Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.21569 del 27/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15566-2020 proposto da:

E.F., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato Elisabetta Costa;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato per legge in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– intimato –

avverso il decreto N. CRONOL. 2751/2020 del TRIBUNALE DI VENEZIA, SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE, PROTEZIONE INTERNAZIONALE E LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI DELL’UNIONE EUROPEA, depositato il 05/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 15/07/2021 dal Consigliere Relatore Dott. SCALIA LAURA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. E.F., cittadino dell’Edo State, in Nigeria, ricorre con tre motivi per la cassazione del decreto in epigrafe indicato con cui il Tribunale di Venezia, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’unione Europea, pronunciando D.Lgs. n. 25 del 2008 ex art. 35, ha rigettato il ricorso dal primo proposto avverso il provvedimento con cui la competente commissione territoriale ne aveva disatteso la richiesta di protezione internazionale e di riconoscimento del diritto al rilascio di un permesso per ragioni umanitarie, nella ritenuta inattendibilità del racconto e nella apprezzata insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione.

Il richiedente aveva dichiarato di avere abbandonato il Paese di origine e di non volervi rientrare nel timore di essere perseguitato dagli appartenenti alla setta degli Ogboni i quali volevano che il richiedente, che tanto aveva rifiutato perché cristiano, entrasse a farvi parte succedendo al padre, dopo la sua morte.

Il Ministero si è costituito tardivamente al dichiarato fine di partecipare alla eventuale discussione in pubblica udienza ex art. 370 c.p.c., comma 1.

2. Con il primo motivo il ricorrente deduce la “carenza di motivazione relativamente alla valutazione di non credibilità del racconto del ricorrente”. Il tribunale aveva escluso la credibilità del dichiarante in modo generico, per alcune inesattezze emerse nel racconto ed aveva ritenuto quanto narrato privo di rilevanza a sostegno della domanda di protezione internazionale, facendo riferimento alle sole dichiarazioni del richiedente e non alla situazione del Paese di origine. I giudici avevano escluso il riconoscimento dello status di rifugiato incorrendo, anche, nella violazione del cd. onere probatorio attenuato, mancando di accertare i fatti rilevanti.

Il motivo è inammissibile in applicazione del principio per il quale, in materia di protezione internazionale, il giudizio sulla credibilità del racconto del richiedente, da effettuarsi in base ai parametri, meramente indicativi, forniti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, è sindacabile in sede di legittimità nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti – spettando dunque al ricorrente allegare in modo non generico il “fatto storico” non valutato, il “dato” testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua “decisività” per la definizione della vertenza – oltre che per motivazione assolutamente mancante, apparente o perplessa (Cass. 02/07/2020 n. 13578; Cass. 19/06/2020, n. 11925).

Si tratta di parametro a cui non si attiene il ricorrente nella proposizione del motivo, la cui critica sulla motivazione del provvedimento impugnato si risolve pertanto in censura generica ed inefficace.

3. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c), e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3. In Nigeria vi era una situazione di violenza diffusa e ad una corretta stima della situazione storico-sociale del Paese non poteva sfuggire la condotta attuata dagli appartenenti alle sette nei confronti di chi si sottragga alla loro adesione, in un contesto sociale di arretratezza segnato dal fenomeno dell’obbligata appartenenza alle medesime.

Il motivo è inammissibile perché di natura discorsiva ed in quanto non censura, pur a fronte della adottata titolazione, né il tema delle fonti posto a sostegno dell’impugnata decisione, per contestazione circa il loro portato o per una diversa loro individuazione, né la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12) come recepita dalla giurisprudenza di questa Corte (tra le altre: Cass. 08/07/2019, n. 18306).

Nei generici contenuti del proposto motivo figura, piuttosto, l’illustrazione della violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, lett. b), censura diversa e non rilevante nella fattispecie in applicazione del principio di questa Corte che vuole il giudice del merito esonerato da ogni accertamento ufficioso in ragione là dove il racconto sia stato ritenuto inattendibile (Cass. 29/05/2020, n. 10286, prima parte del principio massimato).

4. Con il terzo motivo il ricorrente fa valere l'”integrazione dello straniero nel territorio nazionale” ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria quale parametro che si inserisce in una valutazione complessiva in cui rientra, anche, la verifica di una situazione di compressione dei diritti fondamentali.

Il motivo è inammissibile perché nel censurare l’impugnata decisione non si fa carico di dedurre, con carattere di specificità, in punto di riconoscibilità in capo al richiedente della protezione per motivi umanitari, una situazione di vulnerabilità personale del richiedente stesso, nel resto esclusa dal giudizio di inattendibilità del racconto reso e neppure allega puntualmente sull’integrazione socio-lavorativa in Italia.

5. In via conclusiva il ricorso è pertanto inammissibile. Nulla sulle spese non avendo il Ministero intimato articolato difese.

6. La natura delle censure proposte dal ricorrente, che giustifica la declaratoria di inammissibilità del ricorso, conformemente alla proposta formulata dal Relatore ed in applicazione del criterio della “ragione più liquida”, esclude la necessità di soffermarsi, in questa sede, sulla questione relativa all’invalidità della procura ad litem per mancanza di certificazione della data di rilascio, risolta in senso affermativo da una recente pronuncia di questa Corte (cfr. Cass., Sez. Un., 1/06/2021, n. 15177) e su quella, successiva, di rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, comma 13, introdotto dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 6, comma 1, lett. g), convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46 (cfr. Cass., Sez. III, 23/06/2021, n. 17970).

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021

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