LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 13725-2019 proposto da:
AZIENDA SANITARIA LOCALE ASL ***** REGIONE PIEMONTE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.P. DA PALESTRINA, 63, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA CONTALDI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO MAJORINO;
– ricorrente –
contro
T.A., M.I., GENERALI ITALIA SPA, B.P.G.;
– intimati –
nonché da:
B.P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LAURA MANTEGAZZA 16, presso lo studio dell’avvocato SABINA LORENZELLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO ROLLE;
– ricorrente incidentale –
contro
GENERALI ITALIA SPA, T.A., M.I., AZIENDA SANITARIA LOCALE ASL ***** REGIONE PIEMONTE;
– intimati –
nonché da T.A. e M.I., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA GIUSEPPE MERCALLI 13, presso lo studio dell’avvocato CHIARA SCIOLA, rappresentate e difese dall’avvocato MARINELLA ASEGLIO GIANINET;
– ricorrenti incidentali –
contro
GENERALI ITALIA SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVUOR 19, presso lo studio dell’avvocato MICHELE ROMA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIER FRANCO GIGLIOTTI;
B.P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LAURA MANTEGAZZA 16, presso lo studio dell’avvocato SABINA LORENZELLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO ROLLE;
– controricorrenti all’incidentale –
nonché contro AZIENDA SANITARIA LOCALE ASL ***** REGIONE PIEMONTE;
– intimata –
nonché da GENERALI ITALIA SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVUOR 19, presso lo studio dell’avvocato MICHELE ROMA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIER FRANCO GIGLIOTTI;
– ricorrente incidentale –
contro
B.P.G., T.A., M.I., AZIENDA SANITARIA LOCALE ASL ***** REGIONE PIEMONTE;
– intimati –
avverso la sentenza non definitiva n. 1867/2017, depositata il 09/08/2017, e la sentenza definitiva, depositata il 07/02/2018, della CORTE D’APPELLO di TORINO;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/02/2021 – tenutasi ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito, con modificazioni, nella L. n. 176 del 2020
– dal Consigliere Dott. VINCENTI ENZO.
FATTI DI CAUSA
1. – T.A., in proprio e in qualità di genitore esercente la responsabilità sulla figlia M.I., convenne, con M.P. e M.A., dinanzi al Tribunale di Torino, l’Asl ***** (ASL *****, già Asl *****), B.P. e G.F., per sentirli condannare al risarcimento dei danni sofferti per le gravi lesioni patite dalla figlia I. in occasione della nascita avvenuta il ***** e da ascriversi a responsabilità della struttura sanitari e dei medici intervenuti.
1.1. – Costituitisi in giudizio, la ASL ***** e i medici convenuti chiesero, ed ottennero, a titolo di garanzia, la chiamata in causa di Generali Italia S.p.A. (all’epoca già Assitalia Le Assicurazioni d’Italia S.p.A.).
1.2. – Il Tribunale, espletata C.T.U. medico-legale, rigettò la domanda sul rilievo che le cure terapeutiche relative al travaglio e al parto fossero state adeguate, non emergendo elementi atti a fondare la responsabilità della struttura sanitaria e dei medici convenuti, e, per l’effetto, dichiarò assorbita la domanda di manleva svolta dai sanitari convenuti nei confronti di Generali Italia S.p.A..
2. – La Corte d’appello di Torino rigettò il gravame interposto dalla T. e da P. ed M.A., confermando, sulla scorta della c.t.u. espletata in primo grado, la sentenza del Tribunale, in quanto l’assistenza neonatale di M.I. doveva ritenersi correttamente svolta “nonostante la cartella clinica non riportasse annotazioni relative alle successive sei ore”, perché “i C.T.U. ipotizzavano che un neonato in culla termica non potesse essere lasciato senza assistenza e che in quelle sei ore” non vi erano state criticità tanto che “al mattino le condizioni cliniche erano stabili”.
3. – La sentenza d’appello era impugnata per cassazione dalla T. e da M.P., con ricorso affidato a sei motivi.
3.1. – Con sentenza n. 6209/2016, questa Corte di cassazione accoglieva il ricorso e, cassando con rinvio la sentenza impugnata con riguardo al secondo, terzo e quarto motivo, precisava che la responsabilità della struttura sanitaria e dei medici convenuti fosse di natura contrattuale – ricadendo su questi ultimi l’assolvimento dell’onere della prova dell’inadempimento non imputabile ai sensi dell’art. 1218 c.c. – e che, in virtù del principio della vicinanza della prova, la tenuta incompleta della cartella clinica non potesse tradursi in un pregiudizio per il paziente, essendo invero, in tal caso, ammissibile il ricorso a criteri presuntivi, non solo ai fini dell’accertamento della condotta colposa del medico, ma anche del nesso causale tra condotta ed evento lesivo.
3.2. – In particolare, questa Corte rilevava che il giudice di appello avesse errato là dove, “a fronte di un vuoto di ben sei ore nelle annotazioni della cartella clinica, ha ritenuto di condividere l’ipotesi formulata dai consulenti d’ufficio – che la neonata non potesse essere stata lasciata senza assistenza”, censurandone le conclusioni “sia sotto il profilo motivazionale (…) che sotto quello della violazione dei criteri di distribuzione dell’onere della prova, alla luce della pacifica carenza di annotazioni nella cartella clinica”.
4. – A seguito della riassunzione del giudizio di rinvio ad opera della sola T.A., in proprio e per la figlia M.I., nei confronti dell’ASL *****, di B.P. e di Generali Italia S.p.A., erano rese la sentenza non definitiva n. 1867, pubblicata il 9 agosto 2017, e, rimessa la causa in istruttoria per la valutazione e liquidazione del quantum debeatur, la sentenza definitiva n. 101, pubblicata il 16 gennaio 2019.
4.1. – Con la sentenza non definitiva n. 1867/2017, la Corte d’appello di Torino, in funzione di giudice del rinvio, accertava, in via preliminare, la carenza di legittimazione attiva della T., in proprio e nella qualità, nei confronti di Generali Italia S.p.A., quale compagnia assicuratrice chiamata in causa, a titolo di garanzia, dall’ASL ***** e dal B.; accertava, altresì, la responsabilità dell’ASL ***** e del B. per le lesioni patite dalla M. all’epoca della nascita, nonché il diritto di questi ultimi ad essere manievati, nei limiti del massimale di polizza, da Generali Italia S.p.A.; rigettava, infine, la domanda di danno patrimoniale svolta dalla T., sul rilievo per cui “non solo non è stata allegata documentazione alcuna a supporto dell’affermata preesistenza e poi cessazione dell’attività lavorativa” oltre che delle spese sostenute per la figlia, “ma nemmeno sono state formulate istanze di prova orale per ricostruire la situazione quotidiana alla quale gli oneri che dovrebbero essere risarciti si ipotizzano correlati”.
4.2. – Con la sentenza definitiva, la Corte d’appello condannava I’ASL ***** e il B., in solido tra loro, al pagamento della complessiva somma di Euro 1.634.655,29, oltre accessori, a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali (ammontanti ad Euro 1.323.547,09) e patrimoniali (ammontanti ad Euro 311.107,80) patiti dalla M. e della complessiva somma di Euro 294.121,62, oltre accessori, a titolo di danno non patrimoniale sofferto dalla T., oltre alla rifusione delle spese processuali per l’intero giudizio; condannava, quindi, Generali Italia S.p.A. a manlevare i convenuti per gli importi dovuti alle attrici, nei limiti del massimale di polizza pari ad Euro 774.680,00.
5. – Ricorre per la cassazione di entrambe le sentenze, non definitiva e definitiva, l’Asl *****, affidando le sorti dell’impugnazione a due motivi.
Ha proposto ricorso incidentale Pier Giorgio B. sulla base di due motivi.
Resistono con controricorso ai predetti ricorsi, principale e incidentale, M.I. e T.A., che hanno, altresì, proposto ricorso incidentale in base ad un motivo.
Al ricorso incidentale della M. e della T. resiste la Generali Italia S.p.A., la quale ha anche proposto separato ricorso incidentale in forza di tre motivi.
Pier B.G. resiste con controricorso ai ricorsi incidentali della M. e della T., nonché della Generali Italia S.p.A..
Hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la M. e la T., il B. e la Generali Italia S.p.A..
Il pubblico ministero ha rassegnato conclusioni scritte, concludendo per il rigetto del ricorso principale e dei ricorsi incidentali.
La decisione è stata resa in camera di consiglio ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito, con modificazioni, nella L. n. 176 del 2020, in mancanza di richiesta di discussione orale, con adozione della forma di sentenza in forza dell’art. 375 c.p.c., u.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – In via preliminare, alla luce del principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza, il ricorso della AsI *****, notificato per primo, assume la qualifica di ricorso principale, mentre tutti gli altri ricorsi (anche se proposti in via autonoma, come quelli del B. e della Generali Italia S.p.A.) assumono la qualifica di ricorsi incidentali (cfr., tra le altre, Cass., 4 dicembre 2014, n. 25662).
Ricorso principale Asl *****.
2. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 1218 e 2697 c.c. in relazione all’art. 61 c.p.c., artt. 2727 e 2729 c.c. e artt. 40 e 41 c.p., in quanto la Corte d’appello, con la sentenza non definitiva n. 1867/2017 (riverberandosi il vizio sulla sentenza definitiva n. 101/2019, che ha soltanto quantificato il danno), non ha effettuato alcun approfondimento istruttorio, anche mediante apposita c.t.u., in merito alla verificazione di fatti causalmente idonei a determinare o comunque a incidere avuto riguardo precipuo all’arco temporale delle prime sei ore dalla nascita della M. – sull’encefalopatia da sofferenza perinatale patita dalla neonata, inferendo quei fatti causali unicamente dall’incompletezza della cartella clinica in violazione delle norme sulle presunzioni semplici, là dove l’asfissia della medesima M., come emergente dalle relazioni tecniche acquisite agli atti, era però da ricondurre al momento della gestazione e non a quello successivo alla nascita.
3. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 1218 c.c., non avendo la Corte d’appello, sempre con la sentenza non definitiva n. 1867/2017 (riverberandosi il vizio sulla sentenza definitiva n. 101/2019, che ha soltanto quantificato il danno), accertato l’effettivo rilievo determinante della condotta colposa dei sanitari nel cagionare, nell’arco temporale controverso, il danno lamentato, non essendovi neppure riscontro alcuno di un ragionamento controfattuale, volto a stabilire quali cure, ove non omesse, avrebbero in concreto impedito l’insorgenza della malattia sviluppata dalla M..
Ricorso incidentale B..
4. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione della L. 8 marzo 2017, n. 24, art. 7,artt. 2043 e 2697 c.c., in relazione all’art. 61 c.p.c., nonché artt. 2727 e 2729 e 40 e 41 c.p., giacché la Corte d’appello, con la sentenza non definitiva n. 1867/2017 (riverberandosi il vizio sulla sentenza definitiva n. 101/2019, che ha soltanto quantificato il danno), ha errato nel qualificare in termini contrattuali la responsabilità del medico dipendente della struttura sanitaria, in ragione dell’applicazione, al caso di specie, della sopravvenuta legge di riforma della responsabilità medica, e per l’effetto, della qualificazione extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c. del titolo dell’eventuale sua responsabilità colposa, così da dover gravare sulle attrici la dimostrazione degli elementi costitutivi dell’illecito civile.
5. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 1218 e 2697 c.c. in relazione all’art. 61 c.p.c., artt. 2727 e 2729 c.c. e artt. 40 e 41 c.p., in quanto la Corte d’appello, con la sentenza non definitiva n. 1867/2017 (riverberandosi il vizio sulla sentenza definitiva n. 101/2019, che ha soltanto quantificato il danno), non avrebbe accertato, anche apposita c.t.u., né l’effettiva incidenza causale di fatti generatori, nell’arco temporale controverso, del danno patito dalla M., né l’idoneità della condotta a provocare la patologia di quest’ultima, tenuto conto che anche ai sensi dell’art. 1218 c.c. la prova del nesso causale tra condotta del sanitario e l’evento lesivo è a carico del danneggiato.
Ricorso incidentale Generali Italia S.p.A..
6. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione degli artt. 1218,2697,2727 e 2729 c.c., nonché, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ossia dell’annotazione, racchiusa nella cartella clinica, dell’assenza, nelle prime controverse ore del mattino, di segni di distress sulla M..
La Corte territoriale avrebbe male applicato i criteri che regolano la ripartizione dell’onere della prova, erroneamente attribuendo alla struttura sanitaria e al medico dipendente convenuti l’onere di fornire prova dell’impossibilità di esatto adempimento della prestazione medica, in assenza, tuttavia, dell’acquisizione della prova del nesso causale, incombente sul danneggiato, tra condotta dei sanitari ed evento lesivo.
Inoltre, il giudice di appello, rilevata l’incompletezza della cartella clinica, non solo non avrebbe reso applicazione della prassi medica consolidata, nel 1996, al tempo del perfezionamento del caso concreto, in punto di incompletezza della cartella clinica, ma avrebbe del tutto omesso l’analisi del significato dell’espressione “mattino: è in incubatrice con ossigeno, non più segni di distress”. E difatti, ove riferita la predetta espressione all’arco temporale controverso delle prime sei ore dalla nascita della M., la Corte d’appello avrebbe dovuto correttamente riconoscere sussistente l’attività di monitoraggio effettuato dei sanitari e, con essa, l’inidoneità della condotta a determinare il danno asserito da parte attrice.
7. – Con il secondo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 1917 c.c., comma 1, per aver la Corte territoriale disposto la condanna alla rifusione delle spese processuali di soccombenza in misura eccedente alla soglia, di Euro 774.680, prevista dal massimale di polizza.
8. – Con il terzo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 1917 c.c., comma 3, per aver la Corte di appello condannato l’assicuratore alla rifusione delle spese processuali di resistenza in giudizio, non svolgendo alcun giudizio di bilanciamento tra i rispettivi interessi dell’assicuratore ed assicurati, da ritenersi invece necessario qualora la somma per cui vi è condanna superi il capitale assicurato.
Ricorso incidentale di T.A..
9. – Con l’unico mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 1218,1223 e 1226 c.c. e art. 115 c.p.c., per non aver la Corte d’Appello accolto la domanda di danno patrimoniale preteso in ragione della grave disabilità della figlia, alla luce delle risultanze probatorie prodotte in punto di esborsi straordinari connessi alle attività di cura e assistenza, e per non aver comunque fatto ricorso, ai fini della liquidazione equitativa del danno patrimoniale richiesto, alle categorie del “notorio” e della “comune esperienza”. E tanto, in ragione delle caratteristiche del caso concreto, di per sé espressive dell’impossibilità di provare, in un ammontare preciso, l’entità delle molteplici spese sostenute, connaturate all’assistenza di persona affetta da grave disabilità.
Esame congiunto dei ricorsi della Asl *****, del B. e del primo motivo del ricorso della Generali S.p.A..
10. – I ricorsi proposti dalla Asl *****, dal B. e il primo motivo del ricorso della Generali Italia S.p.A..
10.1. – Vanno scrutinate, anzitutto, le doglianze, proposte in primo luogo dal B. (con il primo e, in parte, con il secondo motivo di ricorso), che lamentano la mancata applicazione, nella specie, della L. n. 24 del 2017, art. 7 e, dunque, della qualificazione in termini di responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., dell’illecito ascritto al medico, con i conseguenziali effetti sul riparto dell’onere probatorio, nonché del principio secondo cui anche in costanza di responsabilità contrattuale (della struttura sanitaria e/o del medico) la dimostrazione del nesso causale tra condotta ed evento lesivo spetterebbe al paziente/danneggiato, con la conseguenza che, in assenza di prova (ovvero di causa rimasta ignota in base al “più probabile che non”), la domanda andrebbe rigettata. In quest’ultimo senso sono anche le censure della Generali Italia S.p.A., che nella memoria richiama pure l’anzidetta legge del 2017 e, comunque, l’assetto normativo più recente, in punto di qualificazione della responsabilità sanitaria come aquiliana.
10. 1.1. – Tali censure sono infondate.
E’ orientamento consolidato di questa Corte quello per cui, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 1, l’enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, anche qualora, nel corso del processo, siano intervenuti mutamenti della giurisprudenza di legittimità, sicché anche la Corte di cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal giudice di merito, deve giudicare sulla base del principio di diritto precedentemente enunciato, e applicato dal giudice di rinvio, senza possibilità di modificarlo, neppure sulla base di un nuovo orientamento giurisprudenziale della stessa Corte, salvo che la norma da applicare in relazione al principio di diritto enunciato risulti successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di jus superveniens, comprensivo sia dell’emanazione di una norma di interpretazione autentica, sia della dichiarazione di illegittimità costituzionale (tra le molte, Cass., 16 novembre 1999, n. 12701; Cass., 31 luglio 2006, n. 17442; Cass., 17 marzo 2014, n. 6086; Cass., 15 novembre 2017, n. 27155).
Ciò posto, deve, in primo luogo, escludersi che possa trovare applicazione la L. n. 24 del 2017, art. 7 (entrata in vigore il 1 aprile 2017) – né, peraltro, potrebbe rilevare il D.L. n. 158 del 2012, art. 3, comma 1, convertito dalla L. n. 189 del 2012 – poiché il fatto illecito si è verificato nel dicembre 1996 e dette norme non hanno efficacia retroattiva e non sono applicabili ai fatti verificatisi anteriormente alla loro entrata in vigore (Cass., 11 novembre 2019, n. 28994; Cass., 8 novembre 2019, n. 28811).
Inoltre, quanto all’ulteriore censura (ma, invero, secondo la medesima direttrice che investe la problematica) sul riparto dell’onere di prova in punto di nesso eziologico, occorre premettere che il principio di diritto vincolante ex art. 384 c.p.c., per la Corte territoriale, posto dalla sentenza di questa Corte n. 6209/2016, si trae là dove, quest’ultima, ha evidenziato “(…) che – secondo i principi che governano la responsabilità contrattuale – la struttura e i sanitari che siano convenuti in giudizio per ipotesi di malpractice sono tenuti a fornire la prova liberatoria richiesta dall’art. 1218 c.c., con la conseguenza che il mancato raggiungimento di tale prova (compreso il mero dubbio sull’esattezza dell’adempimento) non può che ricadere a loro carico. E’ noto, altresì, che la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può tradursi, sul piano processuale, in un pregiudizio per il paziente (cfr. Cass. n. 1538/2010) e che è anzi consentito il ricorso alle presunzioni “in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato” (Cass. n. 11316/2003; cfr. Cass. n. 10060/2010); tali principi, che costituiscono espressione del criterio della vicinanza alla prova nel più ampio quadro della distribuzione degli oneri probatori, assumono speciale pregnanza in quanto sono destinati ad operare non soltanto ai fini della condotta del sanitario (ossia dell’accertamento della colpa), ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la condotta medica e le conseguenze dannose subite dal paziente (cfr., oltre alle citate Cass. n. 11316/2003 e n. 10060/2010, anche Cass. n. 12218/2015)”.
Dunque, il vincolo in iure posto alla Corte territoriale, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comportava anzitutto la necessaria qualificazione della responsabilità di struttura sanitaria e dei medici in essa operanti in termini di responsabilità contrattuale e, quindi, in armonia ai “principi che governano la responsabilità contrattuale” (come anche declinati dai precedenti citati nella sentenza impugnata), nel senso (consolidatosi a seguito di intervento nomofilattico delle Sezioni Unite: Cass., S.U., 11 gennaio 2008, n. 577) che, una volta dimostrato il contratto (o il “contatto sociale”) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia, con l’allegazione di inadempienze specifiche, idonee a provocarli, grava sulla controparte dimostrare o che l’inadempimento non vi è stato, ovvero che, pur essendovi stato, non ha determinato il danno lamentato, ricadendo sulla posizione della struttura e dei sanitari non solo detta carente prova, ma anche il dubbio a tal riguardo sussistente (il c.d. dubbio sulla “causa ignota”).
Quel vincolo comportava, altresì, che, in caso di difettosa tenuta della cartella clinica, il giudice del rinvio doveva applicare il principio di vicinanza della prova e fare, quindi, coerente governo della distribuzione degli oneri probatori anche ai fini della “stessa individuazione del nesso eziologico fra la condotta medica e le conseguenze dannose subite dal paziente”, così da orientarsi secondo il principio (reso palese anche dai principi enunciati dai precedenti citati dalla medesima Cass. n. 6209/2016) per cui proprio il difetto nella tenuta della cartella clinica non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra la colposa condotta del medico e le conseguenze dannose sofferte dal paziente, ove risulti provata la idoneità di tale condotta a provocare il danno, ma consente anzi di ritenere raggiunta la dimostrazione del predetto nesso facendo ricorso alle presunzioni.
In altri termini, il principio declinato da Cass. n. 6209/2016 è che, in ragione delle carenti annotazioni sulla cartella clinica, la sussistenza del nesso eziologico tra la condotta dei sanitari e il danno iatrogeno subito dal paziente è presunta come risultanza del giudizio causale da svolgersi secondo il criterio del “più probabile che non”.
Il così individuato il vincolo complessivo del principio di diritto rimane – come detto – affatto insensibile al mutamento di giurisprudenza di questa stessa Corte, la quale, giurisprudenza, non presenta carattere normativo, là dove “ritenere diversamente significherebbe annullare la portata vincolante dell’enunciazione del principio di diritto, aprendo la via ad esiti incerti del giudizio di rinvio e ponendosi in contrasto con la struttura e la logica del vigente sistema dell’impugnazione per cassazione” (così Cass., 16 novembre 1999, n. 12701).
10.2. – Le ulteriori censure mosse dai tre ricorsi in esame sono in parte infondate e in parte inammissibili.
10.2.1. – La Corte territoriale ha accertato – in linea con quanto già in fase rescindente era stato messo in rilievo da Cass. n. 6209/2016 (non potendo, infatti, il giudice di rinvio modificare l’accertamento e nel caso di vincolo limitato al principio di diritto anche – la valutazione dei fatti acquisiti al processo: tra le molte, Cass., 14 gennaio 2020, n. 448) – che ” M.I. aveva avuto dei problemi alla nascita, data la presenza di liquidò amniotico tinto di meconio e dato che l’indice di Agpar – significativo della vitalità del neonato – per il suo primo minuto di vita era stato di 4 ed era salito a 7 al quinto minuto di vita, dopo la posa in essere di manovre mediche adeguate, a fronte di un indice minimo di 8 per situazioni di normalità”.
Il giudice di appello, quindi, ha ritenuto che: a) una siffatta “situazione doveva essere qualificata quantomeno di difficoltà”, sicché era “pretendibile un monitoraggio attento della neonata nelle prime ore di vita”; b) affermare “che non pote’ non esserci un monitoraggio, ma che esso non fu registrato in cartella clinica per assenza di dati di rilievo da segnalare, significa(va) trasformare un’ipotesi in realtà senza dati concreti di effettivo riscontro e senza possibilità alcuna per T.A. di contestazione”; c) in mancanza di registrazioni nel periodo tra le ore tre e le ore nove della mattina del *****, “nulla (era) possibile sapere sulle condizioni della neonata nel lasso di tempo non coperto, in una situazione in cui vi era una concreta possibilità di peggioramento delle condizioni della bimba, effettivamente verificatosi e registrato dalle ore nove in poi”; d) l’adeguatezza del monitoraggio delle cure prestate nel lasso di tempo indicato non si (poteva) desumere dalla mancanza di annotazioni” nella cartella clinica, “ma (doveva) essere provata dal medico e dalla struttura sanitaria, a ciò specificamente onerati”; e) esisteva, quindi, “una “finestra” temporale vuota nel cui ambito possono essere avvenuti fatti determinanti e/o incidenti sull’entità delle lesioni successivamente accertate a carico di M.I. e per la quale non si conoscono i comportamenti posti in essere a salvaguardia e tutela della salute della neonata”; f) l’incertezza derivante “in ordine all’accaduto dalle tre alle nove invest(iva) negativamente la posizione del Dott. B. e della ASL *****, perché il vuoto temporale indicato e la sua significatività sotto il profilo probatorio rileva(vano), nei termini descritti, sia sotto il profilo dell’inadempimento imputabile sia sotto il profilo del nesso di causalità (…), non permettendo di considerare integrata la prova liberatoria a loro carico richiesta dall’art. 1218 c.c.”.
10.2.2. – Sono, quindi, prive di fondamento le restanti doglianze dei ricorrenti che prospettano errores in iudicando della Corte territoriale sotto i profili di una carente verificazione di fatti idonei a sostanziare il nesso causale tra condotta dei medici e danno patito dalla neonata e, con ciò, della correlata mancanza di un giudizio controfattuale sulla portata eziologica della condotta omissiva.
L’accertamento del giudice di merito – in coerenza con quanto già emergente dalla sentenza rescindente (Cass. n. 6209/2016) – ha avuto ad oggetto anche l’esistenza di una situazione critica di salute della M. alla nascita e di una “concreta possibilità di peggioramento delle (sue) condizioni”, ciò che imponeva ai sanitari (al B.) di porre in essere, nel lasso temporale dalle ore 3 alle ore 9 del mattino del *****, un adeguato monitoraggio e, quindi, idonei interventi terapeutici a salvaguardia della salute della stessa M., poi effettivamente compromessa.
Il monitoraggio e la prestazione di cure, dunque, erano le condotte cui sarebbe stato tenuto il B. affinché non si dovesse verificare il danno ovvero questo non si determinasse secondo l’entità delle lesioni (invalidità permanente del 100% per “grave insufficienza mentale in severa paralisi cerebrale infantile – tetraparesi di tipo aposturale – esito di encefalopatia ipossico-ischemica perinatale”), poi effettivamente esitate.
Sicché, la correlazione tra la situazione critica di salute alla nascita e la “concreta possibilità” di un peggioramento delle condizioni di salute della neonata (poi realmente determinatosi e concretatosi in lesioni dagli esiti permanenti pari al 100% di invalidità) evidenzia, nel ragionamento del giudice di merito, l’apprezzamento sulla astratta idoneità della condotta omissiva (mancato adeguato monitoraggio e, quindi, immediata prestazione di cure necessarie) a porsi come causativa, in termini di “più probabile che non”, del danno alla salute della stessa M., rendendosi palese non solo quale sia stato il giudizio controfattuale sul comportamento che si sarebbe dovuto attendersi dal sanitario, ma anche la stessa connotazione colposa dell’omissione.
A fronte di ciò, posto che la carenza di annotazioni sulla cartella clinica è fatto storico indiscusso, i principi di diritto enunciati da Cass. n. 6209/2016 e gli stessi rilievi della stessa sentenza in punto di contraddittorietà ed illogicità intrinseca di un ragionamento (quello reso dal primo giudice di appello) fondato sul presupposto che la mancanza di registrazione sulla cartella clinica del monitoraggio sulla neonata era dovuta dall’assenza di dati di rilievo da segnalare (ossia l’ipotesi – formulata dai consulenti tecnici d’ufficio e stigmatizzata da Cass. n. 6209/2016 – per cui l’assistenza, nell’anzidetto lasso temporale, alla neonata non è mancata e che la stessa non abbia avuto “problemi, anche perché al mattino le condizioni cliniche erano stabili”), imponevano alla ASL ***** ed al B. di dimostrare, in concreto, che, in quel lasso temporale di sei ore, vi era stato un monitoraggio adeguato e che non si fossero verificati fenomeni tali da richiedere l’intervento dei medici.
Prova, questa, che si rendeva necessaria per superare le mancate annotazioni sulla cartella clinica (con la valenza dimostrativa da essa innanzi rilevata) e che avrebbe dovuto vertere (eminentemente) su fatti storici, essendo i convenuti a ciò onerati e rimanendo nella discrezionalità del giudice di appello disporre una c.t.u. (che, peraltro, neppure risulta richiesta dagli stessi appellanti, come si può evincere dalle conclusioni riportate dalla sentenza non definitiva impugnata e come, del resto, non viene evidenziato in questa sede dai ricorrenti, nel rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 e n. 6), là dove, comunque, gli accertamenti tecnici d’ufficio erano già stati espletati nel corso del giudizio e proprio la valutazione presuntiva in essi presente, siccome sganciata da fatti storici (il monitoraggio effettivo), era stata censurata da Cass. n. 6209/2016.
Sono, quindi, prive di fondamento le restanti doglianze dei ricorrenti che prospettano errores in iudicando della Corte territoriale sotto i profili di una carente verificazione di fatti idonei a sostanziare il nesso causale tra condotta dei medici e danno patito dalla neonata e, con ciò, della correlata mancanza di un giudizio controfattuale sulla portata eziologica della condotta omissiva.
10.2.3. – Inammissibile, infine, è la censura di Generali Italia S.p.A. che lamenta omesso esame di fatto decisivo concernente l’annotazione, presente nella cartella clinica e apposta al “mattino” del *****, “e’ in incubatrice con ossigeno; non più segni di distress”.
Non solo il fatto storico (la presenza di detta annotazione in cartella clinica) è stato esaminato dal giudice di appello (cfr., tra l’altro, p. 13 della sentenza impugnata), ma, segnatamente, è il tenore stesso della doglianza che, invero, non pone in discussione l’esame del “fatto”, quanto, piuttosto, la valutazione prospettica del significato del vocabolo “mattino” ivi utilizzato (tale da doversi intendere, ad avviso della ricorrente, come riferito ad un orario precedente a quello delle ore 9: ossia le ore 6 del “cambio turno”), così da veicolare una censura non solo in contrasto con l’accertamento già operato da questa Corte in fase rescindente (cfr. sentenza n. 6209/2016 a p. 8: “… vuoto di ben sei ore nelle annotazioni della cartella clinica”), ma in ogni caso non affatto pertinente con il paradigma del vizio di cui alla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
Esame del ricorso incidentale di T.A..
11. – L’unico motivo del ricorso incidentale è infondato.
La Corte territoriale ha rigettato la domanda di danno patrimoniale svolta dalla T. affermando, anzitutto, che non era stata prodotta “documentazione alcuna a supporto dell’affermata preesistenza e poi cessazione dell’attività lavorativa” oltre che delle spese sostenute per la figlia, non essendo neppure “state formulate istanze di prova orale per ricostruire la situazione quotidiana alla quale gli oneri che dovrebbero essere risarciti si ipotizzano correlati” e, comunque, risultando “il riconoscimento del supporto del SSN quantomeno per molte delle terapie necessarie”.
La decisione si sottrae alle doglianze di parte ricorrente (ribadite nella memoria, con accentuazione delle circostanze dell’impossibilità di reperire un lavoro e del doversi far carico di tutte esigenze di vita della figlia) in quanto armonica rispetto al principio, consolidato (tra le altre, Cass., 17 ottobre 2016, n. 20889), per cui, anche ai fini della liquidazione equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c., occorre anzitutto l’allegazione e la prova, anche presuntiva, dell’esistenza di danni risarcibili (in quanto danni-conseguenza ai sensi dell’art. 1223 c.c.) e, quindi, che risulti poi obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo preciso ammontare, ciò che non esime, però, la parte interessata – per consentire al giudice il concreto esercizio di tale potere, la cui sola funzione è di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso dall’onere di dimostrare, per l’appunto, non solo l’an debeatur del diritto al risarcimento, ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui, nonostante la riconosciuta difficoltà, possa ragionevolmente disporre.
Ne’ risulta pertinente nel caso in esame l’evocazione del precedente di cui a Cass., 31 maggio 2003, n. 8827 (secondo cui le spese di cura e di assistenza affrontate dai genitori nei primi e già trascorsi anni di vita di un minore nato cerebroleso, e ridotto ad uno stato vegetativo, ben possono essere liquidate dal giudice con valutazione equitativa, essendo in re ipsa, per le stesse caratteristiche del caso, l’impossibilità ovvero la grande difficoltà – sufficiente ad integrare i presupposti di cui all’art. 1226 c.c. – per i genitori di provare nel loro preciso ammontare l’entità delle spese sostenute), giacché il giudice di appello ha escluso, ancor prima della possibilità di giungere a liquidazione equitativa, la sussistenza stessa del danno risarcibile (là dove la ricorrente deduce – p. 18 ricorso – che “un principio di prova” lo ha fornito in sede di comparsa conclusionale e, dunque, solo tardivamente).
Nondimeno, va rilevato che l’affermazione dell’esistenza di un “supporto del SSN” per l’assistenza alla figlia trova riscontro nella stessa sentenza definitiva n. 101/2019, che, nel riconoscere e liquidare, in favore della stessa figlia, il danno patrimoniale (nell’importo di Euro 311.107,80, “corrispondente agli introiti che… avrebbe potuto ricevere svolgendo una normale attività lavorativa” e volti a “far fronte alle proprie esigenze di vita anche attraverso l’ausilio, certamente necessario, di terze persone che si alternino stabilmente alla madre e alle assistenti sociali già impegnate per seguirla presso il domicilio”), ha evidenziato che ella ha diritto (oltre che all’indennità di accompagnamento) “di fruire e fruisce delle prestazioni gratuite del SSN per spese mediche e presidi, comprensive dell’assistenza domiciliare prestata 4 ore al giorno dal lunedì al venerdì”.
Esame congiunto del secondo e terzo motivo di ricorso incidentale di Generali Italia S.p.A..
12. – I motivi secondo e terzo del ricorso incidentale della Generali Italia S.p.A. sono inammissibili.
Essi vertono sul capo di sentenza che provvede alle spese di giudizio e, dunque, su un capo autonomo della decisione, la cui impugnazione – come da orientamento consolidato di questa Corte (tra le altre, Cass., 18 settembre 2006, n. 20126; Cass., 12 dicembre 2011, n. 26507; Cass., 24 febbraio 2020, n. 4845) – deve essere effettuata in via autonoma e non per mezzo di impugnazione incidentale tardiva, che e’, per tale ragione, inammissibile.
Nella specie (come anche eccepito dal B. con il controricorso, venendo comunque in evidenza un vizio processuale rilevabile d’ufficio), la sentenza n. 101/2019 della Corte di appello di Torino, che ha provveduto sulle spese, è stata notificata alle Generali Italia S.p.A. il 7 marzo 2019, mentre il ricorso autonomo, convertitosi in incidentale, è stato dalla stessa compagnia di assicurazioni spedito per la notificazione il 5 giugno 2019, dunque ben oltre il termine di 60 giorni dalla notificazione di detta sentenza, ai sensi dell’art. 325 c.p.c..
Conclusioni.
13. – Vanno, dunque, rigettati tutti i ricorsi, principale ed incidentali, con compensazione integrale delle spese del giudizio di legittimità tra tutte le parti in ragione della reciproca soccombenza.
P.Q.M.
rigetta tutti i ricorsi, principale e incidentali, e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, il 16 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021