Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.21561 del 27/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio L. – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16545/2015 proposto da:

B.M.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Muggia n. 33, presso lo studio dell’avvocato Cosco Giuseppe, rappresentato e difeso dall’avvocato Spadafora Giuseppe, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Anas S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

nonché contro CO.MERI S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Via Cosseria n. 2, presso lo Studio Placidi, rappresentata e difesa dagli avvocati Cerisano Gianni, Cerisano Mara Assunta, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 553/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 28/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/04/2021 dal cons. VALITUTTI ANTONIO.

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 24 e 25 marzo 2015, B.M.M. conveniva in giudizio, dinanzi alla Corte d’appello di Catanzaro, Anas s.p.a. e CO.MERI s.p.a., quale delegata di Anas, premettendo di essere proprietario di alcuni terreni ubicati nel Comune di Catanzaro, censiti in catasto al foglio *****, particelle nn. *****, tutti oggetto di un provvedimento di occupazione d’urgenza finalizzata all’esproprio, per una superficie complessiva di mq. 69.368, emesso in data 2 febbraio 2007, ai sensi del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 22-bis. Deduceva l’istante che, con successivo provvedimento del 14 gennaio 2010, ritenuto di non procedere all’espropriazione, la CO.MERI s.p.a. comunicava la data del sopralluogo per la restituzione dei beni che avveniva il 3 marzo 2010. In conseguenza di tali fatti, il B.M. chiedeva, pertanto, la condanna dei convenuti, in solido, al pagamento dell’indennità di occupazione legittima, in conformità alla natura edificatoria dei suoli, come da certificato di destinazione urbanistica, prodotto agli atti del giudizio.

2. Con sentenza n. 553/2015, depositata il 28 aprile 2015, la Corte d’appello accoglieva parzialmente la domanda dell’attore ed – esclusa la natura edificatoria dei terreni oggetto di occupazione, che reputava, invece, di natura agricola – liquidava l’indennità nella misura di Euro 15.463,67, ordinandone, ad ANAS s.p.a. ed a CO.MERI s.p.a., il deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti di Catanzaro, in favore dell’avente diritto.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha, quindi, proposto ricorso B.M.M. nei confronti di Anas s.p.a. e di CO.MERI s.p.a., affidato a cinque motivi, illustrati con memoria. I resistenti hanno replicato con controricorso, contenente, altresì, il controricorso di CO.MERI s.p.a., ricorso incidentale affidato ad un solo motivo.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va esaminato, in via pregiudiziale, il ricorso incidentale proposto da CO.MERI s.p.a., con il quale la ricorrente, denuncia la violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 50, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. L’istante censura la sentenza della Corte d’appello nella parte in cui ha disatteso l’istanza di inammissibilità della domanda il che avrebbe assorbito, com’e’ evidente, l’esame del merito proposta dal B.M., per difetto della condizione di proponibilità prevista dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 50. Tale condizione sarebbe costituita, invero, dal previo ricorso, da parte del proprietario, che non sia d’accordo sulla determinazione dell’indennità effettuata dall’ente occupante, alla Commissione provinciale che provvede alla relativa liquidazione, notificandola all’interessato. Solo contro la determinazione della Commissione provinciale, a norma della disposizione succitata, è quindi proponibile dal proprietario opposizione alla stima.

1.2. Nel caso di specie, non avendo il B.M. accettato l’indennità di occupazione, e non avendo il medesimo mai proposto istanza di determinazione della stessa alla Commissione provinciale, la Corte d’appello – che può essere adita soltanto dopo la stima della Commissione – avrebbe dovuto dichiarare inammissibile la domanda proposta in giudizio dall’odierno ricorrente.

1.3. Il mezzo è infondato.

1.3.1. Va rilevato che, ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, comma 1, art. 49, la cui rubrica recita “L’occupazione temporanea di aree non soggette ad esproprio”, “1. L’autorità espropriante può disporre l’occupazione temporanea di aree non soggette al procedimento espropriativo anche individuate ai sensi dell’art. 12, se ciò risulti necessario per la corretta esecuzione dei lavori previsti. A norma del successivo art. 50, poi, “1. Nel caso di occupazione di un’area, è dovuta al proprietario una indennità per ogni anno pari ad un dodicesimo di quanto sarebbe dovuto nel caso di esproprio dell’area e, per ogni mese o frazione di mese, una indennità pari ad un dodicesimo di quella annua. 2. Se manca l’accordo, su istanza di chi vi abbia interesse la commissione provinciale prevista dall’art. 41 determina l’indennità e ne dà comunicazione al proprietario, con atto notificato con le forme degli atti processuali civili.

3. Contro la determinazione della commissione, è proponibile l’opposizione alla stima. Si applicano le disposizioni dell’art. 54 in quanto compatibili”.

1.3.2. Ebbene – come può desumersi sia dalla rubrica che dal testo dell’art. 49 succitato – l’occupazione regolata dagli artt. 49 e 50 del D.P.R., come ha esattamente ritenuto la Corte territoriale, non è finalizzata all’espropriazione del bene, alla quale era, per contro preordinata – come dedotto dallo stesso ricorrente (p. 2) l’occupazione disposta dall’Amministrazione nel caso concreto.

Tale occupazione e’, pertanto, riconducibile al disposto del D.P.R. n. 527 del 2001, art. 22 bis, che, a differenza della disposizione dell’art. 50, non prevede affatto che il proprietario del suolo occupato debba promuovere la liquidazione dell’indennità da parte della Commissione provinciale, e poi impugnare tale stima dinanzi all’autorità giudiziaria, ma si limita a prevedere la facoltà per il proprietario medesimo, nei trenta giorni successivi all’immissione in possesso, di “presentare osservazioni scritte e depositare documenti”. L’unico rinvio che la norma in esame opera all’art. 50 dello stesso decreto attiene, invero, alla sola determinazione dell’indennità di occupazione, “da computarsi ai sensi dell’art. 50, comma 1”, mentre nessun riferimento agli altri due commi – che prevedono l’istanza alla Commissione provinciale e l’impugnazione della stima da questa effettuata – è operato, invece, dell’art. 22 bis.

1.3.3. Al riguardo, questa Corte ha, di conseguenza, precisato che “in rapporto sia al provvedimento di esproprio, sia ai provvedimenti previsti dagli artt. 22 bis e 43 T.U., l’occupazione temporanea di cui agli artt. 49 e 50 T.U., ha una sua precisa autonomia ontologica e funzionale, individuabile (specialmente se si esclude l’ipotesi di cui al comma 5, dell’art. 49 T.U.) nella sua funzione esclusivamente strumentale rispetto ai lavori previsti ed all’opera, a cui è finalizzato l’esproprio, ma anche nella recisione di ogni collegamento normativo funzionale rispetto alla vicenda espropriativa ed alla stessa occupazione d’urgenza preordinata all’espropriazione (art. 22 bis T.U.). L’apprensione del bene occupato a norma dell’art. 49 T.U. tende non all’espropriazione della proprietà, ma a soddisfare un’esigenza temporanea, non funzionale all’opera, ma alla sua esecuzione” (Cass., 09/02/2011, n. 3167).

Essendo, invece, come dianzi detto, l’occupazione disposta nel caso di specie preordinata all’espropriazione, è evidente che il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 50, e commi 2 e 3, non può ritenersi applicabile.

1.4. Il ricorso incidentale deve essere, di conseguenza, rigettato.

2. Passando, quindi, all’esame del ricorso principale, va rilevato che con i cinque motivi di ricorso – che, per la loro evidente connessione vanno esaminati congiuntamente – B.M.M. denuncia, sotto diversi profili, la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, nonché delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Regolatore Generale del Comune di Catanzaro, e del certificato di destinazione urbanistica acquisito agli atti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.1. Deduce il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto di attribuire natura agricola al terreno occupato, in relazione alle particelle di cui al foglio n. *****, nn. *****, per mq. 9160, *****, per mq. 28.0260,00, poiché ricompreso nella perimetrazione di un'”area instabile” sottratta all’edificazione. In particolare i terreni, ad avviso della censurata sentenza, sarebbero ubicati “nella perimetrazione di un’area instabile sottratta all’edificazione oltre che sottoposta agli altri vincoli risultanti da tali certificati”. Si tratterebbe, tuttavia, a parere dell’istante di vincoli ambientale, idrogeologico, nonché di rispetto del perimetro di protezione dei corsi d’acqua, che non costituirebbero “vincoli assoluti”, e che, pertanto, non sarebbero tali da costituire un impedimento all’edificabilità dei suoli, ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 4.

Avrebbe, peraltro, errato la Corte anche nel ritenere non raggiunto il lotto minimo per gli interventi di nuova formazione nella zona territoriale omogenea F3.

2.2. Le censure sono infondate.

2.2.1. La Corte d’appello ha accertato che è ben vero che le particelle in discussione, nn. 280 e 282 secondo le NTA del PRG del Comune di Catanzaro, approvato l’8 novembre 2002, sono in massima parte ricomprese nella Zona territoriale omogenea F 3, per la quale le opere realizzabili “possono essere eseguite sia ad iniziativa pubblica che privata, con conseguente possibilità di considerare eventualmente l’area di natura edificatoria”. E tuttavia, dai certificati di destinazione urbanistica del 29 gennaio 2009 e del 2 agosto 2012, nonché dagli accertamenti effettuati dal nominato c.t.u., è emerso che gli immobili in questione sono sottoposti a diversi vincoli che li rendono assolutamente inedificabili.

In particolare le particelle in questione sono: a) ricomprese nella perimetrazione di un'”area instabile”, sottratta all’edificazione, ai sensi dei punti 1/A E 1/C del parere del Settore Geologico Regionale del 15 febbraio 2000; b) ricomprese nella perimetrazione di un’area soggetta al vincolo di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 142, comma 1, lett. c), ossia al vincolo ambientale che impone la distanza di 150 metri dal fiume; c) ricomprese in parte in un’area soggetta al vincolo di cui al R.D. 26 luglio 1904, n. 523, art. 96, lett. f) che prevede un vincolo inibitorio, ossia la distanza di 10 metri dagli argini del fiume; d) interessate alla perimetrazione di un’area classificata come area di attenzione dal Piano di assetto idrogeologico, concernente le aree a rischio idraulico, adottato dall’Autorità di Bacino Regionale ed approvato con delibera del Consiglio regionale n. 113 del 23 dicembre 2001.

2.2.2. Da tali premesse in fatto discende, sul piano del diritto, che – contrariamente all’assunto del ricorrente – le particelle in questione non possono in alcun modo considerarsi edificatorie, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, ad onta del loro inserimento, nelle NTA del PRG, tra le zone di natura edificatoria, essendo le aree sottoposte a vincoli di “inedificabilità assoluta”, a norma del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 4.

2.2.2.1. Ed invero, il vincolo di inedificabilità di tipo paesistico, che rivela una qualità insita nel bene, sì che la proprietà su di esso è da intendere limitata fin dall’origine, è da considerare “vincolo conformativo”, non soggetto a decadenza (Corte Cost. nn. 55 e 56 del 1968), che incide sul valore del bene in sede di determinazione dell’indennizzo per un’eventuale espropriazione (o occupazione), tanto da rendere irrilevante, sempre ai fini della valutazione del bene, il regime imposto su di esso dalla disciplina urbanistica, che comunque è tenuta ad uniformarsi alla pianificazione paesistica (Corte Cost., n. 327 del 1990). Dette situazioni limitative sono inerenti alla natura dei beni, e possono derivare da previsioni di legge, per via della ubicazione degli stessi, come accade per la loro vicinanza ai corsi d’acqua ed alle relative sponde (Cass., 07/02/2006, n. 2611; Cass., 16/03/2012, n. 4271).

Di più, in tema di espropriazione per pubblica utilità, ed ai fini indennitari, l’accertata esistenza di un vincolo connesso – come nel caso di specie – alla stabilità idrogeologica del terreno espropriato è idonea a far classificare il medesimo come non edificabile, rientrando tra le limitazioni legali della proprietà fissate in via generale, con la conseguente incidenza negativa sul valore di mercato dei beni coinvolti, divenuti legalmente inedificabili, e quindi sul calcolo dell’indennità di espropriazione e di occupazione (Cass., 13/06/2014, n. 13521).

2.2.2.2. Di particolare rilievo, ai fini del riscontro della inedificabilità del bene si palesa, inoltre, il menzionato vincolo previsto dal R.D. n. 523 del 1904, art. 96. Al riguardo, questa Corte ha, invero, affermato che, in materia di distanze delle costruzioni dagli argini, i divieti di edificazione stabiliti dal R.D. 25 luglio 1904, n. 523, art. 96, sono informati alla ragione pubblicistica di assicurare non solo la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche (e soprattutto) il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici. Sicché tale vincolo di inedificabilità, per le preminenti ed inderogabili ragioni di interesse pubblico che ne costituiscono la ratio, deve essere considerato assoluto (Cass., 30/07/2009, n. 17784).

2.3. Per tali ragioni, dunque, anche il ricorso principale non può essere accolto.

3. Concorrono giusti motivi, tenuto conto della reciproca soccombenza, per dichiarare compensate fra il ricorrente principale ( B.M.) e quello incidentale (CO.MERI) le spese del presente giudizio. Entrambi i ricorrenti sono tenuti al pagamento delle spese sostenute da ANAS.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Dichiara compensate fra il ricorrente principale e quello incidentale le spese del presente giudizio. Condanna entrambi al pagamento delle spese sostenute da ANAS, che liquida in Euro 7.000,00, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021

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