LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRO Massimo – Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16689-2020 proposto da:
S.O., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato Valeria D’Addezio;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato per legge in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– intimato –
avverso il decreto N. CRONOL. 1266/2020 del TRIBUNALE DI POTENZA, SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE, PROTEZIONE INTERNAZIONALE E LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI DELL’UNIONE EUROPEA, depositato il 08/05/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 15/07/2021 dal Consigliere Relatore Dott. SCALIA LAURA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
1. S.O., cittadino della Guinea Conakry, di etnia “peuhl”, ricorre con quattro motivi per la cassazione del decreto in epigrafe indicato con cui il Tribunale di Potenza, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’unione Europea, pronunciando D.Lgs. n. 25 del 2008 ex art. 35, ha rigettato il ricorso dal primo proposto avverso il provvedimento con cui la competente commissione territoriale aveva disatteso la richiesta di protezione internazionale e di riconoscimento del diritto al rilascio di un permesso per ragioni umanitarie, nella ritenuta inattendibilità del racconto e nella apprezzata insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione.
Il richiedente aveva dichiarato di avere abbandonato il Paese di origine, per la Libia e, quindi, l’Italia, temendo in caso di suo rientro in Guinea di esservi arrestato in ragione della sua adesione al partito di opposizione a quello governativo, cui era appartenuto anche il padre, dopo aver subito più arresti per avere egli assunto, nel tempo, il ruolo di segretario incaricato dell’organizzazione del partito stesso.
Il Ministero si è costituito tardivamente al dichiarato fine di partecipare alla eventuale discussione in pubblica udienza ex art. 370 c.p.c., comma 1.
2. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 106 Cost., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, perché il tribunale si era avvalso nel procedimento di un “gop”, che aveva svolto attività istruttoria, emesso ordinanze e redatto la minuta del decreto impugnato, con conseguente violazione delle norme che disciplinano in materia il funzionamento del tribunale in composizione collegiale (L. n. 46 del 2017).
2.1. Il motivo è inammissibile perché non si confronta con i contenuti dell’impugnato provvedimento in calce al quale è riportata la seguente dizione: “Motivazione redatta con la collaborazione del G.O.T. Dott.ssa Cirillo Mariella Elena “.
L’indicata locuzione lascia del tutto fuori fuoco la critica mossa con il proposto motivo poiché il riferimento contenuto nell’impugnato decreto è alla “redazione” della motivazione da parte di un giudice onorario, nell’ambito del suo tirocinio formativo ed in collaborazione con il decidente.
Nel caso in cui risulti, in calce alla sentenza, che la stessa è stata redatta con la collaborazione di un magistrato onorario in tirocinio, non può considerarsi la sentenza stessa affetta da nullità né tanto meno da inesistenza, rilevabile anche d’ufficio in sede di impugnazione; invero, con tale annotazione non si vuole intendere che il procedimento sia stato deciso dal magistrato onorario, la cui persona non figura nella composizione del collegio decidente, ma solo che, nell’espletamento del tirocinio, quel magistrato abbia collaborato col giudice relatore all’esame della controversia e alla stesura della minuta della motivazione, di cui poi, secondo il rito applicabile, con la sottoscrizione, ha assunto la paternità, nella svolta funzione, il presidente del collegio (in termini per fattispecie in cui la collaborazione alla stesura di un magistrato ordinario in tirocinio o di un giudice ausiliario di corte d’appello: Cass. 21/02/2017, n. 4426; Cass. 13/12/2018, n. 32307).
2.2. Gli ulteriori profili di censura sono, in ogni caso, inammissibili non avendo il ricorrente allegato in modo puntuale “fasi” (istruttoria; decisoria) e provvedimenti alla cui formazione abbia concorso il giudice onorario e, comunque, infondati non determinando nullità lo svolgimento da parte del giudice onorario di tribunale di attività istruttoria delegata dal giudice designato (Cass. SSUU 26/02/2021, n. 5425).
3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 nn. 3, 4 e 5, la violazione: della Convenzione di Ginevra del 1951 all’art. 1; della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 all’art. 25; del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,7,14,16 e 17; del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3; dell’art. 32 comma 3, anche in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 15, comma 6; del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, comma 1; degli artt. 10,32, e 2 Cost. e dell’art. 112 c.p.c.
Al richiedente era stato negato lo status di rifugiato con violazione dell’obbligo di collaborazione istruttoria che, ove rettamente inteso, avrebbe dovuto determinare il tribunale ad approfondire gli aspetti ritenuti contraddittori delle dichiarazioni dal primo rese davanti la commissione territoriale e a prendere in valutazione l’attestato e la testimonianza scritta, con traduzione giurata, depositata dalla difesa il 16 settembre 2019.
Il tribunale, con una istruttoria del tutto incompleta, compiuta per citazione di fonti generiche, contraddetta dagli effettivi contenuti di queste ultime e senza procedere all’audizione a chiarimenti del richiedente, aveva ritenuto l’insussistenza di persecuzioni ai danni dell’etnia “Peuhl” all’interno della Guinea Conakry.
Il Rapporto COI 2019 sulla Guinea dà atto invece di conflitti tra le popolazioni “Malinke'” e “Peuhl”, cui appartengono, rispettivamente, le forze dell’ordine e la popolazione civile che sostengono, a loro volta, i contrapposti partiti RPG e UFDG, e dà conto dell’esistenza di una prassi costante per la quale il partito politico al governo discrimina il gruppo etnico rappresentato dal partito rivale.
Il ricorrente aveva depositato un “Attestato” ed un “Atto di testimonianza” redatti su carta intestata del partito UFDG, sottoscritti e timbrati dal Segretario permanente, ed il tribunale aveva mancato di esaminarli o di argomentare.
Il motivo è inammissibile perché, non autosufficiente, omette di indicare quali contenuti, decisivi, della prova sarebbero mancati nella valutazione del tribunale tenuto all’osservanza del dovere di cooperazione istruttoria ed ancora perché sovrappone critiche tra loro non compatibili (così per la dedotta violazione dell’art. 360 c.p.c., per i vizi tipizzati ai nn. 3, 4 e 5), quali: quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione, rimettendo siffatta tecnica al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili per poi ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c. (vd.: Cass. n. 26874 del 23/10/2018; Cass. n. 19443 del 23/09/2011).
Non vi è poi assoluta mancanza di motivazione per illogicità o non conciliabilità delle affermazioni.
Le fonti utilizzate dal tribunale sono infatti ben conosciute dal ricorrente (Rapporto COI 2019) senza che per le stesse si realizzi quindi una lesione del contraddittorio e, ciò posto, la deduzione in ricorso dei diversi contenuti delle prime, a sostegno dell’esistenza nella Guinea Conakry di “prassi discriminatorie” tra gli appartenenti alle due diverse etnie (Malinke’ o Peuhl/Fulani) a seconda del partito che, di volta in volta al governo, è espressione ora dell’uno ora dell’altro gruppo etnico, diviene ormai ragione per dedurre, inammissibilmente, nel merito.
La censura sulla mancata audizione del ricorrente è del tutto generica non segnalando per quali contenuti il primo sarebbe dovuto essere sentito “a chiarimento” dal giudice e la pronta indicazione in tal senso nella fase di merito.
4. Con il terzo ed il quarto motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, quanto al diniego della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, l’esistenza di una motivazione apparente per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e la violazione della Convenzione di Ginevra del 1951, all’art. 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, del 1948, all’art. 25, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,7,11,16 e 17, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, dell’art. 32 comma 3, anche in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 15, comma 6, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, comma 1, degli artt. 10,32, e 2 Cost..
Il tribunale non aveva effettuato alcun esame della domanda di protezione sussidiaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b)) applicando gli stessi parametri previsti per il riconoscimento dello status di rifugiato senza considerare il diverso grado di individualizzazione del rischio.
Sulla protezione umanitaria il tribunale, con motivazione apparente, perplessa ed incomprensibile, aveva ritenuto l’inserimento sociale e lavorativo in Italia parametro da solo non sufficiente per ritenere integrato il presupposto della vulnerabilità e non aveva effettuato alcuna valutazione comparativa tra integrazione raggiunta e rischio di compromissione dei diritti fondamentali in caso di rimpatrio.
4.1. Il terzo motivo è infondato perché, quanto alla protezione sussidiaria, la motivazione è presente nel provvedimento impugnato e non risente di una assoluta illogicità richiamando del racconto reso gli aspetti rilevanti, intesi come non integrativi dei presupposti della protezione sussidiaria.
4.2. Quanto alla protezione umanitaria il motivo è inammissibile perché non si confronta con i contenuti del provvedimento impugnato là dove il tribunale esclude l’esistenza dei presupposti legittimanti la protezione umanitaria nell’apprezzata mancata prova dei fatti narrati sulle ragioni di abbandono del paese di origine e nella comparata mancata integrazione in Italia del richiedente (Cass. 4455/2018) e quindi proprio in applicazione del canone di giudizio che viene in modo inefficace contestato in ricorso.
5. In via conclusiva il ricorso è infondato. Nulla sulle spese non avendo il Ministero intimato articolato difese.
6. La natura delle censure proposte dal ricorrente, che giustifica il rigetto del ricorso, conformemente alla proposta formulata dal Relatore ed in applicazione del criterio della ragione” più liquida”, esclude la necessità di soffermarsi, in questa sede, sulla questione relativa all’invalidità della procura ad litem per mancanza di certificazione della data di rilascio, risolta in senso affermativo da una recente pronuncia di questa Corte (cfr. Cass., Sez. Un., 1/06/2021, n. 15177) e su quella, successiva, di rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, comma 13, introdotto dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 6, comma 1, lett. g), convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46 (cfr. Cass., Sez. III, 23/06/2021, n. 17970).
Si dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021