Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.21536 del 27/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20874/2020 R.G. proposto da:

E.P., rappresentata e difesa dall’Avv. Virgilio Di Lonardo, con domicilio eletto in Roma, via S. Tommaso d’Aquino, n. 83, presso lo studio dell’Avv. Filomena Mossucca;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Potenza depositato il 20 maggio 2020.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 15 luglio 2021 dal Consigliere Guido Mercolino.

RILEVATO

che E.P., cittadina della Nigeria, ha proposto ricorso per cassazione, per tre motivi, avverso il decreto del 20 maggio 2020, con cui il Tribunale di Potenza ha rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari da lei proposta;

che il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.

CONSIDERATO

che:

e’ inammissibile la costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, dal momento che nel procedimento in Camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione il concorso delle parti alla fase decisoria deve realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e depositato (cfr. 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835);

l’infondatezza delle censure proposte dalla ricorrente, giustificando il rigetto del ricorso, conformemente alla proposta del Relatore ed in applicazione del criterio della ragione più liquida, esclude la necessità di soffermarsi, in questa sede, sulla questione concernente l’invalidità della procura ad litem per mancanza di certificazione della data di rilascio, risolta in senso affermativo da una recente pronuncia di questa Corte (cfr. Cass., Sez. Un., 1/06/ 2021, n. 15177), seguita dalla rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, comma 13, introdotto dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 6, comma 1, lett. g), convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46 (cfr. Cass., Sez. III, 23/06/2021, n. 17970);

con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità del decreto impugnato per inesistenza della motivazione, rilevando che la stessa costituisce la mera riproduzione di passi di altri provvedimenti o documenti (cd. copia/incolla), risultando pertanto logicamente incomprensibile, inconferente ed incoerente sotto il profilo della collocazione argomentativa;

il motivo è inammissibile, per difetto di specificità, non recando l’indicazione delle questioni in ordine alle quali il Tribunale avrebbe motivato le proprie statuizioni mediante il richiamo di altri atti o documenti né delle ragioni per cui i passi dagli stessi estratti e pedissequamente trascritti nel decreto impugnato dovrebbero considerarsi non pertinenti alle questioni affrontate, contrastanti tra loro o comunque inidonei a consentire, nel loro complesso, la ricostruzione del percorso logico-giuridico seguito per giungere alla decisione (cfr. Cass., Sez. Un., 20/03/2017, n. 7074);

una sentenza non può infatti considerarsi nulla per il solo fatto che la motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari, senza nulla aggiungervi, a condizione che le ragioni della decisione siano in ogni caso attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, non risultando tale tecnica redazionale di per sé contrastante con le disposizioni che disciplinano i provvedimenti giudiziari, le quali non richiedono l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive (cfr. Cass., 16/01/2015, n. 642; Cass., Sez. V, 31/01/2019, n. 2861; Cass., Sez. II, 23/09/2016);

con il secondo motivo la ricorrente censura il decreto impugnato per aver rigettato la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria senza verificare distintamente la configurabilità delle ipotesi di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a), b) e c);

il motivo è infondato, avendo il Tribunale preso separatamente in esame da un lato le fattispecie di cui all’art. 14, lett. a) e b), e dall’altro quella di cui alla lett. c), escludendo la configurabilità delle prime due in ragione dell’inattendibilità della vicenda personale allegata a sostegno della domanda e quella della terza in virtù del richiamo ad informazioni fornite da fonti autorevoli ed aggiornate, dalle quali ha desunto che la situazione di violenza determinata dagli attacchi dei gruppi terroristici di matrice islamica interessa aree della Nigeria diverse da quella da cui proviene la ricorrente (Edo State);

il predetto apprezzamento si pone perfettamente in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia di protezione internazionale, secondo cui la valutazione d’inattendibilità del racconto del richiedente, per la parte relativa alle vicende personali di quest’ultimo, non incide sulla verifica dei presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), dal momento che nella predetta ipotesi, a differenza di quanto accade nelle altre contemplate dalla medesima disposizione, la valutazione da svolgere ai fini dell’applicazione della misura di protezione risulta incentrata sullo accertamento officioso della situazione generale esistente nell’area di provenienza del cittadino straniero (cfr. Cass., Sez. VI, 22/09/2020, n. 19725; Cass., Sez. I, 28/07/2020, n. 16122; 29/05/2020, n. 10286);

con il terzo motivo la ricorrente censura il decreto impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver rigettato la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria sulla base delle medesime ragioni che hanno determinato il diniego delle altre forme di protezione, senza tener conto della natura residuale di tale misura, la quale avrebbe imposto di verificare la condizione di vulnerabilità di essa ricorrente sotto il profilo della possibile compromissione del diritto alla salute ed all’alimentazione, per effetto della situazione di violenza diffusa esistente nel suo Paese di origine;

il motivo è inammissibile;

a fondamento della decisione, il Tribunale ha infatti rilevato che a sostegno della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria la ricorrente aveva allegato la medesima situazione d’instabilità politico-sociale fatta valere ai fini dell’applicazione della protezione sussidiaria, escludendone l’idoneità a giustificare l’accoglimento della domanda, in quanto non sufficiente ad esporre la ricorrente al rischio di condizioni di vita tali da comportare una privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti fondamentali al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale;

nel censurare tale apprezzamento, la ricorrente lamenta l’omessa valutazione del rischio di compromissione del diritto alla salute ed all’alimentazione, senza tuttavia precisare la fase processuale e l’atto in cui lo stesso è stato allegato e le circostanze relative alla sua vicenda personale dalle quali sarebbe dovuto essere desunto il collegamento tra il predetto rischio e la situazione generale del suo Paese di origine, con la conseguenza che il motivo risulta carente di specificità;

la natura residuale ed atipica della protezione umanitaria, pur comportando che l’accertamento dei relativi presupposti debba costituire oggetto di una valutazione autonoma rispetto a quella prescritta ai fini del riconoscimento delle altre misure di protezione, ed avente ad oggetto la configurabilità di una condizione di vulnerabilità personale del richiedente, che può dipendere tanto dai medesimi fatti allegati a sostegno delle domande di applicazione delle predette misure, quanto da fatti diversi (cfr. Cass., Sez. I, 15/05/ 2019, n. 13088; 12/11/2018, n. 28990), non consente infatti di estendere tale apprezzamento a fatti non allegati dal richiedente;

anche in tema di protezione umanitaria, l’attenuazione del principio dispositivo derivante dal dovere di cooperazione istruttoria posto a carico del giudice dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, riguarda infatti esclusivamente il versante della prova, e non si estende a quello dell’allegazione dei fatti, che spetta al richiedente (cfr. Cass., Sez. I, 31/01/2019, n. 3016; Cass., Sez. VI, 29/10/2018, n. 27336), con la conseguenza che, ove la domanda trovi fondamento nell’allegazione dei medesimi fatti dedotti a sostegno della richiesta di applicazione delle misure di protezione cd. maggiori, deve considerarsi corretta una valutazione limitata a questi ultimi, mentre nel caso in cui, come nella specie, si lamenti l’omessa valutazione di fatti ulteriori, incombe al richiedente l’onere di dimostrare la tempestiva allegazione degli stessi;

il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 15 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021

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