LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20744/2015 proposto da:
***** s.r.l. in Liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, domiciliata in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Di Mauro Alberto, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Fallimento della ***** s.r.l. in liquidazione, in persona del curatore Dott.ssa C.M.C., elettivamente domiciliato in Roma, via Gregorio VII n. 474, presso lo studio dell’avvocato Orlando Guido, rappresentato e difeso dall’avvocato Audino Andrea, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
Argeco s.p.a.; T.F. Impianti s.r.l.;
– intimate –
avverso la sentenza n. 1800/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 20/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/03/2021 dal cons. ALDO ANGELO DOLMETTA.
FATTI DI CAUSA
1.- In data 20 marzo 2015, il Tribunale di Rovigo ha dichiarato l’inammissibilità della domanda di concordato preventivo presentato` dalla s.r.l. *****. Con sentenza di pari data, il Tribunale ha altresì dichiarato il fallimento della società.
La s.r.l. ***** ha proposto reclamo L. Fall., ex art. 18, avverso questi provvedimenti. La Corte di Appello di Venezia, così investita, ha respinto il reclamo con sentenza depositata il 20 luglio 2015.
2.- La Corte territoriale ha ritenuto, in particolare, che la relazione posta in essere dall’attestatore, di cui all’art. 161, comma 3, “non possiede i requisiti prescritti per legge e non risponde alle finalità che le sono proprie”.
Emerge dalla stessa attestazione – si è osservato in questa prospettiva – che “nessuna verifica sulla tenuta della contabilità aziendale (e non corretta tenuta delle scritture contabili, che è cosa ben diversa) e sulla correttezza delle rilevazioni contabili sarebbe stata eseguita dal professionista”.
Neppure l’integrazione successivamente allestita dall’attestatore, su cui si concentrava il reclamo proposto dalla società, consente – ha rilevato la pronuncia – di “avere contezza della completezza dell’accertamento compiuto dall’attestatore, delle verifiche effettuate, dei criteri utilizzati, tanto più alla luce delle discordanze con gli effettivi dati aziendali, quali verificati dal commissario giudiziale” e sostanzialmente non contestati dalla parte reclamante”.
Il controllo eseguito dall’attestatore è stato – così si è puntualizzato “alquanto superficiale” e “sbrigativo”, “non adeguato”: tra le altre cose, “neppure nella relazione integrativa sono specificati i documenti che il professionisti ha posto a fondamento della sua verifica e le metodologie di verifica adottate”. La relazione, in definitiva, “non attesta la reale situazione debitoria della società” e dunque “fornisce al:/creditori sociali informazioni non corrette”.
3.- Passando a esaminare le altre censure formulate dalla, società reclamante, la Corte veneziana ha in particolare riscontrato che la società debitrice non poteva dolersi del fatto che il tribunale non abbia concesso il termine per la presentazione di proposta e piano modificativi, che era stato appositamente richiesto.
“Occorre evidenziare” – si è notato – “che la L. Fall., art. 162, comma 1, nello stabilire che il tribunale “può” (e non “deve”) concedere il termine in questione, attribuisce al giudice un potere di natura discrezionale, il cui mancato esercizio non necessita di motivazione e non è censurabile in sede di legittimità”.
4.- Avverso questo provvedimento ha presentato ricorso la s.r.l. *****, adducendo quattro motivi di cassazione.
Ha resistito, con controricorso, il Fallimento della s.r.l..
Non hanno svolte difese nel presente grado la s.p.a. Argeco e la s.r.l. TF Impianti, creditori che ebbero a chiedere il fallimento della s.r.l. *****.
5.- Il ricorrente ha anche depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6.- I motivi di ricorso sono stati intestati nei termini che qui di seguito si riportano.
Primo motivo: “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: idoneità della relazione del Dott. V., prevista dalla L. Fall., art. 160, comma 2, a soddisfare la funzione che le è propria ossia fornire elementi di valutazione per i creditori”.
Secondo motivo: “violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 160 e 161, in ordine ai presupposti per l’ammissibilità della proposta concordataria”.
Terzo motivo: “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: mancata concessione del termine previsto dalla L. Fall., art. 162, comma 1, per integrare la proposta”.
Quarto motivo: “violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 162, comma 2, per non avere sentito il debitore”.
7.- Col primo e col secondo motivo – che vanno esaminati in modo congiunto in ragione della loro complementarietà -, il ricorrente contesta la decisione della Corte veneziana laddove questa ha ritenuto non conferme a legge la relazione (e successiva integrazione) presentata dall’attestatore.
Nessuna norma prevede – così si scrive – il “requisito del controllo sulla regolarità contabile”. Perciò, la relazione dell’attestatore soddisfa tutti requisiti prescritti dalla legge.
Va evidenziato, piuttosto, che la Corte veneziana ha “confuso” debiti personali del signor L.L. e debiti della s.r.l. L.L.: in realtà, se è vero che sul capannone di proprietà della società risulta iscritta un’ipoteca a favore di una banca, è vero pure che il relativo debito grava sulla persona fisica. “Perciò, il professionista correttamente non l’ha indicata (i.e.: l’iscrizione ipotecaria) tra i debiti della società proprio perché non è un debito della società”.
D’altro canto – si insiste -, la Corte di Venezia non ha tenuto in alcun conto delle integrazioni apportate dall’attestatore alla “prima relazione”: “le censure mosse dalla Corte di Appello di Venezia nella prima parte della sentenza (pp. da 8 a 10) non sono che un copia e incolla di quanto dichiarato dal Tribunale di Rovigo”.
“Non solo la relazione del professionista attesta la veridicità dei dati aziendali” – si conclude -, “ma anche la fattibilità del piano”.
8.- Il primo e il secondo motivo di ricorso non meritano di essere accolti.
9.- Al riguardo, va prima di tutto rilevato come la giurisprudenza di questa Corte abbia chiarito che “in tema di concordato preventivo, nel valutare l’ammissibilità della domanda il tribunale, se non può controllare direttamente la regolarità e attendibilità delle scritture contabili del proponente”, ben può, invece, “svolgere un sindacato sulla corretta predisposizione dell’attestazione dell’aspetto designato ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 2, in termini di completezza dei dati aziendali e comprensibilità dei criteri di giudizio adottati, rientrando tale attività nelle verifica della regolarità della procedura indispensabile per garantire la corretta formazione del consenso dei creditori”.
Il giudice del merito ben può, in altri termini, effettuare una “penetrante verifica dell’adeguatezza dell’informazione che viene fornita ai creditori”: così perseguendo, in particolare, lo scopo di consentire a questi ultimi una decisione realmente consapevole sulla proposta formulata dal debitore (cfr., tra le altre, le pronunce di Cass., 26 febbraio 2019, n. 5653; Cass., 28 marzo 2017, n. 7579; Cass., 9 maggio 2013, n. 11014).
10.- Sicuramente non condivisibile – va rilevato adesso, con osservazione di maggior dettaglio – è poi l’addebito che il ricorrente muove alla Corte veneziana di avere confuso i debiti della persona fisica con quelli della società.
In realtà, la pronuncia della Corte veneziana fa chiaro e unico riferimento all’ipoteca che grava sull’immobile della società, pure correttamente sottolineando essere “pacifico che le ipoteche “seguono” i beni su cui sono iscritte”. Ne’, per altro verso, risulta indagata, nella prospettiva sostanzialmente fatta pro dal motivo di ricorso, la rispondenza patrimoniale di L.L., in relazione al credito di regresso che la società vanterebbe nei confronti di questi, una volta deprivata dalla titolarità dell’immobile.
11.- Al di là della constatazione che, in sé e per sé, non costituisce ragione di vizio l’eventuale riproduzione nella sentenza che decide l’impugnazione dei contenuti manifestati dalla sentenza del primo grado, va pure osservato che, in realtà, la pronuncia della Corte veneziana ha ben preso in considerazione, nonostante la diversa opinione del ricorrente, la relazione integrativa allestita dall’attestatore (cfr., le pp. 8, 9, e 10 della sentenza, nonché sopra, nel n. 2).
D’altro canto, va pure messo in risalto che la sentenza poggia il proprio convincimento anche su altre circostanze, diverse da quelle su cui si ferma il ricorrente: quale, tra le altre, quella relativa al debito verso la s.p.a. AF Petroli.
12.- Il terzo motivo di ricorso contesta la decisione della Corte veneziana, là dove questa, “in maniera sbrigativa e con mere clausole di stile”, ha “dichiarato che il giudice di prime cure poteva, e non doveva, concedere il termine L. Fall., ex art. 162, comma 1”: la soluzione è “ingiusta”.
13.- Il motivo non merita di essere accolto.
La decisione della Corte territoriale è conforme a quella adottata dalla giurisprudenza di questa Corte. SI confrontino, in particolare, le pronunce di Cass., 4 giugno 2014, n. 12549; Cass., 23 maggio 2014, n. 11496; Cass., 25 settembre 2013, n. 21901.
14.- Il quarto motivo di ricorso censura la sentenza della Corte veneziana “per non avere rilevato che il tribunale non ha sentitolo il debitore in camera di consiglio, con palese e grave violazione del diritto di difesa”.
15.- Il motivo è inammissibile.
In effetti, lo stesso non indica – come pure avrebbe dovuto, per rispettare il necessario requisito dell’autosufficienza ex art. 366 c.p.c. – gli atti e i termini in cui avrebbe sollevato l’assunto vizio nel giudizio di reclamo.
16.- In conclusione, il ricorso, dev’essere respinto.
Le spese seguono la regola della soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 7.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021