Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.21579 del 28/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. BOGHETIC Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1926-2020 proposto da:

B.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NICOLETTA PELINGA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ANCONA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. cronologico 13587/2019 del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 12/11/2019 R.G.N. 2728/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/03/2021 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH.

RILEVATO

CHE:

1. il Tribunale di Ancona, con decreto pubblicato il 12.11.2019 respinge il ricorso proposto da B.A., cittadino del ***** – fuggito per violenza fisica e psichica da parte di appartenenti alla polizia locale e all’apparato giudiziario – avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. con riferimento al riconoscimento dello status di rifugiato, il giudice del merito ha condiviso il giudizio di non credibilità del ricorrente espresso dalla Commissione territoriale e non ha ravvisato alcuno dei requisiti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, posto che non sono stati evidenziati, in danno del richiedente, episodi qualificabili come atti persecutori diretti ed attuali ai sensi dell’art. 7 medesimo D.Lgs.;

3. in merito alla mancata concessione della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), attesa la non credibilità del ricorrente, ha ritenuto che non siano emersi elementi sufficienti a comprovare il rischio di subire torture o altre forme di trattamenti inumani o degradanti;

4. non è risultata tantomeno integrata l’ipotesi di danno grave di cui del medesimo art. 14, lett. c) D.Lgs. cit., ossia la minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile, derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato internazionale. Invero, alla luce delle numerose fonti internazionali consultate, il ***** non è teatro di persecuzioni generalizzate nei confronti di soggetti affiliati politicamente;

5- da ultimo, è stato negato il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, poiché non si ravvisano condizioni individuali di elevata vulnerabilità che, ancorché credibili e giustificate, precludano, in caso di rimpatrio, la possibilità di soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili di vita personale, né la ricorrenza di alluvioni e cicloni che hanno abbattuto la casa del richiedente precludono il rientro in patria;

6. il ricorso di B.A. domanda la cassazione del suddetto decreto per quattro motivi;

4. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14 ricorrendo, nel caso di specie, una ipotesi di violenza fisica e psichica e di discriminazione da parte di appartenenti alla polizia o all’apparato giudiziario;

2. con il secondo motivo si denuncia violazione “della normativa concernente il riconoscimento della protezione sussidiaria” non essendo stata effettuata una analisi seria e coerente della situazione complessiva nel paese di origine del richiedente, stante l’attuale e conclamata incapacità da parte delle autorità statali del ***** a garantire ai propri cittadini i primari diritti fondamentali della persona;

3. con il terzo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, e D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, apparendo di dubbia legittimità le ricostruzioni della protezione umanitaria tendenti a limitarla a situazione di vulnerabilità dello straniero intese come situazioni di concreto pericolo in cui verrebbe a trovarsi qualora fosse costretto a far rientro nel suo paese di origine;

4. con il quarto motivo si denuncia violazione dell’art. 20 bis T.U.I. come inserito dal D.L. n. 113 del 2018, considerata la situazione di estrema gravità determinata dalla calamità in cui versa il villaggio del richiedente;

5. i primi due motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità per le ragioni che seguono.

Il Tribunale ha motivato adeguatamente le ragioni poste alla base del giudizio negativo di credibilità del ricorrente, in pieno rispetto degli indici normativi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3. Più precisamente, la vicenda non è stata circostanziata adeguatamente con riferimento alle ragioni determinanti l’espatrio, alla asserita affiliazione politica e alle aggressioni subite dal partito avversario. Le dichiarazioni sono affette tanto da incoerenza interna, poiché presentano contraddizioni in relazione ai punti cardine della storia personale, quanto da incoerenza esterna, dal momento che le fonti internazionali reperite smentiscono il rischio di subire persecuzioni da parte di soggetti che svolgono ruoli secondari (come quello di “segretario” all’interno del partito politico.

Preso atto di ciò, si ricorda che, in seno alla giurisprudenza di questa Corte, si è consolidato il principio in forza del quale la valutazione di credibilità soggettiva del richiedente costituisce una premessa indispensabile affinché il giudice eserciti i suoi poteri officiosi di approfondimento istruttorio in relazione all’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), (Cass., Sez. III, 08819/2020; Cass., Sez. I, 24361/2020; per un indirizzo ancora più restrittivo si veda Cass., Sez. II, 08367/2020; Cass., Sez. III, 11924/2020; Cass., Sez. I, 15794/2019; Cass., Sez. VII, 16925/2018).

In conclusione il giudice di merito ha correttamente negato la sussistenza di atti persecutori diretti ed attuali, nonché del rischio di subire danni gravi ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b) D.Lgs. cit., mentre i motivi di ricorso si presentano generici e stereotipati, senza alcuna censura circostanziata della valutazione complessiva ed unitaria effettuata dal Tribunale.

In merito all’ipotesi di danno grave di cui dell’art. 14 cit., lett. c), la quale non richiede la prova di alcuna personalizzazione del rischio (si veda Cass., Sez. I, 19224/2020; Cass., Sez. I, 13940/2020; Cass., Sez. I, 14350/2020), il Tribunale ha esercitato correttamente il suo dovere di cooperazione istruttoria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, esaminando e riportando il contenuto di numerosi rapporti internazionali, precisi ed aggiornati all’agosto 2018 (si veda pag. 3-5 del provvedimento impugnato). Sulla scorta di queste fonti emerge che il ***** non è caratterizzato da una situazione di violenza indiscriminata tale da mettere a rischio la vita di un civile per la sola presenza nel territorio (si veda la sentenza Elgafaji c. Staatssecretaris Van Justitie del 17 febbraio 2009, nel procedimento C-465/07).

6. Il terzo e il quarto motivo di ricorso, che attengono entrambi alla protezione umanitaria, sono fondati.

Premesso che il diritto alla protezione umanitaria è in ogni caso collegato alla sussistenza di “seri motivi”, non tipizzati o predeterminati, neppure in via esemplificativa, dal legislatore, cosicché essi costituiscono un catalogo aperto, tutti accomunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità individuale attuali o pronosticate in dipendenza del rimpatrio, va considerato il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 20-bis – inserito dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito dalla L. 1 dicembre 2018, n. 132 – che ha espressamente previsto il permesso di soggiorno per calamità, da concedere “quando il Paese verso il quale lo straniero dovrebbe fare ritorno versa in una situazione di contingente ed eccezionale calamità che non consente il rientro e la permanenza in condizioni di sicurezza” e che ha la durata di sei mesi, è rinnovabile per un periodo ulteriore di sei mesi se permangono le condizioni di eccezionale calamità suindicate, è valido solo nel territorio nazionale e consente di svolgere attività lavorativa, pur non potendo essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro (vedi: Cass. 20 marzo 2019, n. 7832);

6.1. in sede di interpretazione evolutiva, tale norma non può non essere utilizzata dal giudice in chiave interpretativa al fine di chiarire anche il precetto elastico di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, da applicare nella presente fattispecie analizzando, in particolare, se le alluvioni cui ha fatto riferimento il richiedente sono configurabili come calamità che non consentono il rientro nel Paese di origine e la permanenza in condizioni di sicurezza e tenendo in considerazione altresì i principi affermati da questa Corte in materia di protezìone umanitaria, pure con riguardo all’avvenuta integrazione nel Paese ospitante;

6.2. il Tribunale non ha svolto un esame approfondito dell’incidenza di tale situazione climatica nella sfera personale del richiedente, effettuando esclusivamente una valutazione di carattere generale relativa al paese di provenienza e concludendo nel senso di un mero aggravio di costi e sacrifici per rinvenire un nuovo alloggio.

7. in conclusione, vanno accolti il terzo e il quarto motivo di ricorso, inammissibili i primi due motivi;

il decreto va cassato e rinviato al Tribunale di Ancona in diversa composizione che provvederà altresì alla regolazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo ed il quarto motivo di ricorso, inammissibili i primi due motivi;

cassa il decreto impugnato, in relazione ai motivi accolti, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di Cassazione, al Tribunale di Ancona, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2021

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