Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.21467 del 27/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25465-2019 proposto da:

S.A., rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA MAESTRI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto di rigetto n. cronol. 3314/2019 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il 19/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/11/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Il sig. S.A. ha proposto ricorso, sulla scorta di un solo motivo, per la cassazione del provvedimento con il quale il tribunale di Bologna gli ha negato il riconoscimento della protezione umanitaria, condividendo le statuizioni della Commissione Territoriale di Bologna che aveva escluso la sussistenza dei presupposti per concedere qualunque forma di protezione internazionale.

Il tribunale reputa non credibile e generico il racconto del sig. S., avendo questi fornito nelle diverse sedi di audizione versioni contraddittorie dei fatti descritti. Nel racconto, reso davanti alla Commissione, le ragioni principali dell’espatrio dal *****, Paese di provenienza, erano le difficoltà economiche in cui versava la famiglia del ricorrente a seguito della chiusura del negozio del padre, conseguente all’esproprio governativo dell’area ove questo si trovava. Innanzi al giudice, invece, il richiedente protezione non ha fatto alcun cenno all’attività commerciale del padre e all’esproprio della proprietà familiare, riferendo piuttosto di aver svolto vari lavori in ***** senza essere retribuito e rappresentando generiche difficoltà di reperire un lavoro, nonché i danni cagionati dall’alluvione che avrebbe colpito l’area di sua provenienza e costretto la sua famiglia a vivere in una stanza in cui penetrava la pioggia. Anche in ordine al debito contratto per lasciare il *****, si legge nell’impugnato provvedimento, il richiedente è caduto in contraddizione, facendo riferimento prima ad un amico che gli aveva prestato del denaro e successivamente ad un usuraio che gli rivolgeva minacce.

Secondo il tribunale, in definitiva, il giudizio di non attendibilità del dichiarante non consentiva di concedere la protezione. Il tribunale esclude, inoltre, la sussistenza di una situazione di vulnerabilità personale del ricorrente, trovandosi questi sul territorio nazionale da circa due anni senza aver raggiunto un livello significativo di inserimento socio-lavorativo in Italia e considerando, ai fini del giudizio comparativo, che le ultime inondazioni avevano colpito la regione del ***** di provenienza del ricorrente oltre due anni prima, mancando dunque un concreto pericolo in caso di rientro in Patria. Con l’unico motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3 il sig. A.S. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2,10, comma 3 e 32 Cost., degli artt. 2,3 e 4CEDU, dell’art. 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 2, art. 5, comma 4 e art. 6, art. 19, comma 1 e art. 1, comma 1 e del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8.

Il Ministero dell’Interno non ha espletato attività difensive.

La causa è stata chiamata all’adunanza del 17 novembre, per la quale non sono state depositate memorie.

L’unico motivo di ricorso formulato dal sig. S. appare manifestamente inammissibile per la totale genericità della sua formulazione.

Il ricorrente deduce la violazione di principi generali relativi alla libertà di migrare, al diritto d’asilo e al divieto di respingimento verso uno Stato in cui lo straniero può subire persecuzioni; nel ricorso si fa generico riferimento alla violazione dei principi fissati dalla Costituzione, dalla Convenzione EDU e dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo in ordine al diritto d’asilo, alla libertà di migrare, al divieto di espulsione e respingimento verso uno Stato in cui lo straniero può subire persecuzioni, al divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti; non si indica, tuttavia, alcuna regola di diritto contrastante con tali principi che sia stata enunciata, o anche implicitamente applicata, nel provvedimento impugnato.

ricorso dunque, ancorché proposto per il vizio di violazione di legge, si risolve, in definitiva, in una richiesta di rivalutazione del materiale istruttorio acquisito alla causa e in una censura di merito sulle conseguenze decisorie che il tribunale ha tratto da tale materiale, notoriamente inammissibile nel giudizio di cassazione.

Generica è anche la doglianza con cui si denuncia un vizio di attività del giudice individuato nella mancata adozione di un rinvio dell’udienza volto a consentire la comparizione personale del ricorrente, giacché nel ricorso non si precisa se, e in quali termini, il S. avesse richiesto tale rinvio e giustificato la propria mancata comparizione all’udienza fissata.

Il ricorso è inammissibile.

Nulla per le spese, non avendo il Ministero espletato attività difensive.

Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021

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