LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15023-2019 proposto da:
L.G.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE LIEGI, 28, presso lo studio dell’avvocato LORENZO SPERATI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIUSEPPE CAMBARERI, LAURA CERISARA;
– ricorrente –
contro
SANPAOLO INVEST – SOCIETA’ DI INTERMEDIAZIONE MOBILIARE SPA, in persona del procuratore speciale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TOMMASO SALVINI, 2/A, presso lo studio dell’avvocato LUIGI PEDRETTI, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
contro
D.P.A.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 7218/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 16/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 17/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CRICENTI.
RITENUTO
Che:
1. – L.G.V., insieme al fratello M., ha stipulato, tra il 2001 ed il 2002, dei contratti di investimento mobiliare con il promotore finanziario D.P.A., che agiva per conto dell’intermediario San Paolo Invest SIM spa. Entrambi i fratelli hanno consegnato al D.P. dapprima 500 mila e poi 250 mila euro, buona parte dei quali in contanti, ed il promotore ha fatto sottoscrivere loro i moduli raccolta dell’investimento predisposti da San Paolo. Egli ha pure, nei due anni successivi, comunicato ai due clienti i rendiconti dei loro investimenti e sempre lo ha fatto su modelli ed intestazioni della SIM.
Tuttavia, quando, l’anno successivo, ossia il 2004, i due fratelli hanno chiesto il riscatto della polizza, si sono accorti che il D.P. si era appropriato delle somme e non era reperibile; la stessa SIM aveva da un anno avviato le procedure, presso la Consob, di denuncia dei comportamenti illegittimi del suo promotore, che avevano portato alla radiazione di costui dall’albo professionale. Appresa questa circostanza, i due fratelli L.G. hanno sporto denuncia verso il D.P., e nel relativo processo si è costituito parte civile il solo L.G.M.: il giudizio penale si è concluso con la condanna definitiva del D.P. per truffa ed appropriazione indebita.
2. – L.G.V., rimasto estraneo al processo penale-in cui si era costituito parte civile il solo fratello M. – ha iniziato una causa per il risarcimento dei danni verso la SIM, ritenendola responsabile dell’operato del suo promotore, ed invocando dunque l’occasionalità della condotta del promotore ed il rapporto di preposizione con la SIM.
Il giudice di primo grado ha accolto la domanda ed ha disposto la restituzione della somma investita, per intero; mentre il giudice di appello, ha, per ciò che interessa questo ricorso, ritenuto il concorso di colpa del danneggiato nella circostanza di avere costui consegnato buona parte della somma in contanti, in violazione dei divieti di legge, e del fatto di avere comunque una certa esperienza di investitore che avrebbe dovuto renderlo più accorto.
3. – Il ricorso è basato su quattro motivi, di cui chiede il rigetto la San Paolo Invest spa costituitasi con controricorso.
CONSIDERATO
Che:
4. – Va premesso che l’impugnazione riguarda un solo capo della sentenza di appello – quello contraddistinto alla numerazione 4.16 – con il quale i giudici di merito hanno ritenuto il concorso di colpa del L.G. nella circostanza di avere consegnato le somme in contanti, pur essendo l’investitore esperto di tale genere di operazioni, e nell’avere conseguentemente agevolato la truffa ai suoi danni.
Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 1227 c.c..
La tesi del ricorrente è che non può configurarsi un concorso colposo in un fatto doloso. E’ pacifico che il D.P. è stato condannato per truffa ed appropriazione indebita, dunque per due condotte dolose, rispetto alle quali non può ipotizzarsi un obbligo di cautela del danneggiato, volto ad evitarle.
La tesi è sorretta dal richiamo ad alcuni orientamenti dottrinali espressi, in parte, su fattispecie analoghe.
Il motivo è infondato.
Va premesso che la norma è invocata all’interno di uno schema di responsabilità per fatto altrui, ossia di responsabilità della SIM quale preponente del promotore finanziario, e dunque per fatto di quest’ultimo: il fatto illecito è quello altrui, ossia quello del promotore, di cui risponde la SIM in ragione della occasionalità della condotta di quello, ed è pacifico che quest’ultima è stata dolosa; lo stesso giudice penale ha accertato il reato di truffa e quello di appropriazione indebita, entrambi caratterizzati da dolo.
Ciò detto, non è corretto limitare la rilevanza del concorso del danneggiato al solo caso in cui quella del danneggiante sia colposa ed escludere che possa invece rilevare la condotta colposa del danneggiato quando quella del danneggiante sia dolosa.
Una tale prospettiva si giustificherebbe nell’ottica di una lettura della norma (art. 1227 c.c.), come proposta dalla dottrina citata dal ricorrente, fatta in chiave di efficienza delle regole: non è efficiente porre a carico del danneggiato anche l’onere di evitare comportamenti dolosi del danneggiante, o di ridurre i danni conseguenti.
Ma, se si prescinde da questa chiave di lettura, non si giustifica l’irrilevanza del concorso colposo in un illecito doloso: se il danneggiato, usando diligenza, poteva avvedersi della truffa, o poteva comunque limitare i danni, non v’e’ ragione di escludere l’applicazione dell’art. 1227 c.c., quale che sia la ratio da assegnare a tale norma, di auto-responsabilità o di contributo causale.
Dalla stessa giurisprudenza di questa Corte si ricava che quella che è definita la “consapevole acquiescenza” dell’investitore circa la irregolarità della condotta del promotore vale ad escludere, in tutto o in parte, la responsabilità dell’intermediario (Cass. 25374/ 2018; Cass. 28634/ 2020), senza distinzione attinente al dolo o alla colpa del promotore.
Il ricorrente invoca poi a sostegno di questa sua tesi, la circostanza che non può ammettersi, o meglio, non è configurabile un qualche rilevante ruolo della vittima nell’illecito doloso di truffa.
Ma questa è una tesi che, nello stesso diritto penale, non ha fondamento, dopo che gli studi di vittimo-dommatica hanno messo in luce come invece l’idoneità della condotta del reato di truffa – ossia dei raggiri e degli artifici – si deve valutare proprio alla luce delle condizioni personali della vittima: che altro è raggirare un ingenuo sprovveduto, altro, con medesima condotta, un esperto di quella certa attività.
Conferma di quanto si dice viene dal precedente di questa Corte (Cass. 6994/ 1986) che ha escluso, si, il concorso di colpa, rispetto alla condotta (dolosa) di seduzione con promessa di matrimonio, ma per affermare che quando la scarsa serietà di quella promessa è riconoscibile da parte del danneggiato, usando diligenza, allora viene meno la stessa antigiuridicità della condotta del promittente, a significare che il ruolo della vittima, ossia la possibilità di accorgersi della condotta lesiva altrui, sia pure dolosa, incide sulla stessa tipicità della fattispecie, ed ha dunque un ruolo nella regola di risarcimento.
Ciò posto, il problema è se, in concreto, la condotta del L.G. sia da ritenersi, come ha sostenuto il giudice di merito, colposa, ossia tale da costituire quella “consapevole acquiescenza” che questa Corte assume quale condotta sufficiente a far ricadere, in tutto o in parte, il danno sullo stesso danneggiato, o comunque ad escludere che debba risponderne l’intermediario; oppure no.
Su questa questione vertono secondo e terzo motivo, che possono esaminarsi dunque insieme.
5. – Il secondo motivo denuncia violazione del Reg. Consob del 1998, art. 96; mentre il terzo motivo denuncia violazione, oltre che dell’art. 1227 c.c., altresì della L. n. 143 del 1991.
Si tratta di due regole che vietano la consegna di denaro in contanti da parte dell’investitore nelle mani del promotore, e la cui violazione – è pacifico che gran parte della somma è stata consegnata in contanti – secondo la corte di merito è indice di negligenza o comunque di cooperazione colposa del ricorrente alla stessa truffa ai suoi danni.
Il ricorrente però obietta che si tratta di regole che hanno finalità ben diversa da quella di cautela imposte all’investitore per evitare le truffe.
E questi motivi sono infondati.
In tema di contratti di intermediazione finanziaria, la responsabilità dell’intermediario ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, comma 3, per i danni arrecati ai terzi dai propri promotori finanziari, deve essere esclusa ove il danneggiato ponga in essere una condotta agevolatrice che presenti connotati di anomalia, vale a dire, se non di collusione, quanto meno di consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore, verificandosi in tal caso l’interruzione del nesso di occasionalità necessaria tra il fatto produttivo di danno e l’esercizio delle mansioni cui il promotore finanziario sia adibito, costituente condizione necessaria e sufficiente della responsabilità oggettiva del preponente. Incombe sull’investitore l’onere di provare l’illiceità della condotta del promotore, mentre spetta all’intermediario quello di dimostrare che l’illecito sia stato consapevolmente agevolato dall’investitore (Sez. 3, 25374/2018).
La valutazione della incidenza della condotta del danneggiato va ovviamente effettuata caso per caso, nel rispetto di questa regola.
Ora, è ben vero che il divieto, prima ricordato, di consegnare denaro in contante ha la finalità di impedire elusioni del controllo antiriciclaggio, ma ciò non toglie che possa essere tenuto in conto per valutare la stessa condotta del danneggiato.
A tal fine ha un suo rilievo intanto l’entità della somma consegnata in contanti, che, nel caso presente, era particolarmente elevata- prima 500 e poi 250 mila Euro – che è indice di una condotta consapevolmente incauta.
Del resto, la consegna in denaro escludeva la contabilizzazione della somma, ed è comunque una condotta anomala (per un precedente Cass. 12947/2020), proprio alla luce della entità del valore affidato all’investitore.
Circostanza, questa, che va tenuta in conto anche in relazione alla accertata esperienza del ricorrente nel settore degli investimenti finanziari, che avrebbe dovuto indurlo a non consegnare ingenti somme in contanti al promotore finanziario.
In conclusione, l’accertamento del giudice di merito circa il contributo causale fornito dal danneggiato con la suddetta condotta, è corretto, in quanto ha dato rilevanza a condotte che hanno l’attitudine ad agevolare il danno.
6. – Il quarto motivo può dirsi assorbito.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di 8000,00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese generali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 17 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2021