LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. BOGHETIC Elena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5300-2020 proposto da:
M.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCA CAMPOSTRINI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– resistente con mandato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA del 17/10/2019 R.G.N. 10775/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/03/2021 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH.
RILEVATO
CHE:
1. Il Tribunale di Venezia con decreto pubblicato il 17.10.2020, ha respinto il ricorso proposto da M.A., cittadino del *****, avverso il provvedimento con il quale la Commissione territoriale aveva, per la seconda volta, rigettato le istanze volte in via gradata al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria;
2. il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:
a) il richiedente non ha prodotto alcuna documentazione relativa alla prima domanda di protezione internazionale né ha specificato se il primo provvedimento di rigetto sia stato impugnato avanti al Tribunale; non ha specificato per quali ragioni ha abbandonato il suo Paese né ha chiarito gli elementi di novità posti a fondamento della domanda reiterata; gli unici documenti prodotti sono rappresentati da un contratto di lavoro a tempo determinato come operaio agricolo (maggio – ottobre 2018) e da sei buste paga (aprile – settembre 2019), sforniti peraltro di allegazioni concernenti l’integrazione socio-economica nel territorio italiano; unico elemento di novità emerso nel corso dell’audizione (in quanto elemento assolutamente trascurato in ricorso) è rappresentato dalla dichiarazione di essere stato condannato con sentenza nel suo Paese, ma di non aver la copia della sentenza e di non poterla avere essendo in Italia; il richiedente ha peraltro dichiarato di essere in contatto con i propri familiari;
b) il racconto del richiedente non è caratterizzato da alcun elemento di novità e deve escludersi che ricorra il rischio di atti persecutori o di trattamenti inumani o degradanti o di condanna a morte né si registrano peggioramenti delle condizioni di vita e sicurezza del Paese d’origine (non avendo, il richiedente, specificato la regione dalla quale proviene) posto che le fonti di informazione (Freedom in the World 2019, World Report 2019) non delineano una situazione di violenza generalizzata;
c) infine, non può concedersi la protezione umanitaria perché non sono state allegate o documentate dal ricorrente particolari condizioni di vulnerabilità per motivi personali o di salute e lo svolgimento di alcuni lavori (bracciante agricolo) non è indice sufficiente di integrazione in assenza di un alloggio stabile, di scarsi redditi e dell’assenza di legami di carattere affettivo e sociale in Italia, considerato in ogni caso che non sono state effettuate allegazioni circa le condizioni di vita in ***** né è stata prodotta la documentazione relativa alla prima domanda di protezione internazionale;
3. il ricorso di M.A. chiede la cassazione del suddetto decreto per tre motivi;
4. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.
CONSIDERATO
CHE:
1. con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, avendo, il Tribunale, trascurato di approfondire le dichiarazioni del ricorrente che ha riferito di essere stato costretto a lasciare il Paese perché vittima di minacce e false denunce da parte dei membri del partito politico ***** in quanto esponente del partito avversario *****, in violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria, a fronte della conclamata violenza sussistente in ***** tra partiti politici opposti;
2. con il secondo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 avendo, il Tribunale, trascurato il rischio di tortura o trattamento inumano o degradante, visto il funzionamento del sistema giustizia in ***** e l’elemento di novità rappresentato dalla conoscenza, nel gennaio 2018, di una sentenza di condanna a suo carico, non essendo stata effettuata alcuna valutazione dell’attuale situazione di sicurezza del Paese d’origine ove negli ultimi tre anni si è registrato uno stillicidio di attacchi terroristici;
3. con il terzo motivo si denunzia violazione dell’art. 132 c.p.c., nullità del provvedimento per motivazione apparente/inesistente in relazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, con riguardo alla protezione umanitaria, avendo, il Tribunale, trascurato di valutare la situazione degenerata in ***** e la dichiarazione del ricorrente circa il percepimento di Euro 700,00 mensili;
4. i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente collegati, sono inammissibili;
5. preliminarmente, le censure sono prospettate con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto della prima domanda di protezione internazionale (al fine di conoscere i fatti e le prove acquisite durante il suddetto procedimento) nonché il verbale di udienza avanti al Tribunale (al fine di conoscere la dichiarazione effettuata dal richiedente, in quanto riferita, in ricorso, in maniera differente rispetto al contenuto del decreto impugnato relativamente all’anno in cui sarebbe stata conosciuta l’adozione di una sentenza di condanna), fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4;
6. invero, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 29, prevede che la Commissione territoriale dichiari inammissibile la domanda di protezione, senza procedere al suo esame, nel caso in cui (lett. b) il richiedente, dopo l’assunzione di una decisione da parte della Commissione stessa, abbia reiterato identica domanda senza addurre nuovi elementi in merito alle sue condizioni personali o alla situazione del suo Paese di origine;
7. questa Corte ha avuto modo, in proposito, di affermare che i “nuovi elementi”, alla cui allegazione il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 29, lett. b), subordina l’ammissibilità della reiterazione della domanda di riconoscimento della tutela, possono consistere, oltre che in nuovi fatti di persecuzione o comunque costitutivi del diritto alla protezione stessa, successivi al rigetto della prima domanda da parte della competente commissione, anche in nuove prove dei fatti costitutivi del diritto, purché il richiedente non abbia potuto, senza sua colpa, produrle in precedenza innanzi alla Commissione in sede amministrativa, né davanti al giudice introducendo il procedimento giurisdizionale di cui al D.Lgs. cit., art. 35. (Cass. n. 5089 del 2013; Cass. n. 18440 del 2019; Cass. n. 27894 del 2020);
8. e” stato anche ritenuto che, nel procedimento di riconoscimento della protezione internazionale per lo straniero, è ammissibile la reiterazione della domanda quando vengano addotti elementi già sussistenti al momento della precedente richiesta ma che il ricorrente non aveva potuto, senza sua colpa, prospettare in difetto di prove (Cass. n. 18440 del 2019, in motiv.);
9. nel caso in esame, il Tribunale ha sottolineato che il richiedente non ha indicato le ragioni che lo hanno spinto ad abbandonare il ***** né ha chiarito gli elementi di novità posti a fondamento della domanda reiterata, rilevando altresì che l’elemento riferito in udienza (ossia l’esistenza di una condanna a suo carico di cui non aveva copia quando è andato via, con difficoltà di ottenerla attualmente in quanto in Italia) non poteva rappresentare, da solo, un elemento nuovo in quanto sfornito di valide giustificazioni circa la pregressa incolpevole omissione;
10. pur dovendosi rilevare – in linea teorica – che la sopravvenienza di una sentenza di condanna (congiunta ad una eventuale situazione di privazione dei diritti fondamentali in caso di restrizione della libertà personale) può configurare un “nuovo elemento” che rende configurabile la reiterazione della domanda di riconoscimento della protezione internazionale, nel caso di specie la statuizione del giudice di merito è corretta e si sottrae alle censure svolte dal ricorrente che non ha dedotto gli elementi di effettiva diversità (in ordine ai fatti allegati e/o alle prove offerte) asseritamente esistenti tra la domanda già proposta e la nuova domanda, riproducendone in ricorso almeno i tratti salienti;
11. la domanda di protezione internazionale proposta dal ricorrente, in difetto dei “nuovi elementi”, alla cui allegazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 29, lett. b), subordina l’ammissibilità della reiterazione della domanda di riconoscimento della tutela, era, quindi, inammissibile: e correttamente il Tribunale l’ha, come tale, dichiarata.
12. le altre censure sono assorbite;
13. in conclusione, il ricorso è inammissibile; alla reiezione del ricorso, non consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali di questa fase, non avendo l’intimato svolto attività difensive;
11. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 4 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2021