LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 27073-2015 proposto da:
V.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPINO BOSSO, CARLO BOSSO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO LAVORO POLITICHE SOCIALI DIREZIONE TERRITORIALE DEL LAVORO DI TORINO;
– intimato –
avverso la sentenza n. 454/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 03/08/2015 R.G.N. 989/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/02/2021 dal Consigliere Dott. ENRICA D’ANTONIO.
CONSIDERATO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di rigetto della domanda V.A. volta ad accertare che rientrava nella categoria dei salvaguardati ai sensi della del D.I. 22 aprile 2013, comma 1, lett. C) con i benefici di cui al D.L. n. 201 del 2011, art. 24, comma 14, 15.
La Corte ha rilevato che il V. aveva risolto il rapporto di lavoro con Poste Italiane il 5/7/2011 con effetto dal 31/12/2011; che aveva stipulato un nuovo contratto con la Data Network Consulting in data 6/2/2012, sottoposto a prova di 30 giorni, e che il rapporto era cessato il 29/3/2012 per mancato superamento della prova.
Ha osservato che il rapporto di lavoro risolto per mancato superamento della prova non poteva essere equiparato al contratto a tempo determinato, come preteso dal ricorrente, e che il decreto interministeriale 22/4/2013 inseriva tra gli esodati i lavoratori che, dopo aver risolto un rapporto di lavoro in forza di accordi individuali o collettivi entro il 31/12/2011, non avessero intrapreso un’attività lavorativa dipendente a tempo indeterminato e che, pertanto, il ricorrente non poteva rientrare tra coloro che erano previsti nel citato decreto interministeriale.
2. Avverso la sentenza ricorre il V. con un motivo ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c.. Il Ministero del lavoro è rimasto intimato.
RITENUTO IN DIRITTO
3. Il ricorrente denuncia violazione del D.I. 22 aprile 2013, art. 2, comma 1, lett. c) dell’art. 2096 c.c., comma 1 e dell’art. 12 preleggi. Ribadisce la sussistenza del requisito di cui all’art. 1, comma 231, lett. C D.M. citato.
Osserva che la dichiarazione di recesso del datore di lavoro per esito negativo della prova non era riconducibile al licenziamento, ma era avvicinabile alla risoluzione del rapporto per scadenza del termine; che tutte le norme a garanzia del rapporto di lavoro si applicavano soltanto dopo la scadenza del termine per la prova; che la giurisprudenza della Corte aveva considerato distintamente le due fattispecie del recesso dal rapporto in prova e del licenziamento avendo precisato che la specialità del rapporto si proiettava sulla facoltà di recesso alla scadenza del periodo di prova e tale diversità strutturale giustificava anche la diversità di disciplina della forma dell’atto che poneva termine al rapporto. Deduce, pertanto, che tali caratteristiche del contratto sottoposto a prova lo rendevano riconducibile, nel primo periodo, ad un rapporto a tempo determinato.
4.Il ricorso è infondato.
5. L’unica questione che viene posta dal ricorrente attiene alla sussistenza del requisito di cui al citato art. 1, comma 231, lett. C e cioè di non aver intrapreso, dopo la cessazione del rapporto di lavoro con Poste, un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
6. Secondo il ricorrente, pur essendo vero che egli era stato assunto dalla Data Network Consulting con contratto a tempo indeterminato, era anche vero che tale assunzione era stata sottoposta a periodo di prova e che al termine della prova il datore di lavoro aveva esercitato il recesso, sicché il rapporto di lavoro non aveva mai acquisito il requisito della definitività e quindi della indeterminatezza della sua durata, rientrando così nella previsione, sia della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 231 sia del D.M. 22 aprile 2012, art. 1, comma 2, lett. c).
7. Secondo il ricorrente, infatti, la giurisprudenza consolidata aveva sottolineato che il recesso del datore di lavoro all’esito della prova non era soggetto alla disciplina limitativa del licenziamento individuale, agli obblighi del preavviso o della forma scritta e della sua giustificatezza e che, comunque, l’assunzione diveniva definitiva scaduto il termine di durata della prova.
In sostanza il V. pone a fondamento della sua richiesta la precarietà del rapporto di lavoro soggetto a prova che desume dalle caratteristiche sopra indicate, precarietà che consentirebbe di includerlo tra i soggetti salvaguardati.
8. Gli argomenti svolti dal ricorrente non risultano fondati.
Egli ha chiesto la sua inclusione all’interno della categoria dei cosiddetti salvaguardati ai sensi del D.I. 22 aprile 2013 il quale inserisce tra gli esodati salvaguardati i lavoratori che dopo aver risolto un rapporto di lavoro in base ad accordi individuali o collettivi entro il 31/12/2011 non abbiano intrapreso un’attività lavorativa riconducibile a lavoro dipendente a tempo indeterminato.
Il tenore letterale non ammette diverse interpretazioni: il beneficio non riguarda coloro che abbiano concluso un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Ne’ argomenti a favore della tesi del V. possono desumersi dalle caratteristiche del contratto soggetto a prova, caratteristiche che non determinano il mutamento della natura giuridica del contratto di lavoro concluso tra le parti che è di lavoro subordinato a tempo indeterminato e, dunque, non è un contratto precario, come pretenderebbe di affermare il ricorrente.
Deve rilevarsi, del resto, che anche il rapporto di lavoro normale, non soggetto a prova, potrebbe essere ritenuto precario potendo cessare a seguito di licenziamento. Ne’ potrebbe limitarsi la categoria degli esodati salvaguardati solo a quei lavoratori che godono della stabilità reale, come sembra ipotizzare il ricorrente, tesi che, tuttavia, non trova alcun riscontro nel dettato normativo. 9.In conclusione la sentenza impugnata non è censurabile là ove ha affermato che il rapporto di lavoro, posto in essere con la soc Data Network Consulting, produceva i suoi effetti dalla data del perfezionamento consentendo, soltanto, per la presenza della clausola della prova, di recedere senza preavviso o altro indennizzo. La Corte ha, pertanto, correttamente escluso che il ricorrente potesse rientrare nella categoria degli esodati salvaguardati.
10. Il ricorso deve essere rigettato. Non deve provvedersi sulle spese di causa non avendo il Ministero svolto attività difensiva.
Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
rigetta il ricorso, nulla per spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2021