Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.21410 del 26/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16892-2020 proposto da:

M.S., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato Vincenzo Vitello;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato per legge in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– intimato –

avverso la sentenza cron. 1299/2020 depositata il 24/04/2020 della CORTE D’APPELLO DI CATANIA;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 15/07/2021 dal Consigliere Relatore Dott. SCALIA LAURA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. M.S., cittadino del Bangladesh, ricorre con due motivi per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata con cui la Corte d’Appello di Catania, nel rigettarne l’impugnazione, aveva confermato l’ordinanza del locale tribunale di rigetto dell’opposizione avverso il provvedimento della competente commissione territoriale di diniego della protezione internazionale e del riconoscimento del diritto alla protezione per ragioni umanitarie, nella ritenuta inattendibilità del racconto reso dal richiedente in fase amministrativa e nella insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione.

2. Il Ministero dell’interno si è costituito tardivamente al dichiarato fine di partecipare alla discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

3. Con il primo motivo il ricorrente fa valere la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

3.1. La Corte di merito non aveva applicato correttamente i criteri di valutazione delle dichiarazioni rese dal richiedente che aveva affermato di aver abbandonato il proprio Paese, dopo aver saputo di essere stato denunciato dai parenti dell’uomo da lui ucciso per vendetta dopo il suicidio della sorella che, con la vittima, aveva avuto una relazione sentimentale osteggiata dalla famiglia del ragazzo, temendo con il rientro in patria di venire imprigionato e di essere sottoposto a maltrattamenti da parte degli organi di polizia.

3.2. I giudici di appello non avevano adempiuto all’onere di cooperazione istruttoria e non avevano vagliato la sussistenza, in relazione alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), di una violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale in relazione alle condizioni del Paese di origine; dalle COI consultabili emergeva, infatti, lo stato di precarietà del Bangladesh.

Il motivo è inammissibile perché declinato in fatto e generico.

In materia di protezione internazionale, il giudizio sulla credibilità del racconto del richiedente, da effettuarsi in base ai parametri, meramente indicativi, forniti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, è sindacabile in sede di legittimità nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti – oltre che per motivazione assolutamente mancante, apparente o perplessa – spettando dunque al ricorrente allegare in modo non generico il “fatto storico” non valutato, il “dato” testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua “decisività” per la definizione della vertenza (Cass. n. 13578 del 02/07/2020; Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

Si tratta di prospettiva di critica assente nel proposto motivo con cui il ricorrente fa valere quella che è una mera alternativa lettura del fatto.

Nel resto il motivo è generico perché in via assertiva deduce una violazione di legge senza confrontarsi puntualmente con i contenuti della fattispecie definita dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), e quindi con la nozione di violenza generalizzata così come ritenuta dalla giurisprudenza di questa Corte (n. 18306 del 08/07/2019; Cass. n. 15317 del 17/07/2020; Cass. n. 5675 del 02/03/2021) là dove il ricorrente richiama, invece, a sostegno della richiesta di protezione sussidiaria una situazione di “instabilità” del Paese di origine.

Vero è infatti che la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in lettura conforme alla giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12) “deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria sicché il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass. n. 18306 cit.).

La contestazione portata alle fonti scrutinate a fondamento dell’impugnata decisione non si fa carico poi di confrontarsi compiutamente con la sentenza impugnata, nel dedurre, a tal fine, un travisamento di quelle utilizzate dai giudici di merito o un loro superamento in forza di fonti più aggiornate, in tal modo traducendosi la residua critica in una contestazione di mero merito (Cass. n. 4037 del 18/02/2020).

4. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

La Corte territoriale aveva motivato il rigetto della richiesta di protezione umanitaria in ragione della inattendibilità del racconto senza tener conto dell’integrazione raggiunta dal richiedente in Italia e dovuta all’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato da valutarsi in via comparativa con la situazione che il ricorrente avrebbe rinvenuto, in caso di suo rientro, nel Paese di origine, in cui egli non aveva un lavoro e dove le condizioni di lavoro non sono comparabili con quelle esistenti in Italia.

5. Il motivo è inammissibile mancando di autosufficienza non provvedendo il ricorrente ex art. 366 c.p.c., n. 4, ad allegare la tempestiva deduzione nel giudizio di merito delle indicate evidenze in fatto che restano, come tali, connotate dal carattere della novità.

6. Il ricorso e’, in via conclusiva, inammissibile.

Nulla sulle spese nella tardiva costituzione del Ministero che non ha articolato difese.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2021

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