LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –
Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al n. 25036/2014 proposto da:
Agenzia delle Entrate rappresentato e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato domiciliata in via dei Portoghesi n. 12 Roma;
– ricorrente –
contro
S.T.;
– intimata –
Avverso la decisione della Commissione tributaria regionale dei Lazio n. 1515/22/14 depositata il 1303.2014.
Udita la relazione del Consigliere Dott. Catello Pandolfi nella camera di consiglio del 26/01/2021.
RILEVATO
che:
Ricorre l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza della CTR Lazio del n. 1515/22/14 depositata il 13.3.2014.
La vicenda trae origine dall’accertamento mediante indagini bancari su due conti correnti della contribuente, S.T., titolare della ditta individuale ” T. Immobiliare”, esercente attività di agenzia immobiliare.
In esito alla verifica l’Ufficio aveva accertato, mediante verifica su due conti correnti intestati alla S., e in base alla presunzione D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32 un maggior reddito per gli anni dal 2004 a1 2008, indicato in altrettanti avvisi di accertamenti, uno per ciascuno degli anni indagati.
Gli atti impositivi venivano opposti e la CTP di Viterbo accoglieva parzialmente il ricorso della contribuente, decisione confermata dalla CTR che rigettava l’appello dell’Ufficio.
L’Amministrazione, con un unico motivo, lamenta la violazione del D.P.R. n. 300 del 1973, art. 32, comma 1, n. 7, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 3.
Non ha resistito la contribuente restando intimata.
CONSIDERATO
che:
La censura dell’Ufficio appare fondata. Ed infatti In tema di accertamenti bancari, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dai contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze. (Sez. 5 -, del 30/06/2020 n. 13112).
La CTR ha, invece, sostenuto che “i prelevamenti effettuati…essendo avvenuti su conti promiscui, utilizzati cioè sia per operazioni commerciali sia per fini personali non possono che essere attribuiti alla sfera privata (dal momento che l’utilizzo promiscuo…non rende applicabile…la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32”.
L’affermazione è erronea e contrasta con la costante giurisprudenza di questa Corte, per quanto riguarda in particolare i prelevamenti, secondo cui “In tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 fonda una presunzione relativa circa la natura di ricavi sia dei prelevamenti sia dei versamenti su conto corrente, superabile attraverso la prova…che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili; pertanto, in virtù della disposta inversione dell’onere della prova, grava sul contribuente l’onere di superare la suddetta presunzione…” (Sez. 5 -, n, 15161 del 16/07/2020).
Nessuna prova in tal senso risulta offerta dalla contribuente, tal che è erronea la surrichiamata affermazione del giudice regionale, secondo cui l’uso promiscuo, del o dei conti correnti intestati alla ditta, da parte del contribuente escluderebbe la presunzione in base al citato art. 32.
Il ricorso va pertanto accolto. La sentenza va cassata con rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, per il riesame e per la definizione sulle spese.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, per il riesame e per la definizione sulle spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021