LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRO Massimo – Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15502/2020 R.G. proposto da:
Z.H., rappresentata e difesa dall’Avv. Marta Di Tullio, con domicilio eletto in Roma, viale delle Milizie, n. 76;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di Milano depositato il 4 maggio 2020.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 15 luglio 2021 dal Consigliere Guido Mercolino.
RILEVATO
che Z.H., cittadina della Repubblica Popolare Cinese, ha proposto ricorso per cassazione, per quattro motivi, avverso il decreto del 4 maggio 2020, con cui il Tribunale di Salerno ha rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari da lei proposta;
che il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.
CONSIDERATO
che è inammissibile la costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, dal momento che nel procedimento in Camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione il concorso delle parti alla fase decisoria deve realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e depositato (cfr. 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835);
che l’infondatezza delle censure proposte dalla ricorrente, giustificando il rigetto del ricorso, in applicazione del criterio della ragione più liquida, esclude la necessità di soffermarsi, in questa sede, sulla questione concernente l’invalidità della procura ad litem per mancanza di certificazione della data di rilascio, segnalata nella proposta del Relatore in conformità ad una recente pronuncia di questa Corte (cfr. Cass., Sez. Un., 1/06/2021, n. 15177), seguita dalla rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, comma 13, introdotto dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 6, comma 1, lett. g), convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46 (cfr. Cass., Sez. III, 23/06/2021, n. 17970);
che con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, della Dir. n. 2013/32/UE, art. 16, e del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, osservando che, nell’escludere la credibilità delle dichiarazioni da lei rese a sostegno della domanda, il Tribunale ha omesso di adempiere il proprio dovere di cooperazione istruttoria, non avendole consentito di fornire chiarimenti in ordine alle contraddizioni rilevate dalla Commissione territoriale, e non avendo acquisito d’ufficio informazioni in ordine alla situazione da lei descritta;
che il motivo è manifestamente infondato, avendo il Tribunale concesso alla ricorrente la più ampia possibilità di fornire chiarimenti in ordine alle dichiarazioni rese dinanzi alla Commissione territoriale, sia attraverso l’audizione personale della stessa che mediante l’acquisizione della documentazione prodotta dal suo difensore, ed avendo esaminato la vicenda narrata alla luce delle informazioni fornite da fonti internazionali autorevoli ed aggiornate, puntualmente indicate in motivazione, sulla base delle quali ha espresso un giudizio d’inattendibilità sia soggettiva che oggettiva, giustificato dall’intrinseca contraddittorietà delle predette dichiarazioni e dalla non corrispondenza dei fatti riferiti con i dati disponibili in ordine alle persecuzioni attuate dalle autorità cinesi nei confronti degli aderenti alla religione cristiana e al ricorso forzato alla contraccezione per il contenimento della natalità;
che deve quindi ritenersi adempiuto il dovere di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, la cui previsione impedisce di escludere la credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente in virtù della mera assenza di riscontri oggettivi dei fatti da lui narrati, imponendo al giudice di attivare i propri poteri officiosi per accertare la fondatezza e l’attualità del timore di persecuzione o di danno grave dedotto a sostegno della domanda di protezione, attraverso l’acquisizione di una conoscenza completa della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza (cfr. Cass., Sez. lav., 14/01/2021, n. 10; Cass., Sez. III, 12/05/2020, n. 8819; Cass., Sez. VI, 25/07/2018, n. 19716);
che con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5, 7 e 14, lett. b), sostenendo che, nell’escludere la configurabilità del danno grave previsto da quest’ultima disposizione, il Tribunale ha omesso di accertare d’ufficio se le autorità statali del suo Paese di origine fossero effettivamente in grado di garantirle protezione;
che il motivo è manifestamente infondato, avendo la ricorrente allegato, a sostegno della domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, il timore di subire atti di persecuzione o di restare esposta ad un danno grave la cui provenienza dalle stesse autorità statali deve ritenersi logicamente incompatibile con la necessità di procedere ad approfondimenti istruttori in ordine al rifiuto o all’incapacità delle stesse di fornire adeguata protezione, indipendentemente dalla credibilità dei fatti riferiti;
che, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, l’accertamento dell’impossibilità di ottenere la tutela dello Stato o dei partiti o delle organizzazioni che ne controllano il territorio o una parte consistente dello stesso è richiesto infatti esclusivamente nell’ipotesi di cui alla lett. c), ovverosia quando la persecuzione o il danno grave allegati dal richiedente sono ascrivibili a soggetti non statuali, laddove nei casi di cui alle lett. a) e b), ovverosia quando i timori prospettati sono ricollegabili ad atti o comportamenti delle autorità statali o dei predetti partiti od organizzazioni, è sufficiente l’accertamento della veridicità dei fatti riferiti, rimasta nella specie esclusa, in virtù della ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla ricorrente;
che con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha escluso che nel suo Paese di origine fosse in atto una situazione di violenza indiscriminata, senza accertare le condizioni effettive della Repubblica Popolare Cinese e senza indicare le fonti dalle quali ha desunto le informazioni utilizzate;
che il motivo è infondato, avendo il Tribunale richiamato, nell’escludere la configurabilità della fattispecie prevista dall’art. 14, lett. c), cit., informazioni fornite da fonti internazionali autorevoli ed aggiornate, puntualmente indicate in motivazione, nonché fatti notori, dai quali ha desunto che nella Repubblica Popolare Cinese non sussiste un conflitto armato idoneo a determinare una situazione di violenza indiscriminata talmente grave da costituire fonte di pericolo per la vita o l’incolumità personale di chiunque si trovi in quel Paese, per il solo fatto di risiedervi;
che il richiamo al notorio, nei casi di evidente contrasto tra le conoscenze riguardanti la situazione generale Paese di origine ed i timori allegati dal richiedente, deve ritenersi sufficiente ad escludere l’operatività del dovere di cooperazione istruttoria previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, (cfr. Cass., Sez. III, 30/10/2020, n. 24010; 12/05/2020, n. 8819), il quale risulta peraltro correttamente adempiuto, nella specie, attraverso il richiamo alle predette fonti d’informazione, non censurato dalla ricorrente, la quale non ha neppure dedotto l’esistenza di fonti più specifiche o aggiornate di quelle indicate nel decreto impugnato (cfr. Cass., Sez. I, 12/03/2021, n. 7105; 18/02/2020, n. 4037);
che con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, rilevando che, nel rigettare la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, il decreto impugnato ha omesso di verificare la sussistenza dei requisiti a tal fine prescritti, sulla base delle dichiarazioni da lei rese a sostegno delle domande di riconoscimento delle forme di protezione cd. maggiori ed in relazione alla situazione generale del suo Paese di origine;
che il motivo è infondato, avendo il decreto impugnato correttamente ritenuto che, una volta esclusa l’attendibilità della vicenda personale riferita a sostegno delle domande di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, la mancata allegazione da parte della ricorrente di fatti idonei ad evidenziare una particolare situazione di vulnerabilità consentisse di escludere anche la sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione umanitaria;
che il riconoscimento del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, pur postulando una condizione di vulnerabilità personale, la cui configurabilità deve costituire oggetto di una valutazione autonoma rispetto a quella dei presupposti richiesti per l’applicazione delle altre forme di protezione, non richiede infatti specifici approfondimenti istruttori da parte del giudice di merito allorquando, come nella specie, quest’ultimo abbia già escluso la credibilità della vicenda personale allegata dal richiedente, e non siano state fatte valere ragioni di vulnerabilità diverse ed ulteriori rispetto a quelle dedotte a sostegno della domanda di riconoscimento delle forme di protezione cd. maggiori (cfr. Cass., Sez. I, 24/12/2020, n. 29624; Cass., Sez. I, 7/08/2019, n. 21123 e n. 21129);
che le considerazioni svolte nel decreto impugnato si pongono d’altronde in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il riconoscimento della protezione umanitaria richiede una valutazione individuale, da condursi caso per caso, del livello di integrazione sociale e lavorativa raggiunto dal richiedente in Italia, comparato alla situazione personale di cui versava prima dell’abbandono del Paese di origine e alla quale si troverebbe nuovamente esposto in conseguenza del rimpatrio, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare una privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, in misura tale da comprimerne il contenuto oltre il limite rappresentato dal nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale (cfr. Cass., Sez. Un. 13/11/2019, n. 29459; Cass., Sez. I, 30/03/2020, n. 7599; 23/02/ 2018, n. 4455);
che, nell’ambito della predetta valutazione, la situazione generale del Paese di origine può assumere infatti rilievo esclusivamente in relazione alla sua incidenza sulla vita privata e familiare del richiedente, quale riflesso di una condizione di vulnerabilità personale da lui vissuta prima della partenza e alla quale si troverebbe nuovamente esposto in caso di rimpatrio, prendendosi altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il paradigma normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (cfr. Cass., Sez. I, 3/04/2019, n. 9304; Cass., Sez. VI, 7/02/2019, n. 3681);
che il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 15 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021