LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 1228/2017 proposto da:
PRO&OUTSERVICE Società Cooperativa, già MANSERVICE Società
Cooperativa, nella persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Angelo Pandolfo, e Silvia Lucantoni, giusta delega in calce al ricorso per cassazione, ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, via Barberini, n. 47;
– ricorrente –
contro
B.F., rappresentata e difesa, in forza di procura alle liti rilasciata in calce al controricorso e ricorso incidentale, dall’Avv. Roberto Lamacchia, ed elettivamente domiciliata presso l’Avv. Pietro Adami, in Roma, Corso Italia, n. 97;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte di appello di Torino, Sezione Lavoro, n. 1117/2016, pubblicata il 30 giugno 2016, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/03/2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.
RILEVATO
CHE:
1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Torino, rigettando l’appello proposto dalla Società Cooperativa PRO&OUTSERVICE, ha confermato la sentenza del Tribunale di Torino n. 1398/2015 del 23 febbraio 2015, che aveva dichiarato la nullità del licenziamento di B.F. e della conseguente deliberazione di esclusione dalla società cooperativa e ordinato la reintegrazione nel posto di lavoro precedentemente occupato, con condanna alla corresponsione in favore della lavoratrice delle retribuzioni non percepite dal mese di giugno 2013, al mese di gennaio 2015 e con condanna della B. a corrispondere la somma di Euro 183,10 dalla stessa ricevuta quale trattamento di fine rapporto, la cui percezione risultava, a seguito della reintegrazione, priva di causa.
2. La Corte di appello, in via preliminare, ha respinto l’eccezione di improponibilità del gravame perché presentato nei termini di legge e non essendosi verificato alcun ne bis in idem, avendo la società cooperativa rinunciato agli atti e non all’appello; nel merito, ha ritenuto che la prova della conoscenza fin dal 3 maggio 2013 dei contenuti della delibera di esclusione non poteva ricavarsi dalla nota di impugnativa del licenziamento a firma del legale della B., che non era stata mai ricevuta dalla Cooperativa ed era, piuttosto, un refuso dell’avvocato dell’appellata che aveva lasciato nella lettera il contenuto di altra impugnazione di esclusione di socio lavoratore di cooperativa; che, in ogni caso, la conoscenza aliunde della delibera di esclusione non era idonea a fare decorrere il termine di 60 giorni per l’impugnazione della delibera; che il diverbio tra la B. e la collega C. consisteva in un episodio circoscritto, consistito in urla seguite da una colluttazione, di breve durata, che non era, alla luce della sua entità e tenuto conto che non era dimostrato essere stato provocato dalla B. e che non era stato contestato essere stato originato dalla C., di gravità e di rilevanza tale da minare il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore e che in ogni caso si era in presenza non di un licenziamento disciplinare, ma di una condotta punibile con una sanzione conservativa anche alla luce dell’art. 49 del CCNL Multiservizi; che non poteva essere ravvisato un licenziamento per giustificato motivo soggettivo, che si caratterizzava per gli stessi elementi posti a fondamento del licenziamento disciplinare, solo attenutati da circostanze specifiche del caso; che alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento conseguiva l’illegittimità della delibera di esclusione del socio e che, in ogni caso, sia che si considerava nulla la delibera di esclusione, nullità che travolgeva l’intimato licenziamento, sia che si considerava nullo il licenziamento da cui era scaturita l’esclusione, la conseguenza era sempre la reintegrazione nel posto di lavoro.
3. La PRO&OUTSERVICE Società Cooperativa, avverso la sentenza della Corte di appello di Torino, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
4. B.F. ha resistito con controricorso e ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi.
5. La PRO&OUTSERVICE Società Cooperativa ha deposito controricorso.
6. B.F. ha depositato memoria, al pari della controparte.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo la società ricorrente lamenta la violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 2533 c.c., avendo la Corte di appello affermato la necessità che la delibera di esclusione della B. dovesse essere allegata alla comunicazione di esclusione e licenziamento e che la delibera di esclusione fosse stata comunicata in data 3 maggio 2013, circostanza peraltro nemmeno contestata dalla controparte; la B. avrebbe dovuto impugnare la delibera di esclusione entro 60 giorni e, dunque, entro il 2 luglio 2013, mentre l’impugnazione era avvenuta con atto di citazione notificato il 17 luglio 2013; la non impugnazione della delibera di esclusione rendeva superfluo qualsiasi giudizio in ordine alla legittimità del licenziamento.
2. Con il secondo motivo la società ricorrente lamenta l’omessa valutazione circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e specificamente della lettera di impugnazione del licenziamento dalla quale emergeva la circostanza che la B. avesse perfettamente compreso la portata e gli effetti della delibera di esclusione; i giudici di secondo grado, erroneamente, avevano parlato di refuso del legale, avendo pure omesso di rilevare che, in due diversi paragrafi della stessa lettera, il legale di controparte espressamente aveva dato atto del ricevimento della comunicazione della delibera di esclusione e di avere impugnato la stessa; che nella comunicazione dell’esclusione del 30 aprile 2013, senza alcuna contraddizione, l’esclusione della socia era stata motivata in ragione dei fatti disciplinarmente rilevanti posti in essere dalla stessa.
2.1 I motivi, che vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione, appaiono fondati.
2.2 La Corte territoriale, nello specifico, ha ritenuto che la prova della conoscenza fin dal 3 maggio 2013 dei contenuti della delibera di esclusione non poteva ricavarsi dalla nota di impugnativa del licenziamento a firma del legale della B., che non era stata mai ricevuta dalla Cooperativa ed era, piuttosto, un refuso dell’avvocato dell’appellata che aveva lasciato nella lettera il contenuto di altra impugnazione di esclusione di sodo lavoratore di cooperativa; che, in ogni caso, la conoscenza aliunde della delibera di esclusione non era idonea a fare decorrere il termine di 60 giorni per l’impugnazione della delibera.
2.3 Ciò posto, la Corte di merito ha omesso di considerare che la nota di impugnativa del licenziamento a firma del legale della B., indipendentemente dalla ricezione o meno da parte della società cooperativa di tale nota, conteneva una espressa conferma della ricezione della lettera del 30 aprile 2013 da parte della lavoratrice, lettera che, peraltro, come emerge dalla sentenza impugnata, alla pagina 2E, era stata allegata sia nel fascicolo di primo grado (documento n. 8), sia nell’atto di citazione di primo grado (documento 6) ed era stata, inoltre, oggetto specifico della domanda introduttiva del giudizio di primo grado promosso dalla lavoratrice, che, con atto di citazione notificato il 15 luglio 2013, aveva convenuto in giudizio la società cooperativa “per sentire dichiarare inefficace, nulla e/o illegittima l’esclusione da socia della Manservice Coop., comunicata alla concludente con lettera in data 30/4/2013 pervenuta in data 3/5/2013…” (pag. 7 del ricorso per cassazione).
Si legge, infatti, nella citata nota di impugnativa, riportata a pag. 9 della sentenza impugnata, che: “la sig.ra B. ha già provveduto, mio tramite, all’impugnazione della delibera di esclusione da socia della Vs Cooperativa con atto a parte che qui, ovviamente, si intende integralmente richiamato”.
Viene, quindi, in rilievo l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, poiché dal contenuto della lettera del 30 aprile 2013, trascritta integralmente a pag. 28 e 29 del ricorso per cassazione, e prodotta in atti, fin dal giudizio di primo grado, emergevano chiaramente le ragioni della esclusione, così da consentire alla B. di esercitare sin dal momento della ricezione il suo diritto di difesa.
2.4 La Corte territoriale ha, pure, errato, nell’affermare che la conoscenza aliunde della delibera di esclusione non era idonea a fare decorrere il termine di 60 giorni per l’impugnazione della delibera stessa.
2.5 In proposito, questa Corte ha più volte statuito che nelle società cooperative la comunicazione della deliberazione di esclusione del socio prevista dall’art. 2527 c.c. (ora art. 2533 c.c.), ai fini del decorso del termine di trenta giorni per proporre opposizione, non richiede l’adozione di specifiche formalità o di particolari mezzi di trasmissione, né la rigorosa enunciazione degli addebiti, dovendosi considerare sufficiente qualsiasi fatto o atto idoneo a rendere edotto il socio delle ragioni e del contenuto del provvedimento per porlo, conseguendosi in tal modo la finalità prevista dalla legge, nelle condizioni di articolare le proprie difese (Cass., 27 agosto 1999, n. 8984;; Cass., 18 luglio 2018, n. 19090).
E’ stato, così, precisato che la comune raccomandata sia un mezzo di comunicazione idoneo a portare a conoscenza del socio la delibera della sua esclusione, mentre si è ritenuto mezzo inidoneo, in luogo della comune raccomandata, la produzione della delibera in un giudizio pendente tra il socio e la cooperativa, avente un oggetto diverso dalla impugnazione della delibera stessa (Cass., 17 luglio 1999, n. 7592). Nella giurisprudenza di questa Corte si e’, altresì, statuito che l’eventuale incompletezza della comunicazione non incide sulla validità e sull’operatività del provvedimento, ma può spiegare rilievo solo al diverso fine di consentire un’opposizione tardiva o non specifica (Cass., 15 febbraio 1993, n. 1448; Cass., 19 ottobre 1989, n. 4207) e che la mancata specificazione diviene irrilevante quando l’escluso dimostri di essere pienamente consapevole delle concrete situazioni addebitategli, avendo fondato su di esse la propria difesa in sede di opposizione (Cass., 26 aprile 1999, n. 4126; Cass., 21 novembre 1997, n. 11637; Cass., 17 settembre 1993, n. 9577).
Questa Corte espressamente ha, quindi, affermato il principio che va ribadito in questa sede secondo cui – “Nelle società cooperative, la comunicazione al socio della deliberazione di esclusione, ai sensi dell’art. 2527 c.c., non richiede la trasmissione in forma autentica ed integrale del provvedimento, né l’adozione di particolari formalità, ma è sufficiente che risulti idonea a rendere edotto il socio delle ragioni dell’adottata sanzione, in guisa da consentirgli di articolare le proprie difese con l’opposizione. L’eventuale incompletezza della comunicazione non incide, peraltro, sulla validità e sull’operatività del provvedimento, ma può spiegare rilievo solo al diverso fine di consentire un’opposizione tardiva o non specifica” (Cass., 5 febbraio 1993, n. 1448; Cass., 21 novembre 1997, n. 11637; Cass., 18 giugno 2004, n. 11402).
2.6 Si e’, inoltre, precisato come sul requisito di specificità delle ragioni di esclusione dalla compagine sociale, nel rapporto di lavoro del socio di cooperativa, possano valere i principi giurisprudenziali dettati in materia di licenziamento disciplinare, con riferimento ai quali si è statuito che la previa contestazione dell’addebito, ha lo scopo di consentire al lavoratore l’immediata difesa e deve, conseguentemente, rivestire il carattere della specificità, che è integrato quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c. (Cass.,18 luglio 2018, n. 19090, citata).
Sempre in riferimento alla contestazione, questa Corte ha sostenuto come, in tema di sanzioni disciplinari, l’esigenza di specificità della contestazione non obbedisce ai rigidi canoni che presiedono alla formulazione dell’accusa nel processo penale, né si ispira ad uno schema precostituito e ad una regola assoluta ed astratta, ma si modella in relazione ai principi di correttezza che informano un rapporto interpersonale che già esiste tra le parti, ed è funzionalmente e teologicamente finalizzata alla esclusiva soddisfazione dell’interesse dell’incolpato ad esercitare pienamente il diritto di difesa, sicché ne consegue che la preesistenza del rapporto tra le parti e la sola incidenza di quell’interesse possono circoscrivere le necessità descrittive dell’atto di incolpazione, contribuendo i suddetti elementi a definire la portata del requisito della specificità (Cass., 18 giugno 2002, n. 8853; Cass., 30 dicembre 2009, n. 27842).
2.7 A conclusioni diverse non può condurre l’esame del precedente invocato dalla stessa Corte, in particolare, della sentenza n. 14143 del 6 agosto 2012, richiamata alle pagine 10 e 11 della sentenza impugnata, perché relativa ad una fattispecie in cui era del tutto mancata la comunicazione della delibera di esclusione ed è stata correttamente statuita l’irrilevanza, nella situazione suddetta, della mera conoscenza che di fatto il socio avesse avuto della delibera stessa prima della sua comunicazione, riconducendo l’irrilevanza della conoscenza aliunde, ancora una volta, alla eventuale incompletezza della comunicazione al socio della delibera di esclusione in ordine alle ragioni ritenute giustificative dell’esclusione.
3. Il terzo motivo, con il quale la società ricorrente lamenta la violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 47 e 48 CCNL Multiservizi, perché la Corte avrebbe dovuto accertare se il comportamento posto in essere dalla B. costituisse o meno giustificato motivo soggettivo di licenziamento, deve ritenersi assorbito.
4. In ragione dell’accoglimento dei primi due motivi di ricorso, deve essere esaminato il ricorso incidentale condizionato depositato da B.F..
5. Con il primo motivo la B. deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio, assumendo che la Corte di appello non aveva esaminato l’eccezione di decadenza sollevata nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, atteso che la notifica dell’atto di citazione in opposizione eseguita oltre il termine di sessanta giorni potesse essere ritenuta sanata in considerazione del comportamento addebitabile alla controparte e preso atto della diligenza del comportamento della socia lavoratrice.
Si duole la ricorrente incidentale di essersi attivata a tempo debito con la consegna all’Ufficiale giudiziario in data 21 giugno 2013 dell’atto di citazione da notificare alla sede della società che risultava dalla visura camerale essere in ***** e che la notifica non era andata a buon fine perché la società non aveva indicato o aveva tolto dal citofono dello stabile il proprio nominativo/ragione sociale, in maniera da rendere impossibile la notifica; che la relata di notifica dell’Ufficiale giudiziario era corretta avendo dato atto dell’inesistenza del nominativo della società convenuta al civico *****; né si poteva seriamente pretendere che si dovesse notificare al legale rappresentante della società presso il domicilio dello stesso entro il termine del 2 luglio 2013, essendo avvenuto l’accesso in data 25 giugno 2013 e l’atto era stato reso disponibile alcuni giorni dopo, anche tenuto conto della domenica e del sabato prefestivo.
5.1 Il motivo è inammissibile, perché si tratta di una questione formulata per la prima volta in questa sede.
5.2 Per giurisprudenza pacifica di questa Corte, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio (Cass., 9 luglio 2013, n. 17041; Cass., 9 agosto 2018, n. 20694; Cass., 13 giugno 2018, n. 15430; Cass., 13 agosto 2018, n. 20712).
Va precisato che si ha questione nuova, come tale preclusa nel giudizio di cassazione, ogni volta che la parte ricorrente ponga, a base della sua censura, la violazione di una norma di diritto non invocata davanti ai giudici di merito e si richiami, per sostenerne l’applicabilità, ad elementi di fatto non dedotti nelle precedenti fasi del giudizio (Cass. 30 marzo 2007, n. 7981; Cass., 27 novembre 1999, n. 13256; Cass., 13 febbraio 1996, n. 1084).
Inoltre, nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass. 25 ottobre 2017, n. 25319) In quest’ottica, il ricorrente ha l’onere di riportare, a pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta al giudice di merito, essendo preclusa alle parti la prospettazione di nuovi questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito (Cass., 12 settembre 2007, n. 19164; Cass., 9 luglio 2013, n. 17041, citata).
5.3 Ed invero, nella decisione impugnata la questione prospettata con la dedotta censura non risulta in alcun modo esaminata, ragion per cui deve ritenersi che essa sia stata proposta per la prima volta in questa sede.
6. Con il secondo motivo la ricorrente incidentale deduce la violazione ed erronea interpretazione di norme processuali (art. 348 c.p.c.) e la violazione del principio del ne bis in idem, alla luce della rinuncia della società cooperativa al primo appello notificata dalla controparte e della notifica del secondo atto di appello in pendenza di altra impugnazione iscritta a ruolo e ancora a tutti gli effetti pendenti.
6.1 Il motivo è infondato.
6.2 Questa Corte, in proposito, ha affermato il principio, che va ribadito in questa sede, che la regola dettata dall’art. 348 c.p.c., comma 1, secondo cui la mancata costituzione dell’appellante nel termine di cui all’art. 165 c.p.c., determina automaticamente l’improcedibilità dell’appello, non esclude che la parte costituitasi tardivamente possa proporre una seconda impugnazione, purché tempestiva, sempre che non sia già intervenuta una declaratoria di improcedibilità od inammissibilità, essendo invece incongrua una nuova notifica della originaria impugnazione.
Si tratta di un principio che riconosce alla parte, costituitasi tardivamente o che abbia comunque proposto un’impugnazione affetta da una causa di inammissibilità, la possibilità di proporre una seconda impugnazione, purché la stessa sia tempestiva e purché non sia già intervenuta una declaratoria di improcedibilità o di inammissibilità della prima (Cass. civ. 17 ottobre 2013, n. 23585; Cass. civ. 18 luglio 2011, n. 15721).
6.3 La Corte di appello ha applicato il principio sopra richiamato, con la conseguenza che la statuizione di rigetto della richiesta proposta dalla B. di dichiarazione di improcedibilità dell’appello va esente da censura.
7. Per quanto esposto, vanno accolti il primo e il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il terzo; va rigettato il ricorso incidentale; la sentenza va cassata, con rinvio alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, che dovrà provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il terzo; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2021
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