Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.21559 del 27/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio P. – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15851/2015 proposto da:

Comune di Crespiatica, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Prevesa n. 11, presso lo studio dell’avvocato Sigillò Antonio, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Andena Carlo, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.S.F., B.F.A., V.A.L., V.L.M., V.M., elettivamente domiciliati in Roma, Viale Liegi n. 35 B, presso lo studio dell’avvocato Di Paolo Gabriele, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Soncini Stefano, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

Comune di Crespiatica, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Prevesa n. 11, presso lo studio dell’avvocato Sigillò Antonio, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Andena Carlo, giusta procura a margine del ricorso principale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

contro

G.F.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4607/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 19/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/04/2021 dal cons. VALITUTTI ANTONIO.

FATTI DI CAUSA

1. Il Comune di Crespiatica, con delibera della Giunta Comunale n. 24 del 31 marzo 2008, approvava il progetto definitivo relativo alla realizzazione di una palestra scolastica. Con decreto del 3 marzo 2009, n. 5, l’Amministrazione comunale espropriava le aree necessarie all’edificazione dell’opera pubblica, appartenenti – in comunione pro indiviso, e per quote diverse – a B.F.A., B.S.F., V.A.L., V.L.M., V.M. e G.F..

Tali aree – espropriate per una superficie complessiva di mq. 5.588,90 – erano censite nel catasto terreni al foglio *****, mappali, *****, aventi, nel Piano Regolatore Generale (PRG), la seguente destinazione: i mappali ***** e parte del *****, per complessivi mq. 4.369,50, a “Zone di interesse pubblico – Zona S – attrezzature scolastiche pubbliche” (art. 36 delle Norme Tecniche di Attuazione, NTA); il mappate *****, nella restante parte, per mq. 1.219,40, “Zona B di rispetto stradale” (art. 34 delle Norme tecniche di Attuazione).

1.1. L’indennità provvisoria di esproprio, liquidata dal Comune nella somma di Euro 89.869,52, non veniva accettata dagli espropriati, per cui il Comune ne rimetteva la determinazione alla Commissione Provinciale Espropri di Lodi, la quale – con comunicazione dell’11 marzo 2010 – indicava un valore di Euro 16,08 al mq., per l’area che ricadeva all’interno della zona di rispetto stradale, e di Euro 45,00 al mq. per la zona a standard per la realizzazione di attrezzature scolastiche pubbliche.

1.2. Avverso la stima proponevano separate opposizioni ai sensi del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 54, dinanzi alla Corte d’appello di Milano, il Comune di Crespiatica e G.F., iscritte rispettivamente a ruolo ai nn. 1719/2010 e 2088/2010, chiedendo che venisse determinata la giusta indennità di esproprio. Nel primo giudizio si costituivano i V. ed i B., chiedendo in via riconvenzionale, che la Corte determinasse anche l’indennità dovuta dall’ente pubblico espropriante a causa della reiterazione del vincolo espropriativo.

2. Con sentenza non definitiva n. 1607/2012, del 18/04/2012, la Corte d’appello – previa riunione delle opposizioni – accoglieva la domanda del Comune in ordine alla questione preliminare relativa all’asserita inedificabilità delle aree oggetto di espropriazione e la loro destinazione ad edilizia scolastica, e respingeva la domanda riconvenzionale di riconoscimento dell’indennità per la reiterazione del vincolo espropriativo, rilevando che la destinazione a standard di un’area ad edilizia scolastica non dava luogo ad un vincolo espropriativo, bensì ad un vincolo di tipo conformativo. Tale pronuncia non veniva impugnata da nessuna delle parti.

Quindi, disposta c.t.u., con sentenza definitiva n. 4607/2014, depositata il 19 dicembre 2014, la Corte d’appello di Milano, in parziale accoglimento della domanda proposta dai proprietari dei fondi espropriati, determinava in Euro 182.300,00 – riconoscendo un valore di Euro 8,41 al mq., per la zona ricadente nella fascia di rispetto stradale, ed un valore di Euro 39,38 al mq., per la zona ricadente nella fascia di interesse pubblico, riservata ad attrezzature scolastiche – l’indennità definitiva per l’espropriazione dei suoli per cui è causa, oltre interessi legali dalla data del decreto di esproprio al soddisfo.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha, quindi, proposto ricorso il Comune di Crespiatica nei confronti di B.F.A., B.S.F., V.A.L., V.L.M., V.M. e G.F., sulla base di due motivi, illustrati con memoria. I resistenti hanno replicato con controricorso, contenente, altresì ricorso incidentale – espressamente dichiarato condizionato (pp. 24 e 27), affidato a due motivi, illustrati con memora. G.F. non ha svolto attività difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i due motivi di ricorso – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – il Comune di Crespiatica denuncia la falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 37, comma 3 e 40, L.R. della Lombardia n. 12 del 2005, art. 46, comma 2, e art. 324 c.p.c., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

1.1. Si duole il ricorrente del fatto che la Corte d’appello recependo in toto le risultanze della disposta c.t.u. – abbia, con riferimento all’area destinata a standard per la realizzazione di attrezzature scolastiche pubbliche, riconosciuto una “vocazione edificatoria del lotto”, distinguendolo dalle aree “inedificabili” e da quelle “agricole”, ed operandone la stima, non già sulla base del suo valore intrinseco, bensì sulla base del supposto interesse di “potenziali acquirenti nel libero mercato”, individuati “negli operatori immobiliari che intendono acquisire aree da cedere al Comune nell’ambito di interventi edilizio/urbanistici, le cd aree di cessione”. Tale assunto violerebbe, peraltro, ad avviso dell’istante, il giudicato formatosi, in punto inedificabilità del suolo in questione, per effetto della sentenza non definitiva n. 1607/2012 – non gravata da nessuna delle parti, neppure con riserva facoltativa di ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 361 c.p.c. – che ha accertato l’inedificabilità dell’area e la sua destinazione ad edilizia scolastica.

Per pervenire a tale infondata conclusione, invero, la Corte sulla scorta della c.t.u. – avrebbe erroneamente interpretato l’art. 36 delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA) del Piano Regolatore Comunale (PRG), che consente l’affidamento ai privati della realizzazione delle attrezzature pubbliche solo mediante concessione, da parte del Comune, di un “diritto di superficie” sulle relative aree, mediante stipula di appositi convenzione. Sicché, in ogni caso, quand’anche l’opera pubblica fosse, in ipotesi, realizzabile da privati – cosa che, nella specie, non sarebbe possibile – “l’intervento sarebbe attivato dall’Amministrazione comunale tramite la cessione del diritto di superficie e mai e poi mai lasciato alla libera iniziativa dei privati operanti sul mercato” (pp. 19 e 21).

1.2. La sentenza impugnata avrebbe, per contro, stimato l’indennizzo adoperando come parametro “il valore di monetizzazione”, ovverosia la compensazione economica che le Amministrazioni ricevono dal privato “che lottizza un’area edificabile, in luogo della cessione di porzioni dell’area collocata all’interno del perimetro del Piano di Lottizzazione, per consentire la realizzazione degli standard, il cui bisogno è generato dalla lottizzazione stessa”. In altri termini, la Corte d’appello – seguendo l’erronea impostazione della c.t.u., avrebbe “trattato l’area espropriata come se fosse edificabile e destinata ad una lottizzazione”, criterio certamente non utilizzabile nel caso di specie, attesa l’accertata non edificabilità dell’area.

La Corte territoriale avrebbe dovuto considerare, al riguardo, il disposto della L.R. della Lombardia n. 12 del 2005, art. 46, laddove prevede che la acquisizione delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione e per la realizzazione delle strutture pubbliche e di interesse pubblico, possa avvenire, in alternativa alla cessione gratuita (ove ritenuta non possibile o non conveniente), mediante la corresponsione al Comune di una somma commisurata all’utilità che il privato trae dalla mancata cessione. In altri termini, la “monetizzazione” esprimerebbe il compenso attribuito all’ente per la maggiore utilità che “il privato autore di una lottizzazione” di un’area residenziale, che potrà utilizzare integralmente per i propri fini speculativi, trae dall’utilizzazione dell’intera superficie edificabile, anziché da quella parte che residuerebbe dopo la cessione delle aree per le infrastrutture necessitate dalla trasformazione edilizia attuata (pp. 22 e 23). Siffatto criterio sarebbe, pertanto, fuori luogo nel caso di specie, trattandosi di area non edificabile in concreto.

1.3. Ne’ gioverebbe alla determinazione del valore dell’aera in discussione come area edificabile, la considerazione che la succitata norma preveda che il ricavato della monetizzazione debba essere destinato per acquisire le aree da adibire a standard per finalità pubblicistiche, giacché ciò non implica che “che il valore di un’area standard sia eguale al valore di monetizzazione di un’area edificabile”, ma si limita ad individuare esclusivamente “una destinazione di scopo del ricavato della monetizzazione”.

1.4. In realtà, ad avviso del ricorrente, nessuna “utilizzazione intermedia” del terreno potrebbe ammettersi, nella specie, tra la destinazione agricola e quella edificatoria, “che non siano quelle di esclusiva prerogativa pubblica, essendo le utilizzazioni diverse da quelle agricole possibili – secondo le statuizioni rese in materia da questa Corte di legittimità – solo in conformità agli strumenti di pianificazione urbanistica che, nel caso concreto, riservano l’intera area in discussione a destinazione scolastica pubblica. D’altro canto, i proprietari espropriati non avrebbero in alcun modo dimostrato una diversa, concreta, destinazione compatibile con l’accertata natura non edificatoria del suolo in discussione. Sicché, in mancanza di elementi di prova di segno contrario, il valore di indennizzo non potrebbe che essere – a parere del deducente – che quello “agricolo”. (p. 30).

2. Il ricorso è infondato.

2.1. E’ anzitutto da respingere la censura relativa alla violazione dell’art. 324 c.p.c., in quanto sulla questione relativa all’inedificabilità del suolo in discussione si sarebbe formato il giudicato interno. Basti rilevare al riguardo – in disparte il rilievo se un giudicato possa formarsi su di una mera questione, stante il tenore dell’art. 361 c.p.c., che fa riferimento alle “domande” – che la censura sul punto non è aderente alla ratio decidendi dell’impugnata sentenza, atteso che – contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente – la Corte d’appello, nella sentenza definitiva, non ha affatto ancorato, come in prosieguo si vedrà, la liquidazione dell’indennità alla natura edificatoria del suolo.

2.2. Entrambe le decisioni (non definitiva e definitiva) si palesano, del resto, conformi alla consolidata giurisprudenza di questa Corte. Si e’, difatti, reiteratamente affermato, in proposito, che ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio (o del risarcimento del danno da occupazione appropriativa), la destinazione di aree a edilizia scolastica, nell’ambito della pianificazione urbanistica comunale, ne determina il carattere non edificabile, avendo l’effetto di configurare un tipico vincolo conformativo, come destinazione ad un servizio che trascende le necessità di zone circoscritte ed è concepibile solo nella complessiva sistemazione del territorio, nel quadro della ripartizione zonale in base a criteri generali ed astratti. Ne’ può esserne ritenuta per altro verso l’edificabilità, sotto il profilo di una realizzabilità della destinazione ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, giacché l’edilizia scolastica è riconducibile ad un servizio strettamente pubblicistico, connesso al perseguimento di un fine proprio ed istituzionale dello Stato, su cui non interferisce la parità assicurata all’insegnamento privato (cfr. ex plurimis, Cass., 8/03/2018, n. 5557; Cass., 13/03/2017, n. 5388; Cass., 17/05/2015, n. 10085; Cass., 9/8/2012, n. 14347; Cass., 26/05/2010, n. 12862).

Per una parte del suolo espropriato, la natura non edificabile deriva peraltro, nel caso concreto, dalla sua destinazione a “Zona B di rispetto stradale”, per il quale è previsto un vincolo di inedificabilità assoluta, a norma dell’art. 34 delle Norme tecniche di Attuazione del PRG del Comune di Crespiatica.

2.3. Orbene, una volta esclusa la natura edificatoria dei suoli in discussione, il problema si sposta sul criterio che deve essere adottato ai fini della liquidazione dell’indennità di espropriazione.

2.3.1. I controricorrenti richiamano, sul punto, una decisione di questa Corte, secondo la quale la destinazione di aree ad edilizia scolastica, configurandosi come imposizione di un vincolo conformativo, ne determina il carattere non edificabile, ma, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 181 del 2011, che ha dichiarato l’illegittimità del criterio indennitario del valore agricolo medio previsto dal D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 40, commi 2 e 3, è applicabile il criterio generale dell’indennizzo pari al valore venale del bene, la L. n. 2248 del 1865, ex art. 39, che impone di tenere conto delle obbiettive e intrinseche caratteristiche e attitudini dell’area in relazione alle utilizzazioni ulteriori e diverse da quelle agricole, intermedie tra le stesse e quelle edificatorie. Ed, in tal senso, si menziona la possibilità di realizzare sulla stessa parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti, purché, tuttavia, consentite dalla normativa vigente e conformi agli strumenti di pianificazione urbanistica, previe le opportune autorizzazioni amministrative. Incombe, peraltro, sugli espropriati, che chiedano una stima diversa da quale ancorabile al valore agricolo, di dimostrare che, nel caso concreto, vi siano “obbiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini dell’area in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio”, e non vietate dalla normativa vigente, che consentano di utilizzare criteri di liquidazione dell’indennità di esproprio che permettano di tenere conto della natura del bene, non edificabile, ma neppure utilizzabile solo per uso agricolo (Cass., 28/05/2012, n. 8442).

2.3.2. Nello stesso senso si è espressa la successiva giurisprudenza di questa Corte, essendosi ribadito che, in tema di determinazione dell’indennità di espropriazione di terreni non edificabili, in caso di contestazione da parte dell’espropriato, la stima deve essere effettuata applicando il criterio generale del valore venale pieno, ma l’interessato può dimostrare che il fondo è suscettibile di uno sfruttamento ulteriore e diverso rispetto a quello agricolo, pur senza raggiungere il livello dell’edificatorietà, e che, quindi, possiede una valutazione di mercato che rispecchia possibilità di utilizzazione, assentite dallo strumento urbanistico, intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (come, ad esempio, parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti), sempre che tali possibilità siano assentite dalla normativa vigente, sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative (Cass., 06/03/2019, n. 6527), La pronuncia ha accertato che, nel caso di specie, era stato allegato, da parte dei ricorrenti, che, in relazione una parte del suolo espropriato, lo strumento urbanistico consentiva la realizzazione delle opere suindicate.

2.3.3. In materia sono, infine, intervenute le Sezioni Unite, secondo le quali, in relazione a terreni agricoli, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale del criterio del valore agricolo medio (VAM), la stima dell’indennità deve essere effettuata in base al criterio del valore venale pieno, con la possibilità di dimostrare che il fondo, pur senza raggiungere il livello dell’edificatorietà, sia suscettibile di uno sfruttamento ulteriore e diverso rispetto a quello agricolo, tale da attribuire allo stesso una valutazione di mercato che rispecchi possibilità di utilizzazione intermedie tra quella agricola e quella edificatoria. Anche in questa ipotesi la Corte ha rilevato che vi era stata l’occupazione di un’area nella quale il piano urbanistico consentiva di realizzare attrezzature sportive, campi da gioco ed attrezzature varie (Cass. Sez. U., 19/03/2020, n. 7454).

2.3.4. Tanto premesso in via di principio, va rilevato che, nel caso di specie, la Corte d’appello, accogliendo in parte la domanda dei proprietari dei fondi ablati, con riferimento alla zona S-attrezzature pubbliche, ha accertato che gli artt. 36 e 37 delle NTA consentivano al Comune di affidare a soggetti privati la realizzazione di tali attrezzature, mediante concessione – a mezzo di apposita convenzione – del diritto di superficie su tali aree, in modo che la proprietà delle stesse restava all’ente pubblico, “purché ne venisse garantito l’uso pubblico”. La Corte ha, quindi, espressamente affermato che la stima operata – sulla scorta della c.t.u. – non ha “in alcun modo fatto riferimento ad un effettivo o potenziale valore edificabile del bene ablato”, essendo stata commisurata alla natura dei fondi costituenti aree standard “dotate di un autonomo valore economico”, determinato dal loro valore di mercato come “aree di cessione”, assumendo come mero criterio parametrico – in assenza di un’espressa previsione normativa che imponesse o vietasse siffatto criterio – il prezzo di monetizzazione delle aree standard stabilito per i piani di lottizzazione, e che l’Amministrazione riceve dai privati quando non è stata posta in essere la cessione delle aree necessarie per la realizzazione degli standard imposti dalla realizzazione edilizia.

Orbene, in tema di espropriazione per pubblica utilità, ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio, dovendosi fare riferimento ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, esclusivamente al prezzo di mercato del bene espropriato, sia per i suoli edificabili che per quelli inedificabili, il metodo sintetico-comparativo è quello che meglio di ogni altro risponde alla perseguita finalità di accertamento del “giusto prezzo in una libera contrattazione di compravendita”, poiché si basa sull’effettiva realtà del mercato per immobili di caratteristiche identiche o similari alla data di riferimento, venendone il valore desunto da dati economici concreti, a prescindere dalla sua condizione giuridica (Cass., 09/05/2018, n. 11196). IL criterio adottato dalla Corte d’appello deve ritenersi, pertanto, corretto.

3 Per tutte le ragioni esposte, il ricorso principale va pertanto rigettato, con condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio. Resta assorbito il ricorso incidentale condizionato proposto dai resistenti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato proposto dai resistenti. Condanna il ricorrente, in favore dei controricorrenti, alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021

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