LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 37511-2019 proposto da:
A.I., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA PARAVANI, rappresentato e difeso dall’avvocato VALENTINA NANULA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1445/2019 emessa dalla CORTE L’APPELLO DI BRESCIA depositata in data 07/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/03/2021 dal Consigliere Dott. Marco DELL’UTRI.
RILEVATO
Che:
A.I., cittadino del Pakistan, ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politica, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);
a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese per il timore di violenze e ritorsioni motivate da ragioni di carattere religioso, essendosi l’istante reso responsabile dell’uccisione di un cavallo di proprietà di taluni sciiti;
la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;
avverso tale provvedimento A.I. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Brescia, che ne ha disposto il rigetto con ordinanza del 3/4/2017;
tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Brescia con sentenza in data 7/10/2019;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) dell’insussistenza di alcuna ragione di persecuzione di carattere religioso, avuto riguardo al carattere meramente privato e patrimoniale della vicenda narrata dallo stesso ricorrente; 2) della mancanza, nei territori di provenienza del ricorrente, di condizioni tali da integrare, di per sé, gli estremi di una situazione generalizzata di conflitto armato; 3) dell’insussistenza dei presupposti idonei a giustificare il riconoscimento della c.d. protezione umanitaria;
il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da A.I. con ricorso fondato su due motivi d’impugnazione;
il Ministero dell’Interno non ha svolto difese in questa sede.
CONSIDERATO
Che:
con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, per avere la corte territoriale assolto in maniera erronea ai propri doveri di cooperazione istruttoria, con particolare riguardo alla ricostruzione dell’effettiva idoneità delle istituzioni del proprio paese di origine a tutelare le ragioni dei propri cittadini;
osserva preliminarmente il Collegio come l’odierna censura debba ritenersi contenuta entro i limiti del riconoscimento della sola protezione sussidiaria in relazione all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) (sia pure sotto il profilo del rischio di un danno grave alla persona derivante da minacce di carattere privato, il cui controllo sfugga, o non sia comunque esercitato dalle istituzioni pubbliche del proprio paese), non avendo il ricorrente svolto alcuna considerazione critica in relazione al mancato riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria in relazione alle restanti ipotesi;
nei limiti di tale prospettiva, il motivo è fondato;
osserva al riguardo il Collegio come il giudice a quo abbia disatteso l’istanza di protezione sussidiaria avanzata dal ricorrente sul presupposto della concreta insussistenza, nel caso in esame, di un effettivo rischio di danno alla persona connesso al relativo rientro in patria, atteso che lo stesso si è limitato a prospettare il ricorso di un preteso pericolo concreto per la propria incolumità in considerazione delle minacce ricevuto da taluni soggetti per ragioni di carattere meramente privato e patrimoniale, senza evidenziare l’avvenuta preliminare prospettazione della situazione di idoneità o di volontà delle autorità statuali del proprio paese a tutelare le ragioni dei propri cittadini con carattere di efficacia e di imparzialità;
sul punto, varrà sottolineare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, il diritto alla protezione sussidiaria non può essere escluso dalla circostanza che a provocare il danno grave per il cittadino straniero siano soggetti privati, qualora nel Paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela, con il conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali (Sez. 1 -, Ordinanza n. 26823 del 21/10/2019, Rv. 655628 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16356 del 03/07/2017, Rv. 644807 – 01);
nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver sottolineato la credibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente (e dunque l’effettiva sussistenza dei rischi connessi alle minacce ricevute), si è inammissibilmente limitato ad affermare, in termini apodittici, l’impossibilità di riconoscere la protezione sussidiaria invocata odierno istante, non essendosi quest’ultimo rivolto alle autorità di polizia del proprio paese (con la conseguente implicita impossibilità di stabilire l’eventuale incapacità delle istituzioni statali a proteggerlo dalle gravi minacce ricevute), così trascurando di esercitare i propri poteri di istruzione ufficiosa (nel quadro dei doveri di cooperazione istruttoria imposti dalla legge) attraverso l’approfondimento di tali ultimi rilievi al fine di individuare, in termini positivo e concreti, le specifiche fonti informative suscettibili di comprovare l’effettiva idoneità delle istituzioni pakistane a cautelare l’incolumità dei propri cittadini in relazione a situazioni di vulnerabilità di origine ‘privatà così determinate;
con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, per avere la corte territoriale erroneamente escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto dell’istante a un permesso di soggiorno per motivi umanitari, tenuto conto della mancata considerazione delle specifiche ragioni di vulnerabilità connesse alle patologie psichiatriche sofferte dall’istante, nonché dell’effettiva situazione interna del proprio paese di origine;
il motivo è fondato;
al riguardo, osserva il Collegio come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria (secondo la disciplina ratione temporis applicabile al caso di specie: v. Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 01), l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02; Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01);
nella ricordata decisione delle Sezioni Unite, si è dunque sottolineata, con riguardo al tema del riconoscimento della c.d. protezione umanitaria, la piena condivisibilità dell’approccio che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva che verrebbe a determinarsi nel paese di origine a seguito del rimpatrio, al fine di verificare se tale rientro non valga a determinare una non tollerabile privazione dell’esercizio dei diritti umani del richiedente, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale;
in particolare, il giudice di merito, nel procedere alla ridetta comparazione, mentre non potrà riconoscere al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base dell’isolata e astratta considerazione del suo livello di integrazione in Italia, sarà tenuto a coniugare, quella considerazione, con l’esame del modo in cui l’eventuale rimpatrio (e dunque il contesto di generale compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza) verrebbe a incidere sulla vicenda esistenziale dell’interessato, avuto riguardo alla sua storia di vita e al grado di sviluppo della sua personalità; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale compromissione possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, sanitaria; culturale, etc.;
in questi termini, la considerazione delle condizioni del paese di provenienza (comunque da indagarsi e accertarsi, dal giudice di merito, in termini obiettivi) varrà – non già a tradursi in una valutazione meramente generale e astratta della relativa situazione nazionale bensì a declinarsi e sintetizzarsi in un giudizio personalizzato mediante la ponderazione, di quelle generali condizioni del paese di origine, con l’incidenza che le stesse finirebbero per assumere sulla storia di vita (sulla biografia) del richiedente, alla luce del principio che impone in ogni caso la salvaguardia della dignità della persona;
in tal senso, il giudizio fermato sull’entità della degradazione che l’interessato sarebbe destinato a subire a seguito del rimpatrio chiede d’essere calibrato in rapporto alle modalità concrete e irripetibili della vicenda esistenziale di quella specifica persona, sì che l’esame del modo della compromissione del c.d. nucleo ineliminabile della dignità personale (e dunque il senso della sua specifica vulnerabilità) consisterà propriamente nella verifica del grado di aggressione (qualitativa) della dignità di quella singolare ed unica esperienza individuale, sì da non potersi astrattamente escludere che, con riguardo a uno stesso paese, l’esame diretto al riconoscimento della protezione umanitaria possa anche condurre ad esiti diversi in rapporto a storie di vita differenti e non commensurabili; e ciò, non già in forza di un’inammissibile (e inaccettabile) graduazione qualitativa della dignità umana, bensì in ragione dell’inevitabile conformazione di quest’ultima (anche) in correlazione ai differenti percorsi di vita che sostanziano in modo irripetibile il senso dell’identità individuale, da valutarsi anche in relazione alla situazione psico-fisica attuale del richiedente e al contesto culturale e sociale di riferimento (v., in tal senso, Sez. 1, Ordinanza n. 13088 del 15/05/2019, Rv. 653884 – 02; e Sez. 1, Ordinanza n. 1104 del 20/01/2020);
proprio in forza di tali premesse, dunque, acquista significato il senso (sul piano propriamente esistenziale) della comparazione tra le condizioni del paese di origine del richiedente e la relativa storia di vita, ivi compreso il grado di sviluppo e di integrazione della propria esperienza nel tessuto socio-economico del nostro paese;
nei casi in cui la ricostruzione della storia di vita del richiedente risulti ostacolata dalla ritenuta non credibilità delle relative dichiarazioni, o dall’irriducibile frammentarietà delle informazioni complessivamente acquisite, il giudice di merito dovrà in ogni caso procedere a verificare se le condizioni sociali, politiche o economiche, obiettivamente riscontrate nel paese di origine non appaiano tali da porsi in evidente contrasto con la misura del rimpatrio, avuto riguardo all’incidenza di dette condizioni con la conservazione, in capo al richiedente, del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità umana, al di là di ogni specifica caratterizzazione che valga a qualificarne l’identità;
ciò posto, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche ed economiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicché il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. 1, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01);
nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver evidenziato lo stato di ritardo mentale dell’istante, le ridotte prestazioni cognitive e le diminuite competenze sociali dello stesso, ha affermato apoditticamente che tale condizione ben può essere risolta nell’ambito del proprio contesto familiare presente in patria, essendovi in Italia un solo fratello privo di mezzi di autonoma sussistenza, trascurando totalmente di approfondire e circostanziare gli aspetti dell’indispensabile valutazione comparativa tra la situazione personale ed esistenziale attuale del richiedente sul territorio italiano, e la condizione cui lo stesso verrebbe lasciato in caso di rimpatrio, al fine di attestare (anche attraverso l’individuazione delle specifiche fonti informative suscettibili di asseverare le conclusioni assunte in relazione alle condizioni generali del paese di origine, indipendentemente da quanto attestato con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria) che il ritorno del richiedente nel proprio paese non valga piuttosto a esporlo al rischio di un abbandono a condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale rischio possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, culturale, etc.;
ciò posto, il discorso giustificativo in tal guisa elaborato dal giudice a quo deve ritenersi tale – al di là dell’assorbente rilievo riguardante la violazione delle norme che presiedono al riconoscimento della c.d. protezione umanitaria – da non integrare gli estremi di una motivazione adeguata sul piano del c.d. minimo costituzionale;
sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza le censure esaminate, in accoglimento del ricorso, dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 9 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2021