopravvissuta al conferimento dell’azienda in altra società, nonché alla liquidazione di ogni altro suo bene e alla chiusura di tutti i rapporti – era quella di mera gestione, e dunque di mero godimento, della propria quota minoritaria di partecipazione al capitale della conferitaria. Sostiene inoltre che, a fronte di tale circostanza, incontestata, la corte d’appello non avrebbe esaminato l’eccezione svolta in sede di reclamo, con riferimento all’art. 2448 c.c., volta per l’appunto a rimarcare che il mero godimento statico di una partecipazione non integra esercizio di attività imprenditoriale.
2. Il ricorso è infondato.
2.1. Costituiscono infatti principi consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che le società costituite nelle forme previste dal codice civile ed aventi ad oggetto un’attività commerciale sono assoggettabili a fallimento indipendentemente dal concreto esercizio di tale attività, in quanto esse acquistano la qualità di imprenditore commerciale dal momento della loro costituzione, e che, in difetto di cancellazione dal R.I., neppure rileva la sopravvenuta cessazione dell’attività medesima (fra molte, oltre a Cass. n. 9788/016 citata in sentenza, Cass. nn. 21991/2012, 28015/201323157/2018, 6968/2019; cfr. anche Cass. nn. 17377/2020, 5342/2019).
Ciò premesso, poiché non è contestato che l’odierna ricorrente, alla data di emissione della sentenza dichiarativa, fosse società unipersonale iscritta al Registro delle imprese (e perciò solo fallibile, nella ricorrenza dei presupposti di cui alla L.Fall., art. 1, comma 2 e art. 5), una questione di operatività nella specie dell’art. 2448 c.c. non poteva in alcun modo porsi: la predetta norma civilistica vale infatti unicamente a distinguere l’ipotesi in cui fra più condividenti sussista una mera comunione di godimento (non fallibile) da quella in cui i medesimi abbiano conferito i beni in comunione in una società di fatto (fallibile).
Ciò senza contare che la tesi perorata dalla ricorrente si fonda su un fatto (sopravvivenza nell’attivo patrimoniale di un unico bene, costituito dalla partecipazione in altra società) non accertato dalla corte d’appello, che si è limitata a dare atto dell’intervenuto conferimento d’azienda.
Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio, stante la mancata difesa degli intimati.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2021