LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizio – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –
Dott. LEO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2690-2020 proposto da:
F.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato ANDREA MAESTRI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di 2021 Bologna –
Sezione di Forlì – Cesena, in persona del 967 Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA alla VIA DEI PORTOGHESI 12;
– resistente con mandato –
avverso il decreto numero cronologico 4373/2019 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il 30/09/2019 R.G.N. 16087/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/03/2021 dal Consigliere Dott. CINQUE GUGLIELMO.
RILEVATO IN FATTO
CHE 1. F.A., cittadino della Nigeria, ha impugnato per cassazione il decreto n. 4373 del Tribunale di Bologna del 30.09.2019, all’esito del procedimento n. 16087/2017, con il quale sono state rigettate le sue domande dirette ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero della protezione sussidiaria ed umanitaria.
2. Il richiedente, in sintesi, aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio paese perché aveva contratto un debito, per curare la madre, che non era riuscito ad onorare; aveva precisato che, per tale motivo, si era recato in Libia per lavorare e lì aveva trovato casualmente il fratello il quale poi fu ucciso dal comune datore di lavoro perché aveva reclamato la paga che non veniva loro corrisposta; aveva riferito di avere successivamente incontrato un certo A. che gli aveva prospettato la possibilità di venire in Italia e si era quindi imbarcato; aveva, infine, dedotto di essere impegnato in attività di volontariato nel Comune di Forlimpopoli e di non avere più contatti con la famiglia di origine.
3. A fondamento della decisione il Tribunale ha rilevato preliminarmente l’inattendibilità del racconto circa la ragione del prestito che lo aveva indotto a partire; ha escluso, avendo riguardo alle dichiarazioni rese, la sussistenza dei presupposti per la concessione sia dello status di rifugiato che della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 51 del 2007, ex art. 14, lett. a e b); dalle fonti consultate non ha ravvisato gli elementi per il riconoscimento della protezione sussidiaria citato Decreto Legislativo ex art. 14, lett. c), e, considerando la situazione del richiedente, ha ritenuto che non vi fossero fattori di vulnerabilità che giustificassero il rilascio del permesso di soggiorno ex art. 5, comma 6 TUI.
4. Avverso il provvedimento del Tribunale F.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico articolato.
5. Il Ministero dell’Interno si è costituito al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE:
1. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 2 e 10 Cost.; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 1; D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per non avere il Tribunale, in ordine alla richiesta di protezione umanitaria, compiuto un corretto apprezzamento della situazione oggettiva e soggettiva di esso richiedente.
2. Preliminarmente deve rilevarsi un profilo di improcedibilità del ricorso.
3. Il provvedimento impugnato del Tribunale di Bologna n. 4373 risulta pubblicato il 30.09.2019.
4. Il presente ricorso per cassazione è stato notificato il 31.12.2019.
5. Nel suddetto ricorso si evidenzia unicamente che il provvedimento del Tribunale è stato emesso il 30.9.2019. Anche nella relata di notifica si dà atto della sola data di emissione del provvedimento del Tribunale, senza alcun riferimento ad una eventuale comunicazione della Cancelleria.
6. Orbene, si è affermato, in sede di legittimità, con un indirizzo cui si intende dare seguito, che in tema di protezione internazionale, il ricorrente per cassazione che agisca ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, è tenuto ad allegare l’avvenuta comunicazione del decreto impugnato (o la mancata esecuzione di tale adempimento) producendo, a pena di improcedibilità, copia autentica del provvedimento unitamente alla relazione di comunicazione, munita di attestazione di conformità delle ricevute pec, ferma restando la inammissibilità che il mancato deposito di tale relazione è irrilevante non solo nel caso in cui il ricorso sia comunque notificato entro trenta giorni dalla pubblicazione del decreto (cd. prova di resistenza), ma anche quando essa risulti comunque nella disponibilità della Corte di Cassazione, perché prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita a seguito dell’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio, sempre che l’acquisizione sia stata in concreto effettuata e che da essa risulti l’avvenuta comunicazione, non spettando alla Corte attivarsi per supplire, attraverso tale via, alla inosservanza della parte al precetto posto dall’art. 369 c.p.c., comma 2 (Cass. n. 14839/2020; Cass. n. 22324/2020).
7. Nel caso in esame, pertanto, il ricorrente non ha fornito la prova della tempestività del ricorso proposto oltre i trenta giorni previsti dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis.
8. Accanto a questo profilo, però, va comunque evidenziata la assoluta genericità ed astrattezza delle censure mosse al provvedimento impugnato che ha svolto, differentemente da quanto sostenuto dal ricorrente, correttamente la valutazione della sussistenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno ex art. 5, comma 6 TUI.
9. Invero, il Tribunale ha evidenziato che non sussisteva alcuna condizione seria e grave di vulnerabilità da tutelare atteso che il ricorrente aveva 26 anni; in Italia, dove si trovava da circa tre anni, aveva svolto solo breve attività lavorativa e un tirocinio formativo di sei mesi, poi prorogato e non aveva problemi di salute; infine, ha specificato che la vicenda del fratello, sia pure triste, era avvenuta in Libia e non integrava un elemento di vulnerabilità in caso di rientro in Nigeria.
10. Tali argomentazioni non sono state assolutamente scalfite dalle indeterminate censure mosse.
11. Alla stregua di quanto esposto, va dichiarata, per tutte le ragioni sopra esposte, la inammissibilità del ricorso.
12. Nulla va disposto in ordine alle spese di lite non avendo l’Amministrazione resistente svolto attività difensiva.
13. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla in ordine alle spese del presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 4 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021