Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.21521 del 27/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

H.R., nato in ***** (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Antonino Novello, del Foro di Catania, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in, Via Vitaliano Brancati n. 14;

– ricorrente –

contro

IL MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata in via del Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Caltanissetta n. 322/2019, pubblicata il 20/5/2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 febbraio 2021 dal Presidente, Dott. Giacomo Travaglino.

PREMESSO IN FATTO

– che il signor H. ha chiesto alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4, ed in particolare:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

– che la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

– che, avverso tale provvedimento, egli ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Caltanissetta, che lo ha rigettato con ordinanza in data 19/7/2017;

– che il provvedimento, appellato dal soccombente, è stata confermato con la sentenza di cui in epigrafe;

– che, a sostegno della domanda di riconoscimento delle cd. “protezioni maggiori”, il ricorrente, comparendo personalmente in udienza dinanzi al giudice di primo grado, aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio Paese – dove gestiva un negozio di telefonia – perché, dopo avere denunziato alla polizia un attentato terroristico subito da un proprio cliente all’uscita dal suo negozio da parte del gruppo denominato *****, e dopo aver testimoniato in Tribunale, era stato minacciato di morte dai terroristi, trasferendosi dapprima a *****, presso uno zio, per poi lasciare definitivamente il Pakistan e giungere in Italia nel gennaio del 2016;

– che, in via subordinata, aveva poi dedotto l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento, in suo favore, della protezione umanitaria, in considerazione della propria – oggettiva e grave – condizione di vulnerabilità;

– che, a fondamento della decisione assunta, la Corte territoriale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento di tutte le forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, alla luce: 1) della sostanziale inattendibilità del suo racconto, ritenendolo generico, contraddittorio, non circostanziato, privo degli elementi necessari per contestualizzare, a livello spaziale e temporale, le vicende narrate, attesane, inoltre, l’incongruenza logica; 2) della insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, in ciascuna delle tre forme di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, in conseguenza del giudizio di non credibilità del ricorrente e dell’inesistenza di un conflitto armato nel Paese di respingimento;

3) dell’impredicabilità di un’effettiva situazione di vulnerabilità idonea a giustificare il riconoscimento dei presupposti per la protezione umanitaria;

– che il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione dall’odierno ricorrente sulla base di 2 motivi di censura;

– che il Ministero dell’interno non si è costituito in termini mediante controricorso.

LA CORTE OSSERVA Col primo motivo, si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. c)) per non avere il Tribunale (rectius, la Corte d’appello) riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita dello straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata, come chiarito dalla sentenza della Corte di giustizia C-465/2007.

Col secondo motivo, si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19,D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32, art. 8 CEDU, art. 1 Cost.) con riferimento ai presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria;

Il primo motivo è infondato.

La Corte nissena, adempiendo ai propri obblighi di cooperazione istruttoria, sulla base di COI pertinenti e aggiornate (al folio 6 della sentenza impugnata si cita il Report EASO dell’ottobre 2018, raffrontato, al folio 7, primo e secondo capoverso, con quelli dell’I.G.C. del 2016 e del P.I.C.S.S. del 2017), esclude motivatamente la configurabilità, nel Paese, di un conflitto armato fonte di violenza indiscriminata, predicandone l’inesistenza “anche a voler considerare credibile la versione dei fatti narrata dall’appellante” (così a f. 6, IV capoverso), senza che le COI allegate dalla difesa del richiedente asilo offrano un quadro-Paese radicalmente diverso, che si ponga in insanabile contrasto con le affermazioni e le deduzioni della Corte territoriale, salvo quanto si dirà nel corso dell’esame del secondo motivo di ricorso.

Il secondo motivo merita, viceversa, accoglimento.

La motivazione adottata dal giudice nisseno – nella parte in cui afferma che “se, da una parte si profila un significativo radicamento di H.R. nel territorio italiano, la complessiva inattendibilità del racconto non da adeguata contezza di uno sradicamento parimenti significativo dal territorio di origine, tale da profilare una specifica condizione di vulnerabilità nel caso di rientro a distanza di alcuni anni” (f. 7, quarto capoverso) – non è conforme a diritto.

Se, per il riconoscimento dello status di rifugiato, o della protezione sussidiaria di cui alle lettere a) e b) del D.Lgs. n. 251 del 2007, deve essere dimostrato che il richiedente asilo abbia subito, o rischi concretamente di subire, atti persecutori come definiti dall’art. 7, (atti sufficientemente gravi per natura o frequenza, tali da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, ovvero costituire la somma di diverse misure il cui impatto si deve risolvere in una grave violazione dei medesimi diritti), così che la decisione di accoglimento consegue ad una valutazione prognostica dell’esistenza di un rischio, onde il requisito essenziale per il riconoscimento di tale forma di protezione consiste nel fondato timore di persecuzione, personale e diretta, nel paese di origine del richiedente asilo, alla luce di una violazione individualizzata – e cioè riferibile direttamente e personalmente al richiedente asilo in relazione alla situazione del Paese di provenienza, da compiersi in base al racconto ed alla valutazione di credibilità operata dal giudice di merito, diversa, invece, è la prospettiva dell’organo giurisdizionale in tema di protezione umanitaria, per il riconoscimento della quale è necessaria e sufficiente (anche al di là ed a prescindere dal giudizio di credibilità del racconto) la valutazione comparativa tra il livello di integrazione raggiunto in Italia e la situazione del Paese di origine, qualora risulti ivi accertata la violazione del nucleo incomprimibile dei diritti della persona che ne vulnerino la dignità – accertamento che prende le mosse, e non può prescindere, dal dettato costituzionale di cui all’art. 10, comma 3, ove si discorre, significativamente, di impedimento allo straniero dell’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.

Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, deve ritenersi necessaria e sufficiente la valutazione dell’esistenza e della comparazione degli indicati presupposti (per tutte, Cass. 8819/2020), che non sono, pertanto, condizionati dalla eventuale valutazione negativa di credibilità.

Il riconoscimento della protezione umanitaria postula – una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto – l’obbligo per il giudice del merito, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, di cooperare nell’accertamento della situazione reale del Paese di provenienza, mediante l’esercizio di poteri/doveri officiosi d’indagine, ed eventualmente di acquisizione documentale attivando i necessari canali diplomatici ed amministrativi tramite rogatorie (Cass. n. 28435/2017; Cass. 18535/2017; Cass. 25534/2016) essendo quel giudice investito di singole vicende aventi ad oggetto i diritti fondamentali della persona, e non di cause cd. “seriali”, in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente; e al fine di ritenere adempiuto tale obbligo officioso, l’organo giurisdizionale è altresì tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. n. 11312 del 2019), ma senza incorrere nell’errore di utilizzare le fonti informative (ritualmente e correttamente acquisite, nella specie) che escludano l’esistenza di un conflitto armato interno o internazionale (rilevanti al solo fine di valutare la domanda di protezione internazione sub specie del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)) – al diverso fine di valutare la situazione del Paese di origine sotto l’aspetto della mancata tutela dei diritti umani e del loro nucleo incomprimibile – di cui pure il provvedimento impugnato sembra dare atto, discorrendo di “innegabili, gravi criticità” e di “metodi di repressione violenti e antidemocratici” (f. 7, in fine, della sentenza impugnata).

A ciò si aggiunga che, alla luce delle COI allegate dalla difesa (ed oggi riportate in ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza) emergono ad ancor più chiare lettere situazioni di oggettiva violazione dei diritti umani (come si legge al terz’ultimo foglio del ricorso, inspiegabilmente non numerato), mentre la stessa Corte d’appello non pone in dubbio l’avvenuta integrazione lavorativa del ricorrente – onde l’esistenza e la sussistenza di entrambi i termini di comparazione indicati da questa Corte con la sentenza 4455/2018 e confermati dalle stesse sezioni unite con la pronuncia 29460/2019.

Va pertanto riaffermato il principio di diritto, cui il giudice di rinvio si atterrà nel riesaminare la domanda di protezione umanitaria, alla luce del quale, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del suo riconoscimento, occorre operare la valutazione comparativa della situazione oggettiva (oltre che eventualmente soggettiva) del richiedente con riferimento al Paese di origine sub specie della libera esplicazione dei diritti fondamentali della persona, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza – pur senza che abbia rilievo esclusivo l’esame del livello di integrazione, se isolatamente ed astrattamente considerato;

Sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza del motivo di ricorso nei termini sopra specificati, deve essere disposta la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio del procedimento alla Corte d’appello di Caltanissetta che, in diversa composizione, applicherà i principi di diritto dianzi indicati, oltre a provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, cassa nei limiti di cui in motivazione la sentenza impugnata e rinvia il procedimento alla Corte di appello di Caltanissetta, che, in diversa composizione, farà applicazione dei principi di diritto suesposti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso ìprincipargi a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021

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