LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23876-2019 proposto da:
K.I., rappresentato e difeso dall’avvocato SIMONA GIANNANGELI, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI, PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 1266/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 15/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/10/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE II sig. K.I. ha proposto ricorso, sulla scorta di due motivi, per la cassazione della sentenza della corte d’appello di L’Aquila che, nel rigettare il gravame, ha confermato tanto l’ordinanza emessa dal tribunale della stessa città quanto il provvedimento della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale, con i quali era stata respinta la domanda presentata dall’odierno ricorrente di riconoscimento dello status di rifugiato, in subordine di concessione della protezione sussidiaria, in ulteriore subordine di protezione umanitaria.
La corte d’appello, dopo aver svolto alcune considerazioni di carattere generale sui presupposti per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione internazionale invocate, esclude che nella vicenda narrata dall’appellante vi siano gli elementi per concedere alcuna misura di protezione. Il sig. K., proveniente dalla *****, afferma di essere cristiano e che suo padre, uomo d’affari benestante, una volta deceduto, aveva lasciato lui e la sua famiglia senza mezzi. Morta anche la madre, si trasferisce da ***** nel villaggio di *****, ospite di un amico. Mentre si trova lì, il villaggio viene attaccato dai Fulani, che uccidono molte persone, sicché il ricorrente, con l’amico, fugge e arriva prima in Libia e poi in Italia. La corte d’appello reputa, in primo luogo, il racconto del richiedente poco attendibile, confuso e privo di riscontri. Da un lato, la causa dichiarata dell’emigrazione è che la famiglia K., una volta morto il padre, non aveva mezzi di sostentamento; dall’altro, si inserisce nel racconto il riferimento al villaggio di *****, che sembra essere introdotto solo per dare una diversa giustificazione all’emigrazione del richiedente. Il sig. K. non è in grado di descrivere il villaggio, né di indicare il nome dell’amico, né di illustrare le ragioni che lo avrebbero indotto a lasciare *****, una grande città dove avrebbe facilmente potuto trovare lavoro e dunque reperire i mezzi di sostentamento, per trasferirsi in un piccolo villaggio, né, infine, di spiegare perché dopo l’attacco dei Fulani anziché fare ritorno nella suddetta città ha deciso di emigrare. Appare evidente alla corte, dunque, che la strage di ***** sia stata inserita nel racconto al solo fine di dare una spiegazione fittizia alla decisione di fuggire, il che basta per escludere sia il riconoscimento dello status di rifugiato, sia la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b). Quanto alla richiesta di protezione sussidiaria di cui alla lett. c), si osserva in generale che, in ordine a tale ipotesi, il requisito di individualità della minaccia grave alla vita o alla persona del richiedente può considerarsi recessivo ove sussista, nel Paese d’origine, una situazione generalizzata e conclamata di violenza indiscriminata e di conflitto armato, che raggiunga un livello talmente elevato da far ritener che la sola presenza di un civile sul territorio dello Stato possa esporlo al rischio effettivo di subire tale minaccia. Nel caso di specie, a detta della corte, non può ritenersi sussistente in ***** una tale situazione, poiché i fenomeni violenti sembrano anzi in fase di regresso soprattutto al Sud del Paese, dove si colloca l'*****, rimanendo per lo più circoscritti alle regioni del Nord-est. Infine, la corte d’appello esclude che possa essere riconosciuta al sig. K. la protezione umanitari poiché questi non versa in una situazione di particolare vulnerabilità, non rilevando a tal fine né la giovane età del richiedente né il generico riferimento alle condizioni di privazione delle libertà personali del suo Paese. Le condizioni economiche precarie non appaiono motivi idonei a concedere tale forma residuale di protezione, così come non è sufficiente lo svolgimento di un’attività lavorativa in Italia. Avverso tale sentenza, il sig. K.I. propone due motivi di ricorso, che sviluppa congiuntamente, lamentando, da un lato, la violazione di legge per mancata applicazione degli artt. 1 e 2 della Convenzione di Ginevra, per il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, per la mancata applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, e la violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6; dall’altro, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Nello sviluppo dei due motivi di ricorso, parte ricorrente contesta la statuizione della corte d’appello che nega il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e, infine, umanitaria senza esaminare la situazione socio-politica della *****. Si allegano alcuni stralci del rapporto di Amnesty International del 2017/2018 e di quello del 2015 sullo stato della *****, nonché alcuni frammenti tratti dai siti ***** dai quali risulta una situazione complessiva di conflitto armato esteso ormai, non più solo al Nord del Paese, ma anche al Sud, sicché anche l'*****, regione di provenienza del ricorrente, non può dirsi immune da violenze indiscriminate perpetrate da gruppi criminali (*****) e da sette di stampo mafioso massonico. La corte d’appello avrebbe dovuto esaminare tale situazione del Paese d’origine del richiedente, così come avrebbe dovuto considerare che affrontare un’avventura così drammatica come il viaggio migratorio attraverso la Libia e la traversata del Mediterraneo, con tutti i rischi che ne derivano, è indizio della necessità di lasciare una situazione insostenibile in Patria. I fatti decisivi omessi dalla corte d’appello sarebbero dunque il viaggio migratorio e la permanenza in Libia, Paese che non ha rarificato la Convenzione di Ginevra del 1951, che avrebbero certamente condotto la corte a riconoscere all’odierno ricorrente quantomeno la protezione umanitaria, la quale è stata esclusa sulla base dell’asserita inattendibilità del racconto e dell’esclusione della condizione di vulnerabilità.
Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio per resistere al ricorso.
La causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 7 ottobre 2020, per la quale non sono state depositate memorie.
Il sig. K.I. è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.
I due motivi di ricorso attingono la statuizione di rigetto della domanda di protezione sussidiaria e di protezione umanitaria, criticando l’affermazione del tribunale secondo cui ***** sarebbe una zona sicura.
I motivi sono fondati.
Questa Corte ha già chiarito (Cass. n. 13449/19) che “Il riferimento operato dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3 alle “fonti informative privilegiate” deve essere interpretato nel senso che è onere dei giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità di tale informatone rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto insufficiente il semplice richiamo, contenuto nel provvedimento impugnato, ai “più recenti report del Ministero degli Esteri”)”.
A tali principi l’impugnata sentenza non si è attenuta, limitandosi ad un riferimento generico alle “informazioni disponibili sui principali siti consultabili via internet (ad esempio, quello del ministero degli Esteri)” (così pag. 17, penultimo rigo, della sentenza).
Il ricorso va pertanto accolto e l’impugnata sentenza va cassata con rinvio alla corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021