LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizio – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1787-2020 proposto da:
U.D., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCA CAMPOSTRINI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– resistente con mandato –
avverso il decreto n. cronologico 10978/2019 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il 18/12/2019 R.G.N. 3316/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/03/2021 dal Consigliere Dott. BOGHETICH ELENA.
RILEVATO IN FATTO
CHE:
1. Il Tribunale di Venezia con decreto pubblicato il 18.12.2019, ha respinto il ricorso proposto da U.D., cittadino della Nigeria, Anambra State, avverso il provvedimento con il quale la Commissione territoriale aveva, a sua volta, rigettato le istanze volte in via gradata al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria;
2. il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:
a) il richiedente – orfano di padre, quinto figlio di otto fratelli, contadino sin dall’infanzia, svolgente attività di imbianchino nel proprio paese – ha dichiarato di aderire all’organizzazione IPOB perché stanco delle angherie e soprusi che la Nigeria riservava alla regione del Biafra; in particolare i Fulani portavano il loro bestiame a pascolare nei loro campi senza chiedere permesso e uccidevano chi si opponeva, senza che lo Stato proteggesse i contadini; era fuggito dal proprio Paese perché durante una manifestazione, la polizia aveva sparato sui manifestanti e lui aveva partecipato attivamente distribuendo volantini, e per tale ragioni era ricercato dalla polizia;
b) il racconto del richiedente non è credibile in quanto generico e stereotipato, privo di significativi riferimenti ad un vissuto personale riguardo all’attivismo nell’IPOB, non risultando inoltre alcun fermo da parte delle forze dell’ordine né procedimenti penali o indagini nei suoi confronti, ed essendo insufficiente il tesserino di appartenenza all’organizzazione e non ricollegabili al richiedente le foto prodotte ove si ritrae “il ricorrente ferito” durante la manifestazione;
c) comunque le circostanze riportate non consentono di concedere lo status di rifugiato né la protezione sussidiaria, tanto più che in Nigeria non vi sono situazioni di violenza indiscriminata o di conflitto armato e dalle fonti informative le condizioni di generali sicurezza appaiono meno critiche di altri paesi del continente africano;
d) infine, non può concedersi la protezione umanitaria perché non sono state allegate o documentate dal ricorrente particolari condizioni di vulnerabilità per motivi personali o di salute e la partecipazione ad attività parrocchiali e a un corso di italiano oltre a un contratto di lavoro intermittente risalente al 2017 non sono indici sufficienti di integrazione;
3. il ricorso di U.D. chiede la cassazione del suddetto decreto per tre motivi;
4. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE:
1. con il primo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), avendo, il Tribunale, trascurato di effettuare un reale approfondimento delle condizioni di vita nella zona specifica del richiedente;
2. con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 116 c.p.c., 3, comma 5, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008 avendo, il Tribunale, trascurato di comparare le risultanze dell’istruttoria con il verbale della Commissione e il contenuto del ricorso e di verificare la non contraddittorietà e la verosimiglianza del racconto.
3. con il terzo motivo si denunzia violazione dell’art. 132 c.p.c., nullità del provvedimento per motivazione apparente/inesistente in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis, il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 325, comma 6, del D.P.R. n. 394 del 1999, artt. 11 e 28, con riguardo alla protezione umanitaria, avendo, il Tribunale, trascurato di effettuare la comparazione tra Paese di provenienza e situazione raggiunta nel paese di accoglienza, anche considerato che il richiedente ha perso ogni contatto con la Nigeria;
4. i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente collegati, sono inammissibili;
5. il Tribunale, citando fonti internazionali attendibili ed aggiornate con un focus particolare sull’origine e sulle attività dell’organizzazione dell’IPOB (pagg. 4-7 del decreto impugnato), ha accertato in fatto che in Nigeria opera il suddetto movimento che ha come scopo l’indipendenza del Biafra ed ha numerose e specifiche iniziative che vengono represse, anche violentemente, dal Governo; ha, peraltro, aggiunto che la descrizione resa dal richiedente sia davanti alla Commissione territoriale sia in giudizio circa la sua partecipazione al movimento è “estremamente generica e stereotipata, priva di significativi riferimenti ad un vissuto personale quanto al proprio attivismo nell’IPOB” (sono stati riportati passi significativi delle dichiarazioni rese in sede di audizione), rimanendo inspiegata l’identificazione da parte della polizia per la sola attività di volantinaggio svolta posto che lo stesso non è mai stato fermato dalle forze dell’ordine né sono stati allegati elementi da cui desumere che sia ricercato; lo stabilire se tale accertamento sia corretto o meno è questione di fatto, come tale incensurabile in questa sede se non evidenziando l’omesso esame di un fatto decisivo o la manifesta irrazionalità della decisione, censure neanche prospettate dall’odierno ricorrente (di recente: Cass. n. 6897 del 2020); in realtà chi ricorre si limita a prospettare una diversa valutazione della situazione del Paese di provenienza, con una censura che attiene chiaramente ad una quaestio facti che non può essere riesaminata innanzi alla Corte di legittimità, perché si esprime un mero dissenso valutativo delle risultanze di causa e si invoca, nella sostanza, un diverso apprezzamento di merito delle stesse (da ultimo, tra molte, v. Cass. n. 2563 del 2020);
6. infine, in ricorso si trascura di considerare che – per l’insegnamento delle Sezioni unite richiamato dallo stesso ricorrente – il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari non può essere riconosciuto per il solo livello di integrazione in Italia del richiedente, dovendo essere effettuata una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento sia al paese di origine (in relazione al quale il Tribunale ha escluso la credibilità) sia alla situazione di integrazione raggiunta in Italia; il giudice di merito ha espressamente esaminato gli elementi forniti dal richiedente (assunzione richiedente per un periodo limitato, con contratto di lavoro intermittente, due buste paga di novembre 2017 e febbraio 2018, una retribuzione netta di Euro 285,00 come “tuttofare”; problemi di salute superati a seguito di un intervento chirurgico risalente al 2017) e non ha ravvisato una condizione di “vulnerabilità” tutelabile, ritenendo, d’un canto, insussistente un pericolo di persecuzione o sottoposizione a trattamenti umanitari o degradanti, e, d’altro canto, carente l’integrazione nel territorio italiano;
7. in conclusione, il ricorso è inammissibile; alla reiezione del ricorso, non consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali di questa fase, non avendo l’intimato svolto attività difensive;
14. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 4 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021