LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 29322-2018 proposto da:
C.F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA SAN BERNARDO 101, presso lo studio dell’avvocato ARTURO CANCRINI, che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
BANCA D’ITALIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NAZIONALE 91, presso lo studio dell’avvocato DONATELLA LA LICATA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANTONIO BALDASSARRE, DONATO MESSINEO, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1585/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 10/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/12/2020 dal Consigliere CHIARA BESSO MARCHEIS;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI CARMELO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato LUCA NICOLETTI, comparso in sostituzione dell’Avvocato ARTURO CANCRINI con delega scritta, difensore del ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato DONATO MESSINEO, difensore della resistente, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. In data 28 dicembre 2012 la Banca d’Italia comunicava a C.F.G., componente il consiglio di amministrazione e vice presidente della banca Monte dei Paschi di Siena, l’avvio della procedura sanzionatoria in relazione a fatti avvenuti nel 2008 nel contesto della complessa operazione finanziaria di aumento di capitale effettuata, nel 2008, da Monte dei Paschi di Siena e finalizzata all’acquisizione di Banca Antonveneta, operazione che è stata denominata “*****”. In particolare, venivano contestate a C. le seguenti irregolarità: mancate comunicazioni all’organo di vigilanza ed errate segnalazioni di vigilanza in violazione dell’art. 51, comma 1 e art. 66, comma 1 TUB; mancato rispetto del requisito patrimoniale minimo complessivo a livello consolidato in violazione dell’art. 67, comma 1, lett. a) TUB e relative disposizioni attuative; inosservanza delle forme tecniche dei bilanci, in violazione del D.Lgs. n. 38 del 2005, art. 9, comma 1, art. 5, comma 1, e D.Lgs. n. 87 del 1992, art. 45.
All’esito del procedimento istruttorio, il direttorio della Banca d’Italia notificava a C., in data 22 ottobre 2013, l’irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria complessiva di Euro 129.00, che veniva impugnata dal destinatario presso il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ricorso notificato alla Banca d’Italia in data 20 dicembre 2013.
2. Nelle more del giudizio, con sentenza n. 94/2014 la Corte costituzionale dichiarava l’illegittimità del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. l), art. 134, comma 1, lett. c) e art. 135, comma 1, lett. c) nella parte in cui attribuivano al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva estesa al merito, le controversie in materia di sanzioni amministrative erogate dalla Banca d’Italia. Con sentenza n. 4886/2015, il Tribunale amministrativo quindi dichiarava il proprio difetto di giurisdizione in favore di quella del giudice ordinario.
3. Con ricorso ex art. 145 TUB del 2 ottobre 2015, C. riassumeva il giudizio davanti alla Corte d’appello di Roma.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza 10 marzo 2018, n. 1585, rigettava il ricorso.
4. Contro la sentenza ricorre per cassazione C.F.G..
Resiste con controricorso la Banca d’Italia.
Il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
CHE:
I. Il ricorso è articolato in sei motivi.
1. Il primo motivo denuncia, “in relazione al capo della sentenza relativo al rigetto del secondo motivo di opposizione, violazione e falsa applicazione degli artt. 2381 e 2392 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”: la Corte d’appello, nel valutare il caso di specie, avrebbe erroneamente e contraddittoriamente violato la normativa codicistica relativa ai componenti del consiglio di amministrazione delle società di capitali, non considerando la “nuova impostazione legislativa che si è radicata con la riforma del diritto societario”.
Il motivo non può essere accolto. Come ha affermato questa Corte in relazione ad analoga fattispecie, sempre attinente all'*****/Monte dei Paschi di Siena, “nello specifico settore delle attività bancarie o di intermediazione finanziaria, ai fini del contenimento del rischio creditizio nelle sue diverse configurazioni, nonché dell’organizzazione societaria e dei controlli interni, il D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 53, lett. b) e d), e le disposizioni attuative dettate con le istruzioni di vigilanza per le banche, sanciscono doveri di particolare pregnanza in capo al consiglio di amministrazione nel suo complesso e ai singoli consiglieri (anche se privi di deleghe operative). Questi ultimi sono sempre tenuti ad agire in modo informato e, in ragione dei requisiti di professionalità di cui sono e devono essere in possesso, ad impedire possibili violazioni. Tale dovere, sancito dall’art. 2381 c.c., commi 3 e 6, e dall’art. 2392 c.c., non va rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, giacché anche i singoli consiglieri devono possedere e attivare una costante e adeguata conoscenza del business bancario e, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero consiglio, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi in tutti i settori di operatività della banca, oltre che ad attivarsi in modo da esercitare efficacemente la funzione di monitoraggio sulle scelte compiute, non solo in vista della valutazione delle relazioni degli amministratori delegati, ma anche ai fini dell’esercizio dei poteri di direttiva o avocazione riguardo alle attività rientranti nella delega” (Cass. 16517/2020). L’ambito entro il quale deve esprimersi la diligenza dei consiglieri non è mutato neppure a seguito della riforma del diritto societario adottata con D.Lgs. n. 6 del 2006: l’art. 2381 c.c., comma 6, impone un dovere di agire in modo informato, disponendo infine che “ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società”; il comma 3 recita che il consiglio di amministrazione “può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega”; l’art. 2392 c.c., comma 2 continua a prevedere che gli amministratori “sono in ogni caso solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose” (v. Cass. 24851/2019).
La responsabilità degli amministratori privi di deleghe operative non discende da una generica condotta di omessa vigilanza, né implica l’imputazione della responsabilità a titolo oggettivo o per le condotte altrui, ma deriva dal fatto di non aver impedito “fatti pregiudizievoli” dei quali abbiano acquisito (o avrebbero potuto acquisire) conoscenza anche di propria iniziativa, ai sensi dell’obbligo previsto dall’art. 2381 c.c. (ancora Cass. 16517/2020, v. pure Cass. 17441/2016 e Cass. 2038/2018).
2. Il secondo e il terzo motivo sono tra loro connessi:
a) il secondo motivo lamenta, “in relazione ai capi della sentenza relativi al rigetto del terzo e del quarto motivo di opposizione, nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per omessa motivazione”; il ricorrente aveva allegato la sussistenza di condotte penalmente rilevanti del presidente del consiglio di amministrazione e del direttore generale di Monte dei Paschi di Siena, fatti impedienti rispetto agli addebiti mossi dalla Banca d’Italia e la cui valutazione è stata del tutto omessa dalla Corte d’appello, in contrasto d’altro canto con quanto riconosciuto dalla medesima alle pp. 8-9 della pronuncia impugnata;
c) il terzo motivo contesta, “in relazione al capo della sentenza relativo al rigetto del terzo motivo di opposizione, nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) in relazione all’art. 116 c.p.c., per omessa ed errata valutazione delle risultanza probatorie”; il ricorrente aveva offerto “ampia prova documentale circa le condotte omissive, decettive e dolose (anche di carattere penale) poste in essere da organi delegati” e tale prova la Corte d’appello ha omesso di valutare o ne ha “completamente equivocato la portata”.
I motivi non possono essere accolti. La Corte d’appello, che alle pp. 8-9 ha riportato le deduzioni del ricorrente, ha rilevato che sì il presidente del consiglio di amministrazione e il direttore generale avevano tenuto un comportamento omissivo, quanto agli sviluppi dell'*****, in occasione delle comunicazioni in sede di adunanza del consiglio di amministrazione, ma ha stabilito – con accertamento in fatto insindacabile da parte di questa Corte di legittimità – che ciò non aveva esentato il ricorrente, quale consigliere di amministrazione non munito di deleghe, dall’obbligo di chiedere maggiori approfondimenti in relazione a un’operazione che si presentava quanto mai complessa e ha altresì sottolineato che la dedotta mancata partecipazione alle riunioni del consiglio di amministrazione da parte del ricorrente, senza neppure la prospettazione di un giustificato motivo per l’assenza, è indice della scarsa diligenza con la quale questi svolgeva la funzione di componente del consiglio.
3. Il quarto motivo denuncia, “in relazione al capo della sentenza relativo al rigetto del quinto motivo di opposizione, violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e/o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 3 nell’accertamento dell’elemento soggettivo inerente l’illecito amministrativo”: la Corte d’appello, nel non valutare la sofisticata macchinazione degli organi delegati, ha omesso ogni indagine in merito all’effettiva valutazione della condotta psicologica dell’agente.
Il motivo non può essere accolto. Come è stato più volte affermato da questa Corte, “nei confronti di soggetti che svolgono funzioni di direzione, amministrazione o controllo di istituti bancari il legislatore individua una serie di fattispecie, destinate a salvaguardare procedure e funzioni incentrate sulla mera condotta, secondo un criterio di agire o di omettere doveroso, ricollegando il giudizio di colpevolezza a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico e limitando l’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito all’accertamento della “suità” della condotta inosservante sicché, integrata e provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dalla L. n. 689 del 1981, art. 3 l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza” (così, da ultimo, Cass. 6625/2020).
4. Il quinto e il sesto sono strettamente connessi:
e) con il quinto motivo il ricorrente lamenta, “in relazione al capo della sentenza inerente il sesto motivo di ricorso in opposizione, violazione e/o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 11 dell’art. 2381 c.c. e dell’art. 154-bis TUF”;
f) il sesto motivo contesta, “sempre in relazione al sesto motivo dell’opposizione, nullità del decreto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per assenza di motivazione”; gli argomenti utilizzati dalla Corte d’appello nel rigettare il sesto motivo di opposizione relativo alla misura della sanzione sarebbero in ogni caso apodittici e generici e inidonei a configurare una concreta motivazione.
I motivi non possono essere accolti. La motivazione del rigetto della sesta censura è motivazione sufficiente (come dimostra l’illustrazione del quinto motivo), che rispetta quanto prescritto dalla L. n. 689 del 1981, art. 11. D’altro canto, “nel procedimento di opposizione avverso le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate per violazione della legge bancaria, il giudice ha il potere discrezionale di quantificarne l’entità, entro i limiti sanciti da quest’ultima, allo scopo di commisurarla all’effettiva gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi, senza che sia tenuto a specificare i criteri seguiti; tale statuizione è incensurabile in sede di legittimità ove quei limiti siano stati rispettati e dalla motivazione emerga come, nella determinazione, si sia tenuto conto dei parametri previsti dalla L. n. 689 del 1981, art. 11 quali la gravità della violazione, la personalità dell’agente e le sue condizioni economiche” (così Cass. 5526/2020). Quanto poi al profilo della mancata differenziazione della posizione del consigliere d’amministrazione rispetto a quella dei sindaci, la Corte d’appello ha correttamente sottolineato come il consigliere, pur quando privo di deleghe, se non contribuisce fattivamente alla redazione dell’atto contabile, deve comunque esercitare una penetrante vigilanza sul rispetto delle regole, assumendo ogni iniziativa, anche di carattere informativo, secondo la previsione dell’art. 2381 c.c., comma 6 e al riguardo la Corte ha richiamato il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 154-bis, comma 4 (“il consiglio di amministrazione vigila affinché il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari disponga di adeguati poteri e mezzi per l’esercizio dei compiti a lui attribuiti ai sensi del presente articolo, nonché sul rispetto effettivo delle procedure amministrative e contabili”), applicabile, come ha rilevato la controricorrente, a Monte dei Paschi di Siena nella sua qualità di emittente quotato.
II. Il ricorso va quindi rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente che liquida in Euro 7.500, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella pubblica udienza della seconda sezione civile, il 9 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2021