Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.21573 del 27/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20859-2020 proposto da:

B.B., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Angiulli;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato per legge in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– intimato –

avverso la sentenza cron. 2447/2019 depositata il 08/11/2019 della CORTE D’APPELLO DI CATANIA;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 15/07/2021 dal Consigliere Relatore Dott. SCALIA LAURA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. B.B., cittadino del Mali – che nel racconto reso davanti al competente commissione territoriale aveva dichiarato di aver abbandonato nel 2011 la capitale Bamako, dove aveva vissuto fino ad allora, trasferendosi dapprima nella città di Gao, quindi in Libia ed infine in Italia, perché resosi autore di violenza sessuale nei confronti di una commerciante, sua fornitrice, che non aveva onorato il debito contratto, temeva al suo rientro di essere sottoposto alla pena di morte e di subire trattamenti inumani e degradanti presso le prigioni del suo Paese -, ricorre con quattro motivi per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con cui la Corte d’Appello di Catania ne ha rigettato l’impugnazione dell’ordinanza del locale tribunale, che aveva, a sua volta, respinto il ricorso avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale di rigetto della protezione internazionale e di riconoscimento del diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per gravi motivi.

2. Il Ministero dell’interno si è costituito tardivamente al dichiarato fine di partecipare all’eventuale discissione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

3. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per avere la Corte di merito omesso un riferimento preciso ed aggiornato sulle fonti nazionali ed internazionali da cui desumere le condizioni socio-politiche del Paese di provenienza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La Corte territoriale aveva errato nell’escludere una situazione di violenza generalizzata nel territorio di provenienza del richiedente protezione ed il rischio effettivo di subire minaccia ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, lett. c), perché non aveva esercitato i poteri ufficiosi di indagine D.Lgs. n. 25 del 2008 ex art. 8, comma 3, e quindi verificato, in forza di informazioni ni precise, aggiornate, e come tali verificabili, l’indicato estremo.

I giudici di appello dopo aver accertato che solo nel nord del Mali, ed in particolare nei territori di Gao, Kidal e Tombouctou, vi era una situazione di grande insicurezza, avevano escluso che nella capitale, Bamako, da cui egli proveniva, il ricorrente potesse essere esposto al rischio di vita o incolumità personale in ragione dei conflitti armati in corso.

In tal modo la Corte di merito non si era soffermata sulle “copiose ed articolate allegazioni difensive”.

Il motivo è inammissibile perché non autosufficiente e generico.

Nel contestare l’accesso alle fonti per esercizio del dovere di collaborazione istruttoria da parte dei giudici di appello, D.Lgs. cit. ex art. 8, comma 3, ed il loro utilizzo, il ricorrente non deduce l’esistenza di un travisamento di quelle utilizzate dai giudici di merito né fa valere diverse e più attuali fonti (in termini sul vizio deducibile nel giudizio di legittimità: Cass. n. 4037 del 18/02/2020) e, nel richiamare il contenuto della norma ed i principi formatisi nell’applicazione della stessa, porta all’impugnata sentenza una critica del tutto generica ed incapace di confrontarsi con la concreta fattispecie.

Le allegazioni difensive che sarebbero state ignorate dalla Corte di merito sono soltanto menzionate in ricorso in cui non figura alcuna specifica deduzione sui tempi di loro produzione nel giudizio di merito.

4. Con il secondo motivo, erroneamente indicato ancora come primo, il ricorrente fa valere vizio di motivazione per omesso esame decisivo di un fatto storico, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per la mancata valutazione della zona di provenienza e per motivazione inesistente.

La Corte d’Appello aveva ritenuto che il richiedente protezione provenisse dalla città di Bamako là dove invece egli aveva dichiarato, nel corso della sua audizione davanti alla competente commissione territoriale intervenuta il 16 luglio 2014, di essere fuggito da Bamako e di essersi rifugiato a Gao da cui si era allontanato per lo stato di guerra ivi presente.

4.1. Il motivo è infondato là dove censura la decisione per motivazione inesistente ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4; la motivazione, intesa come raccordo tra esiti delle prove assunte e fonti consultate, per un ragionamento individuabile da quanto esposto, esiste e risponde come tale al “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile” (ex multis: Cass. n. 23940 del 12/10/2017; Cass. n. 22598 del 25/09/2018).

4.2. Il motivo è comunque inammissibile perché la dedotta circostanza in fatto, che si vuole omessa nella valutazione condotta dalla Corte d’Appello, manca di decisività non contestando puntualmente il ricorrente quel radicamento nel territorio di Gao che, presupposto di ogni rimpatrio, avrebbe dovuto determinare la Corte di merito a tenere conto della indicata circostanza di fatto nello scrutinio degli estremi della violenza generalizzata di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, lett. c).

5. Con il terzo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 10 Cost., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

La Corte di merito aveva erroneamente rigettato la domanda proposta in via gradata di concessione della protezione dell’asilo di cui all’art. 10 cit., norma di immediata portata precettiva, ritenendo il diritto di asilo interamente attuato e regolato attraverso le previsioni dei tre istituti dello “status” di rifugiato, della protezione sussidiaria e del diritto al rilascio di un permesso umanitario senza tener conto della novella legislativa (D.L. n. 113 del 2018, conv. in L. n. 132 del 2018) che aveva, di fatto, abrogato il permesso di soggiorno per motivi umanitari, prevedendo come termine di efficacia del permesso di soggiorno rilasciato in forza della previgente normativa la sua scadenza, intervenuta la quale i nuovi strumenti affidati alle Commissioni territoriali, a più limitata cognizione, fondati sui parametri di cui al D.Lgs. n. 289 del 1998, art. 19, comma 1 e art. 1.1, avrebbero realizzato il diverso istituto della “protezione speciale”.

Il motivo è inammissibile per genericità non deducendo il ricorrente, sulla disciplina al medesimo applicabile in materia di protezione per motivi umanitari, un adeguato raffronto con la giurisprudenza di questa Corte, in un contesto di principio che vuole il diritto al riconoscimento della protezione umanitaria, pure novellato, ancora espressione del diritto di asilo a previsione costituzionale (vd. Cass. SSUU n. 29459 del 13/11/2019).

Neppure il ricorrente individua una condizione personale meritevole dell’invocata tutela.

6. Con il quarto motivo il ricorrente fa valere la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2; del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La Corte d’Appello aveva omesso di operare la valutazione comparativa ritenuta necessaria dalla Corte di cassazione (Cass. n. 4455 del 2018) ai fini del riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria non apprezzando: la vicenda personale del richiedente ed il pericolo di vita in caso di rimpatrio; l’effettiva integrazione nello Stato italiano; la situazione di violenza generalizzata in Mali; il lungo periodo di assenza dal Paese di origine e la giovane età del richiedente che avrebbe comportato “enormi difficoltà per un nuovo radicamento sociale e lavorativo” (p. 8 ricorso).

6.1. Il motivo è inammissibile perché generico ed assertivo, richiamando i presupposti di riconoscimento della invocata protezione senza allegare il ricorrente, in modo puntuale, di aver fatto valere quei contenuti nella fase di merito.

6.2. Il motivo è ancora inammissibile perché non coglie la ratio della sentenza impugnata, con la quale non si confronta, nella parte in cui i giudici di appello negano il radicamento nel territorio italiano in ragione della precarietà dell’attività di ambulante svolta nell’agrigentino dal richiedente, attività, come tale, ritenuta esercitabile anche nel Paese di provenienza.

7. Il ricorso è in via conclusiva infondato.

Nulla sulle spese essendo l’Amministrazione rimasta intimata.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021

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