Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.21415 del 27/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 6259/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

Grossfarma Distribuzione S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4/18/12 della Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, pronunciata il 3 novembre 2011, depositata il 12 gennaio 2012 e non notificata.

Letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale Francesco Salzano, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. Con l’avviso di accertamento n. *****, notificato il 28/12/2005, l’Agenzia delle Entrate, ufficio di Catania, facendo proprie le risultanze del p.v.c. redatto in data 6.5.2005 da funzionari della Direzione regionale della Sicilia, rettificava, nei confronti di Grossfarma Distribuzione S.p.A., relativamente all’anno 2003, il reddito dichiarato ai fini Irpeg da Euro 1.203.048,00 ad Euro 1.474.664,00, il valore della produzione dichiarato ai fini Irap da Euro 6.134.816,00 ad Euro 6.410.659,00, l’ammontare dell’Iva a credito da Euro 873.079 a Euro 872.706, chiedendo il pagamento delle maggiori imposte dovute per complessivi Euro 104.445,00, oltre sanzioni per ulteriori Euro 104.818,00.

In particolare, l’ufficio disconosceva la variazione in diminuzione del reddito d’impresa, “pari ad Euro 167.150,00, relativa alla differenza tra ammortamenti fiscali, pari ad Euro 392.633,52 ed ammortamenti civili, pari ad Euro 225.482,87”, operata dalla contribuente nella dichiarazione dei redditi relativa al 2003, poiché la maggiore quota dell’ammortamento fiscale rispetto a quello civile non era stata iscritta nella corrispondente voce del bilancio d’esercizio chiuso al 31.12.2003.

2. La società impugnava l’avviso dinanzi alla C.t.p. di Catania, deducendo, con particolare riferimento al recupero a tassazione in esame, che “ferma restando la validità del principio della “dipendenza rovesciata” (….) in base a cui non sono deducibili i componenti negativi di reddito se non imputati al conto economico di competenza, e’, per converso, consentita dalla medesima norma (art. 75, comma 4, T.u.i.r. all’epoca in vigore), la deducibilità fiscale di quei componenti negativi di reddito che, a prescindere dalla loro imputazione al conto economico, sono deducibili per disposizione di legge”.

La sentenza della C.t.p. di Catania, che annullava tale recupero a tassazione, veniva confermata dalla C.t.r. della Sicilia, sezione staccata di Catania, con la sentenza n. 4/18/12, depositata in data 12.1.2012 e non notificata”, che accoglieva in toto la tesi della contribuente.

L’Agenzia delle entrate ora ricorre per la cassazione della sentenza d’appello e la società contribuente è rimasta intimata.

Il Procuratore generale, Francesco Salzano, ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo, l’Agenzia ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 67 e 75 (T.u.i.r., nel testo applicabile ratione temporis), dell’art. 2426 c.c., comma 2, del R.D. 30 marzo 1942, n. 318, art. 223-octiesdecies inserito dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 9, comma 2, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Secondo la ricorrente, la C.t.r., nel recepire pedissequamente le difese della società contribuente, ha ritenuto che, ferma restando la validità del principio della “dipendenza rovesciata”, in base a cui non sono deducibili i componenti negativi di reddito se non imputati al conto economico di competenza, sarebbe, per converso, consentita dall’art. 75, comma 4, T.u.i.r., all’epoca in vigore, la deducibilità fiscale di quei componenti negativi di reddito che, a prescindere dalla loro imputazione al conto economico, “sono deducibili per disposizione di legge”.

Ne deriverebbe, secondo la commissione regionale, che gli ammortamenti ordinari, come quelli per cui è causa, anche per la quota non imputata nel conto dei profitti e delle perdite, ma che risulta deducibile per disposizione di legge (quale è l’art. 67 TUIR che disciplina l’ammontare massimo deducibile di tale componente negativo di reddito) devono essere ammessi in deduzione.

Ritiene, invece, la ricorrente che, sino al 31 dicembre 2003, le relazioni esistenti tra il bilancio civile ed il cosiddetto bilancio fiscale erano così articolate: 1) l’art. 52 T.u.i.r. prevedeva che il reddito imponibile di impresa era determinato apportando, all’utile o alla perdita civilistica risultanti dal conto economico, le variazioni in aumento e in diminuzione; 2) l’art. 75, comma 4, T.u.i.r. stabiliva la necessità dell’imputazione al conto economico dei costi e delle spese al fine della loro deducibilità fiscale a prescindere dalla valenza civilistica; 3) il superamento delle previsioni di cui all’art. 75 e, di conseguenza, la possibilità di dedurre costi e spese con valenza solo fiscale, fu attuato adattando la norma civilistica, in particolare dell’art. 2426 c.c., il comma 2 a quella fiscale, consentendo il cd. “inquinamento” del bilancio civile con poste con valenza esclusivamente fiscale, mentre l’art. 2427 c.c. (contenuto della nota integrativa) prescriveva l’indicazione dei motivi delle rettifiche di valore e degli accantonamenti eseguiti esclusivamente in applicazione di norme tributarie con analisi dei relativi importi; 4) veniva pertanto recepito il cosiddetto “principio della dipendenza rovesciata”, secondo cui il bilancio poteva essere redatto adottando criteri di valutazione e di determinazione delle rettifiche di valore e degli accantonamenti previsti dalle norme tributarie a condizione che tali voci venissero imputate a conto economico ed evidenziate nella nota integrativa.

Rileva la ricorrente che solo dall’1 gennaio 2004, con il D.Lgs. n. 344 del 2003, è stata prevista l’eliminazione delle interferenze prodotte nel bilancio dalla normativa fiscale sul reddito di impresa, essendo stato abrogato dell’art. 2426 c.c., il comma 2 ed introdotto l’art. 109, comma 4, lett. b), T.u.i.r., che consente la deducibilità di ammortamenti, accantonamenti e rettifiche, anche se non imputati a conto economico, purché indicati in apposito prospetto della dichiarazione dei redditi.

In altre parole, in base al nuovo art. 109 T.u.i.r., dal 2004 è possibile dedurre componenti negative di origine esclusivamente fiscale come variazioni extracontabili in dichiarazione dei redditi, mentre per i bilanci chiusi al 31/12/2003 rimarrebbe in vigore la normativa previgente, in virtù del chiaro disposto del R.D. 30 marzo 1942, n. 318, art. 223-octiesdecies (Disposizioni per l’attuazione del c.c. e disposizioni transitorie) inserito dal D.Lgs. n. 6 del 2003, art. 9, comma 2, lett. b) in base al quale “I bilanci relativi ad esercizi chiusi prima del 1 gennaio 2004 sono redatti secondo le leggi anteriormente vigenti”.

Pertanto, secondo la ricorrente, per i bilanci chiusi al 31/12/2003, come quello a cui si riferisce la presente controversia, gli ammortamenti delle immobilizzazioni materiali dovevano essere iscritti alla corrispondente voce, anche per la parte civilisticamente non corretta.

Ne consegue che, per l’ammortamento ordinario (quale è quello che viene in rilievo nella fattispecie concreta), la maggiore quota di ammortamento fiscale rispetto a quello civile non poteva essere dedotta mediante una variazione in diminuzione sul modello Unico, come operato dalla società, bensì esclusivamente iscrivendo la stessa in bilancio, ex art. 2426 c.c., comma 2, con adeguata informazione nella nota integrativa. Secondo la ricorrente non potrebbe, invece, farsi discendere, come ritenuto dai giudici di appello, la deducibilità dei maggiori ammortamenti fiscali, non imputati al conto economico, dalla deroga prevista al secondo periodo dell’art. 75, comma 4 vigente ratione temporis, che consente la deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi che, sebbene non imputabili al conto profitti e perdite, sono deducibili per disposizione di legge.

Sostiene la ricorrente che, poiché nel caso di specie l’imputazione a conto economico era “oggettivamene” possibile, la deducibilità degli ammortamenti era condizionata al “transito” dell’ammortamento nel conto economico.

La ricorrente, inoltre, contesta la tesi, cui aderiscono i giudici di appello, secondo cui la diversa locuzione utilizzata nell’art. 75 T.u.i.r., rispetto a quella contenuta nel previgente art. 74, comma 3 (“conto economico allegato alla dichiarazione”), consentirebbe la deducibilità dei componenti negativi di reddito, purché siano imputati nel conto economico di competenza, diverso da quello allegato alla dichiarazione.

Invero, l’affermazione, secondo cui sarebbe possibile l’imputazione delle componenti negative al conto economico di esercizi successivi rispetto a quello cui esse si riferiscono, è contraddetta dalla disposizione di cui al secondo periodo del comma 4 in argomento, nella parte in cui prevede che le spese e gli altri componenti negativi non imputati al conto economico sono deducibili, se imputati al conto stesso relativo ad un esercizio precedente, subordinatamente alla sussistenza della condizione che ha consentito il rinvio della deduzione medesima in conformità alle norme tributarie.

2. Il motivo è infondato e va rigettato.

Questa Corte è ormai ferma nel ritenere che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, in virtù del D.L. n. 90 del 1990, art. 2, comma 6-bis, (conv., con modif., dalla L. n. 165 del 1990), avente, come norma interpretativa, efficacia retroattiva, sia del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 74 che del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora art. 109, comma 5) devono intendersi nel senso che le spese e i componenti negativi sono deducibili anche se non risultino dal conto dei profitti e delle perdite, purché siano almeno desumibili dalle scritture contabili” (da ultimo, Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 23457 del 06/10/2017; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8322 del 27/04/2016).

Il D.L. n. 90 del 1990, art. 2, comma 6 bis, conv., con modif., dalla L. n. 165 del 1990, recita: “Ai fini dell’applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 74 e del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75 deve intendersi che le spese ed i componenti negativi sono imputati al conto dei profitti e delle perdite se e nella misura in cui siano stati annotati nelle scritture contabili ed abbiano concorso alla determinazione del risultato netto del conto dei profitti e delle perdite, indipendentemente dalla specifica evidenza in tale documento, fermo restando il disposto del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 3, comma 2, penultimo periodo, e art. 5, comma 2, ultimo periodo”.

Dunque, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, le spese ed i componenti negativi sono deducibili ai fini fiscali se e nella misura in cui siano stati annotati nelle scritture contabili ed abbiano concorso alla determinazione del risultato del conto dei profitti e delle perdite, indipendentemente dalla specifica evidenza in tale documento.

Pertanto, al fine della loro deducibilità, è necessario unicamente che i costi risultino dalle scritture contabili e che sia possibile correlarli ai ricavi (Sez. 1, Sentenza n. 3736 del 19/04/1996, Rv. 49717101; Sez. 5, Sentenza n. 8000 del 21/05/2003, Rv. 56339801; Sez. 5, Sentenza n. 8322 del 27/04 /2016, Rv. 639773 – 01).

Nel caso di specie, l’avvocatura non nega che gli ammortamenti dichiarati nel mod. UNICO risultino dalle scritture contabili e siano correlati ai ricavi, ma rileva solo che non sono iscritti nel conto dei profitti e delle perdite, il che non ne comporta l’indeducibilità, secondo la norma interpretativa di cui al D.L. n. 90 del 1990, art. 2, comma 6 bis convertito dalla L. n. 165 del 1990 citata.

Sul piano normativo, infatti, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 16 stabilisce il contenuto analitico del registro dei beni ammortizzabili, a cui le imprese devono fare riferimento per conoscere la base informativa da sostenere per legittimare la deducibilità delle quote d’ammortamento dei cespiti; inoltre il D.P.R. n. 695 del 1996, art. 2 stabilisce che le annotazioni previste per questo registro possano, in alternativa, essere riportate sul registro degli inventari, oppure, per i contribuenti in contabilità semplificata, sul registro IVA degli acquisti.

Infine, il D.P.R. n. 435 del 2001, art. 12, comma 1 stabilisce la facoltatività della tenuta del registro dei beni ammortizzabili a condizione che “le registrazioni siano effettuate nel libro giornale” (lettera a)” e che “su richiesta dell’Amministrazione finanziaria, siano forniti, in forma sistematica, gli stessi dati che sarebbe stato necessario annotare nei registri (lett. b)”.

In particolare sulla deducibilità delle quote di ammortamento, sulla base di tale ultima norma, di recente questa Corte ha affermato che, “in tema di determinazione del reddito di impresa, sussiste il diritto alla deducibilità delle quote di ammortamento da parte del contribuente che – ancorché non abbia effettuato le relative registrazioni né nel registro dei beni ammortizzabili (ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 16), né nel libro degli inventari (ai sensi del D.P.R. n. 695 del 1996, art. 2), né nel libro giornale (ai sensi del D.P.R. n. 435 del 2001, art. 12, comma 1, lett. a) – abbia tuttavia fornito, ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. b) cit, gli stessi dati che sarebbe stato necessario annotare nel registro dei beni ammortizzabili” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 7449 del 17/03/2021).

Pertanto, sulla base delle considerazioni fin qui svolte, il ricorso è infondato e va rigettato.

Nulla deve essere disposto in ordine alle spese, in quanto la società contribuente è rimasta intimata.

Rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio, n. 115, art. 13, comma 1-quater, (Cass. 29/01/2016, n. 1778).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021

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